Il cemento: un vizio di famiglia

Craxi, Berlusconi, Renzi. Tre autori del disastro… Ma tutti gli elementi nefasti della controriforma iniziata trent’anni fa sono ora presenti nel decreto “Sblocca-Italia”.
di Edoardo Salzano (*)

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Tutti gli elementi nefasti della controriforma iniziata trent’anni fa sono presenti nel decreto Sblocca-Italia.
Ho parlato di una controriforma iniziata trent’anni fa: Matteo Renzi è il prolungatore e completatore di un processo iniziato in Italia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta. Non è casuale la coincidenza temporale tra quel processo e l’affermazione del dominio di quello che chiamiamo “neoliberismo”, e che Luciano Gallino ha definito “Finanzcapitalismo”.
Mentre in Gran Bretagna e negli Usa trionfano Margaret Thatcher e Ronald Reagan, mentre Milton Friedman e i Chicago Boys diventano, dopo l’esperienza cilena, i consiglieri dei governi del Primo mondo, in Italia sale al potere Bettino Craxi.
È l’inizio dell’affermazione di un’ ideologia e una prassi che si riveleranno vincenti. “Meno Stato e più mercato”, “via lacci e lacciuoli” , “privato è bello” ne sono gli slogan, proclamati non solo dai “modernizzatori” craxiani ma anche nella sinistra.
Fra gli strumenti principali della prassi craxiana ecco apparire, e presto dominare, l’“urbanistica contrattata” (cioè l’assunzione degli interessi immobiliari come motori delle scelte sull’uso del territorio), e la deroga sempre più ampia degli interventi sul territorio dalla logica e dalle regole della pianificazione.
La benemerita azione del pool Mani Pulite svela il pauroso intreccio di reati contro l’interesse collettivo che quella prassi ha generato, nel quadro di un più ampio asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi privati di persone, partiti, fazioni.
Ma l’Italia politica non è pronta a raccogliere il messaggio tacitamente lanciato da quell’indagine.
Ecco invece “scendere in campo” Silvio Berlusconi.
Meglio di Craxi ha saputo forgiare il cervello degli italiani, con l’uso sapiente del suo potere mediatico e la capacità di cogliere, nelle pieghe del carattere degli italiani, i lati peggiori e più utili all’affermazione della sua strategia di potere: l’insofferenza alle regole valide per tutti, il clientelismo familistico, il dolore nel pagare le tasse (a metà del ventennio berlusconiano un uomo che, come Tommaso Padoa-Schioppa, affermava “Le tasse? Bellissime. Un modo civile di contribuire ai servizi” appariva del tutto fuori dal mondo.)
È inutile dilungarsi troppo sulla concezione e sulle pratiche della fase berlusconiana nel governo del territorio: lo hanno criticato in molti, compresa una buona parte di quelli che oggi applaudono al suo successore. Un’immagine e due slogan sono sufficienti a sintetizzarle. L’immagine è quella che espose nello studio televisivo del suo scudiero Bruno Vespa: l’Italia delle mille autostrade e del trionfo delle Grandi opere. Gli slogan sono: “Ciascuno è padrone a casa sua” e “È giusto non pagare le tasse”.
Un atto amministrativo (che ha avuto e continua ad avere un effetto dirompente quanto lo Sblocca-Italia) è il cosiddetto “Piano casa”. Un provvedimento mai tradotto in legge nazionale ma che ha condotto le Regioni di tutte le latitudini politiche a legiferare conferendo “premialità” a moltissimi proprietari di immobili che volessero “valorizzare” i propri edifici aumentandone la cubatura e modificandone l’utilizzazione.
In deroga, salvo in pochi casi virtuosi, alle regole urbanistiche e di edilizia vigenti (e perfino, in Sardegna, ai precetti di tutela paesaggistica). L’accodarsi dei governi regionali agli indirizzi berlusconiani testimoniano il carattere quasi egemonico della strategia craxiano-berlusconiana.
Il fatto che nel Lazio, oggi governato dal centrosinistra, si voglia prorogare (ultra legem) il “Piano casa” della precedente giunta di destra è una delle molte prove della continuità della politica del Pd con quella dei due precedenti leader.
Renzi rappresenta certamente la piena continuità con la strategia d’uso del territorio espressa e praticata da Craxi e Berlusconi.
A quella dei due antenati Matteo aggiunge però qualcosa di suo: al di là del linguaggio, dell’appeal giovanilistico e scanzonato, dell’uso di strumenti comunicativi idonei alla percezione della “società liquida”, egli coglie – come rafforzativo delle sua linea – l’occasione offerta dell’austerity della troika europea.
“L’Europa lo chiede” è uno slogan che supera la necessità, per Matteo, di ricorrere alle diverse, occasionali “emergenze” utilizzate (e spesso artatamente provocate) da Bettino e da Silvio.
È facile individuare nello Sblocca-Italia le idee forza della strategia renziana. Il primato dell’economia sulla politica (e di un’economia che premia i ricchi e punisce i poveri). La riduzione della politica a strumento del potere dell’“asso pigliatutto”, dove l’asso può essere bicipite (Matteo+Silvio). La demonizzazione della storia, come strumento per far apparire migliore tutto ciò che è “innovativo” solo perché è diverso da quel che è stato prima.
Ecco alcune delle conseguenze nei precetti del decreto.
La sua visione cancella la molteplicità e la ricchezza delle sue dimensioni del territorio: l’essere la pelle del pianeta e l’habitat della società.
Il territorio non è un patrimonio delle cui qualità possano godere tutti e da accrescere nel succedersi delle generazioni: è una risorsa da sfruttare per accrescere il Pil (quel totem contro cui Robert Kennedy pronunciò nel 1968 il famoso anatema), per costruire autostrade e altre infrastrutture per il trasporto, centri commerciali, e direzionali, grandi opere spesso inutili, o addirittura dannose per gli stessi fini per cui vengono proposte, ma utili per i gruppi finanziari che ne raccolgono le rendite, spesso prodotte dal danaro pubblico (cioè dalle tasse versate da chi non le evade).
L’abitare non è un diritto di tutti gli abitanti, quale che sia il livello di reddito: è lo strumento per accrescere lo spreco del territorio, e soprattutto il valore commerciale della proprietà immobiliare.
Gli spazi e i servizi pubblici (a partire dall’acqua, fino all’università) non sono elementi spaziali e funzionali ai quali chiunque può accedere per soddisfare le esigenze, personali e sociali, non soddisfacibili nell’ambito della propria abitazione, ma diventano prestazioni erogabili da operatori interessati non alla qualità del servizio reso all’“utente”, ma dal vantaggio economico che possono trarre dal “cliente”.
È del tutto evidente che questa visione comporta la necessità di indebolire, o meglio scardinare, qualsiasi ostacolo che si opponga al libero arbitrio dei saccheggiatori del territorio. Ed ecco spazzare via le regole che limitavano, e ancora tentano di limitare, il potere dei proprietari immobiliari di modificare a loro piacimento il suolo.
Ecco la generalizzazione delle deroghe, dei “silenzi assensi”, degli altri strumenti di deregolazione inventati agli albori del craxismo e rafforzati negli anni successivi. Ecco, con Renzi, riprendere quota e vigore quella perversa invenzione del centrosinistra pre-renziano che è il riconoscimento di “diritti edificatori”, spettanti a ciascun proprietario fondiario.
Ma per eliminare le regole sull’uso del territorio occorre abbattere i due baluardi che sorreggono la loro efficacia: la pianificazione urbana e territoriale come metodo e strumento dell’azione pubblica, e la burocrazia delle istituzioni (quella privata si moltiplica a dismisura).
Quella burocrazia pubblica che è essenziale perché le regole stabilite nell’interesse pubblico siano effettivamente rispettate.
Tutto ciò è chiaramente leggibile negli atti e nelle parole di Matteo Renzi, fino al monstrum dello Sblocca-Italia.
Ma il sigillo finale, dovrebbe fornirlo la proposta di legge urbanistica di Maurizio Lupi. Quest’ultima non è solo la ciliegina sulla torta: è la sintesi, e insieme la traduzione in sistema permanente (al di là dell’emergenza) di un nuovo regolazione del rapporto tra gli attori nel processo di governo delle trasformazioni del territorio.
Una regolazione che rovescia il rapporto tra privato e pubblico elaborato nel corso di oltre due secoli.
Bravo Matteo, sei un gigante; ma noi aspettiamo un Davide, possibilmente collettivo.
(*) tratto da: «Rottama Italia. Perché il decreto Sblocca-Italia è una minaccia per la democrazia e per il nostro futuro», edizioni Altreconomia, 2015; testo ripreso anche dal mensile «Pollicino Gnus».

 

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