Il crollo della Galassia centrale

di Mauro Antonio Miglieruolo

Addì 29 maggio – 1 giugno 2011

Il titolo, tratto dalla celebre Trilogia di Asimov, tra le più lette dalla Fantascienza, ci guida direttamente agli avvenimenti in formato ridotto di casa nostra. Avvenimenti meno epici di quelli narrati da Asimov forse, ma certamente più fantascientifici[i].

Inaspettatamente più fantascientifici. Perché dico inaspettatamente? Non solo per il timore inconsulto, sorta di sindrome della sconfitta (chi è che non ne ha sofferto in questi ultimi anni?), che si è condensato in noi in seguito ai ripetuti rovesci elettorali subiti (inevitabili rovesci elettorali: guidati dal nullismo di un gruppo dirigente che sa solo arroccarsi sulle proprie pratiche verticistiche, propri tatticismi, sul sempre più angusto destrorso vedere nelle cose, è un vero miracolo se non si sia precipitati nel Black Hole di un colpo di mano dell’orgiasta di stato); ma perché ci ostiniamo a restare ciechi e quindi a disconoscere, nonostante gli insegnamenti che la storia offre, le enormi possibilità presenti in una realtà in continuo divenire e che basta a volte poco per far concretizzare.

Un molto illustre italiano, fatto morire in carcere dal fascismo e abbandonato a se stesso (e forse peggio) dallo stalinismo, usava invitare a fare appello all’ottimismo della volontà contro il pessimismo della ragione. Nelle mia ridotta dimensione di suo ammiratore, seguace in sedicesimo, preferisco far discendere direttamente l’ottimismo della volontà dalla attenta valutazione delle occasioni che la vita presenta. E ricordare a tutti che esistono più variabili espressive negli sterminati insondabili territori delle masse che variabili storiche sulle quali esercitare la propria capacità di previsione.

Ricordo quando alla metà degli anni ottanta, dopo la sconfitta epocale alla FIAT (croce e delizia del movimento operaio) e il fuggi fuggi generale nel riflusso, applicando la mia attenzione a ciò che accadeva nel paese e parlavo agli amici di ricostituzione dell’opposizione operaia (manifestatasi apertamente dopo oltre venti anni di gestazione: un niente per la storia), mi meritavo pesanti sarcasmi o esplicite accuse di vedere la Madonna. Ma io certo non volevo dire altro che quello che ho detto: delle possibilità che in continuazione il succedersi delle varie congiunture politiche offrono. E di quanto possano in tali congiunture avere effetto le scelte dei lavoratori produttivi, in particolare quelli delle grandi fabbriche (non è un caso se gli eventi di questi giorni sono stati preceduti da altri, forse ancora più clamorosi, di ribellione operaia al ricatto FIAT).

Di queste infinite possibilità e infinite risorse delle masse abbiamo avuto ulteriore dimostrazione con i risultati di lunedì trenta maggio 2011. Il battito d’ali di farfalla di due nomi nuovi provoca un nubifragio dalle parti di Arcore. Un nubifragio che può diventare uragano il 12 giugno se si riuscirà a avere il quorum per rendere validi i quattro referendum abrogativi.

Dopo tanto penare, ecco dunque il risarcimento che meritiamo e che, diciamo la verità, tutti auspicavano e quasi nessuno era ben certo di ottenere. Il timore di un ennesimo gioco di prestigio da parte del cavaliere o sciagurato soccorso dell’ultimo minuto da parte della sinistra ci faceva dubitare di noi stessi, dei molteplici segnali che provenivano da ogni parte del paese. Dai giovani, dalle donne, dagli operai, da strati persino dei ceti medi. La quale sinistra (lo possiamo dire?) vince quasi controvoglia, dopo essersi attardata nei soliti inciuci, oscillazioni, manovre di corridoio, sprezzo sostanziale dell’intelligenza della propria base che però è riuscita a obbligarla a un minimo di decenza (esempio: il minimo della candidatura Pisapia). Nessuno però avrebbe scommesso su un ribaltamento tanto radicale dei rapporti di forza. La stessa relativa passività delle masse (specificamente di quelle non costrette in prima linea), affrante da decenni di delusioni, giravolte politiche, sconfitte socioeconomiche e colpi di bastone innumerevoli, induceva a paventare al meglio un lunghissimo crepuscolo dell’influenza di chi sta letteralmente divorando il paese. E che se non cacciato in fretta finirà per farne davvero un sol boccone.

Ma ecco che, di colpo, dalla sera alla mattina, evento che solleva i cuori, il risorgere della speranza, l’affacciarsi di volti, fatti, persone nuove, lontani dal solito delle banali parole d’ordine sulla governabilità, sacrifici subito per le riforme domani, necessità del mercato e i bisogni di signora CONFINDUSTRIA. Torino, Bologna, Milano, Napoli, Cagliari ovunque il berlusconismo presenta crepe profonde. Se vince, vince faticando e se perde, perde alla grande. È bastato che in alcuni luoghi vi fosse un piccolo spostamento a sinistra per determinare un coagulo di forze sufficiente a aprire prospettive ben più ampie di un banale evento elettorale.

Continuerà questo trend positivo? La verifica l’avremo presto, fra altri quindici giorni. Oggi è ancora impossibile, nonostante gli ottimi risultati conseguiti, fornire risposte certe. Le forze nuove che stanno emergendo, forze fin troppo moderate, ma che al cospetto del nulla della “sinistra” ufficiale sembrano annunciare chissà quale radicalità, sono ancora troppo deboli per poter assumere la direzione dello scontro politico. La cui gestione in effetti, senza farsi troppe illusioni, è nella mani di un gruppo dirigente (quello del PD) che ama definirsi di sinistra, si rivolge a un pubblico di sinistra, ma ha una chiara collocazione di destra. Che proprio per questo è inadatto a affrontare e vincere un avversario con il quale sulle questioni decisive (politiche estera, alias guerra, marchionismo, precariato, svendita del patrimonio pubblico, pensioni ecc.) non ha posizioni veramente alternative da mettere in campo (esclusa una: il galateo istituzionale).

Non è detto però che il crescente pericolo che fa tremare il paese non li porti a assumere posizioni di classe più coerenti con gli interessi storici della borghesia, quindi più coerenti con i propri interessi di sopravvivenza. Gli “umori” della Confindustria sono oggi tatticamente troppo dislocati sull’erosione dei diritti e dei salari per offrire spazi reali a una politica, quella del PD, che vorrebbe trovare consensi tra l’elettorato popolare, ma che finora non è riuscito a esprimere (nel governo e fuori dal governo) una rappresentazione sincera (non troppo mistificata) dell’operare politico parlamentare (vedi Governi Prodi-D’Alema e liquidazione mascherata da privatizzazione del patrimonio pubblico, ingresso senza predisporre controlli nella moneta europea, guerre umanitarie, e precariato a gogò). Come non è riuscito a esprimere alcunché in favore della stipula di accordi seri tra sindacato e padroni. Porsi in una prospettiva più alta e storica offrirebbe al PD la possibilità di prendere posizione nel probabile “scontro finale” che si annuncia) con un ruolo di mediazione vitale per il paese. Perché se intervenisse nell’agone dotato di un programma minimo in grado di ottenere non la generica adesione ma la mobilitazione di operai, impiegati, precari, addetti ai servizi, pensionati e strati di piccola borghesia collassata o in procinto di collassare, dissuaderebbe il padronato dal cercare quella “soluzione finale” per la quale è in tentazione e che lo escluderebbe definitivamente dalla possibilità di svolgere un ruolo significativo. Ritagliando un piccolo spazio alle forze progressiste ne otterrebbe uno grande per sé.

Il problema è che questo programma minimo (eclisse dei contratti a perdere, limiti all’uso del lavoro precario, ridimensionamento del ruolo dell’Italia nell’eterna guerra contro il Terzo Mondo, contenimento degli eccessi del grande capitale in genere e finanziario in particolare, inversione di tendenza sulle privatizzazioni) appare fin troppo massimo per il gruppo dirigente del PD dei nostri giorni. È possibile dunque che il partito rimanga in mezzo al guado, indotto a muoversi nella direzione indicata dalla pressione dal basso e incapace di farlo condizionato dalla collocazione conservatrice nella quale per troppo lungo tempo si è posizionato. Cioè mantenersi nel proprio inveterato nullismo (Veltroni docet).

Si tratta comunque della condizione essenziale per avere la certezza di infliggere tra due anni, probabilmente anche prima, una pesante sconfitta alla alleanza reazionaria PDL-Lega. “Mandando a casa” quindi non solo Berlusconi, ma recitando un de profundis anche al berlusconismo.

Che è il vero obiettivo intermedio, anzi: le forche caudine, sotto le quali bisogna passare (pensate ai poveretti che si troveranno in obbligo di lavorare fianco a fianco con i Veltroni e i D’Alema di domani! – che potrebbero persino essere gli stessi di oggi!), per arrivare a un governo effettivamente democratico, un govermo in grado di promuovere quei cambiamenti di cui i lavoratori hanno bisogno per essere non dico padroni in casa propria, ma almeno inquilini non più sotto sfratto.

 

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[i] Almeno in quanto a dimensioni, stravaganza e rapporto qualità-prezzo delle munizioni politiche adoperate. Poco utilizzato, alto il risultato. Proprio come nella fantascienza. Mezza pagina di descrizioni e una gigantesca astronave messa a disposizione. Vittoria assicurata. Lo dico perché non vorrei che qualcuno tra noi si facesse illusioni sul valore che, al fine di un effettivo passo in avanti della coscienza e del potere delle masse, può avere la personalità di un eccellente qualsiasi, fosse anche il migliore e le sue mani pulite!

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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