Il Cielo di Sabra e Chatila

Il documentario prodotto da Pagine Esteri, “IL CIELO DI SABRA E CHATILA”, sarà trasmesso oggi alle h. 18.00 (ora italiana) dal Palestine Museum degli Stati Uniti.
A seguire, dibattito con la regista Eliana Riva.
Ci si può prenotare a questo link – bit.ly/3L2LTYQ

“IL CIELO DI SABRA E CHATILA” racconta la difficile condizione dei profughi palestinesi oggi in Libano, la quotidianità dei campi, la povertà e la discriminazione.

A 40 anni dal massacro di Sabra e Chatila, Pagine Esteri è tornata sui campi profughi di Beirut, parlando con i sopravvissuti e con i più giovani, registrando le loro aspirazioni, raccontando come il sogno di rientrare nella terra di origine si scontri con la difficile realtà libanese e la netta chiusura di Israele al “diritto al ritorno”.

LA PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTARIO

Beirut, Libano. Era il 1982. Il 16 settembre. L’esercito israeliano era giunto nella zona occidentale di Beirut e insieme alla Falange libanese circondò i campi profughi di Sabra e Shatila.
L’obiettivo dichiarato era quello di scovare i combattenti palestinesi. Ma i campi erano privi di protezione militare: i combattenti erano andati via. Dopo dubbi e discussioni era stato deciso di accettare l’accordo proposto dagli Stati Uniti di Ronald Regan e ritirarsi dai campi profughi per evitare la strage.
Erano state date precise garanzie. Dagli USA e da Israele: una volta che usciti dal Libano i combattenti, la popolazione civile palestinese non avrebbe subito conseguenze.

Ma il 16 settembre, per 3 giorni, i campi furono rastrellati. Prima i falangisti pareva cercassero solo gli uomini. Poi hanno cominciato a prendere anche le donne e ad assicurarsi che ci fossero i bambini.
L’esercito israeliano, intanto, aveva chiuso i campi, i palestinesi non potevano uscire e ai falangisti veniva permesso di entrare. L’obiettivo politico della Falange libanese era cacciare dal Libano i palestinesi.
E poi di vendicarsi. Vendicarsi per l’assassinio del suo leader, Bachir Gemajel, ucciso due giorni prima.
In questo modo cominciò la strage, illuminata dai fari di perimetro dell’esercito israeliano.
Andò avanti per 3 giorni.

I primi che visitarono i campi dopo il ritiro israeliano descrissero l’orrore di uomini, donne e bambini chiusi in trappola e trucidati. I metodi furono violenti e sanguinari e non si disdegnò l’utilizzo della decapitazione.

Dopo 40 anni i due campi profughi sono ancora lì. Ma la memoria è viva e tramandata da associazioni, volontari, scuole, dagli adulti ai bambini.
La situazione dei palestinesi è misera, i campi sono incredibilmente sovraffollati ma gli è vietato, in Libano, acquistare abitazioni.
La condizione sanitaria è preoccupante, cavi che spostano acqua e energia elettrica pendono insieme aggrovigliati come una rete tra i vicoli sempre più stretti e le case alte e buie.
Ai palestinesi è vietato svolgere moltissimi lavori in Libano, decine.
I bambini e le bambine spesso non possono far altro che lavorare con i genitori oppure vagare soli per i campi. Le associazioni li accolgono, provano a tenerli con loro, tra attività giochi e istruzione, come fa la Beirut Atfal al Assomoud (La casa dei figli della Resilienza).
Ma le forze non bastano mai.
Il documentario è un’occasione per ricordare ma anche per aprire gli occhi sul presente.

Tratto da Pagine Esteri.

alexik

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