Il disastro delle Regioni

di Franco Astengo

Sotto il titolo “Uno spettacolo indecoroso” Stefano Cappellini ha affrontato – il 5 novembre su «Repubblica» – il nodo del disastro politico, istituzionale, morale realizzato in queste ultime convulse settimane dai Presidenti di Regione.

Lasciando da parte il dato di un ceto politico complessivamente inadeguato, tra centro e periferia, Cappellini ha sviluppato un’analisi giustamente impietosa concludendo “Quando la situazione lo permetterà, bisognerà riflettere a fondo sui danni di una riforma, quella del titolo V della Costituzione, varata in fretta e furia dal governo Amato all’inizio del secolo (2001) per inseguire l’allora Lega di Umberto Bossi, che si è rivelata un pasticcio in tempi felici e una vera disgrazia nei tempi difficili che ci troviamo a vivere”.

Questa riflessione però non va rinviata a causa dell’emergenza, interessando prima di tutti quanti si muovono nell’ambito della difesa costituzionale e del tipo di democrazia repubblicana così come era stata disegnata da quella nostra Carta fondamentale troppo spesso messa in discussione.

All’interno di un quadro di grandissima difficoltà che attraversa l’intero sistema politico italiano si distingue un vero e proprio “buco nero” rappresentato dal fallimento dell’ipotesi di decentramento dello Stato imperniato sull’Ente Regione .

Un fallimento che nei mesi scorsi, quando si parlava di autonomia differenziata, si stava affrontando attraverso un approccio posto esattamente alla rovescia rispetto a ciò che dovrebbe servire proprio alle Regioni economicamente e socialmente più forti. E’ già stato ricordato come la nascita delle Regioni, prevista nella Costituzione e poi fortemente richiesta dalle sinistre, in particolare nella fase del primo centrosinistra negli anni’60, fu fortemente ritardata dalla DC per timore che il Partito Comunista dimostrasse, in quel modo, la propria capacità di governo.

Gli elementi portanti della crisi che adesso si pone in grande evidenza sono sorti principalmente nel corso della legislatura 1996-2001 con il centrosinistra al governo del Paese, attraverso l’adozione di due provvedimenti rivelatisi del tutto esiziali:

a) l’elezione diretta del Presidente (da allora denominato da una stampa di basso profilo come Governatore)

b) la modifica del titolo V della Costituzione

La forte spinta che la Lega Nord aveva portato fin dalla fine degli anni’80 prima sul terreno della “secessione” e dell’indipendenza e poi della devolution aveva portato la sinistra, in particolare quella ex-PCI, a tradire la propria solida tradizione autonomistica che pure, negli anni’70 del XX secolo – alla guida delle più grandi città oltre che di Regioni collocate al di fuori dalla tradizionale “zona rossa” – aveva dato prova di “buon governo”.

L’elezione diretta del Presidente della Regione e la modifica del titolo V della Costituzione hanno rappresentato gli elementi portanti di un fenomeno di tipo degenerativo che oggi si presenta in tutta la sua gravità: quello della trasformazione dell’Ente Regione dalla funzione legislativa e di coordinamento amministrativo a soggetto esclusivamente adibito a compiti di nomina e di spesa. L’elezione diretta del Presidente di Regione ha finalizzato per intero l’attività dell’Ente alla costruzione di macchine per il consenso politico personale favorendo l’elargizione a pioggia delle risorse, distribuendo le nomine per vie neppure partitiche ma di corrente o di “cerchio magico” esaltando la logica di scambio all’interno stesso dell’Ente. Hanno poi fatto registrare un fallimento clamoroso quei comparti affidati per intero alla gestione regionale: in particolare la sanità – dove si sono aperte le porte all’egemonia della privatizzazione speculativa – e i trasporti. Si è elevato alla massima potenza il deficit, i servizi sono paurosamente calati di qualità, il clientelismo è stato elevato vieppiù a sistema. Fattori non esclusivamente legati alla conduzione delle Regioni hanno inoltre determinato un ulteriore allargamento delle disuguaglianze sociali in diverse parti del Paese (ed è questo un punto d’intervento politico completamente trascurato). Il tema delle disuguaglianze e dell’impoverimento complessivo è stato poi affrontato dal rampantismo di retroguardia del M5S con il rilancio in grande stile dell’assistenzialismo e dalla destra con l’esplosione del nazionalismo populistico.

Andando al punto: le Regioni sono assolutamente da ripensare. Un ripensamento che non può certo verificarsi sul piano semplicisticamente propagandistico della cosiddetta “autonomia differenziata”.

Deve essere anche ricordato che è rimasto in piedi il valore costituzionale delle Province, valore costituzionale confermato da un largo voto popolare che ne ha bocciata la riforma nell’ambito del (fallito) progetto di revisione costituzionale del PD.

La vicenda dell’emergenza sanitaria di questi mesi ha funzionato da vera e propria cartina di tornasole per mettere ancor meglio a fuoco questo disastro, al punto in cui la Conferenza dei Presidenti di Regione (eletti direttamente e attenti soltanto alla propria immagine e al proprio personale tornaconto politico) si è trasformata in una sorta di Consiglio dei Ministri parallelo, causando fenomeni di vera e propria confusione, tanto per definire la vicenda attraverso eufemismi.

Una confusione tanto più deleteria per la credibilità delle istituzioni considerata la debolezza del Governo, la precarietà dell’attuale maggioranza, l’aggressività perniciosa della destra (del resto ben rappresentata a livello di vertici regionali).

Le vignette – scelte dalla “bottega” – sono di Mauro Biani.

 

Redazione
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7 commenti

  • Le regioni vanno abolite come strumento dj governo. Questo è quello che penso… https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10217831010990298&id=1333245824

  • Anche se oggi può sembrare un pio desiderio, un atto di fede, credo che solo con una rivoluzione potremmo iniziare a cambiare tutto.
    Lo diceva anche il buon Mario Monicelli:
    https://youtu.be/YeR7whMvREI

  • L’esperienza di due, diversissime, regioni a statuto speciale è stata, per molto tempo, l’ammonimento non ascoltato a non perseguire oltre il regionalismo: Il Trentino-Alto Adige che si è strutturato come vasto sistema di clientele, succhiando denaro allo Stato con il ricatto del ridicolo indipendentismo filo-tedesco. La Sicilia, dove i partiti hanno sempre cercato, più o meno di nascosto, le clientele mafiose ed altre forme di alleanza sociale con la micro borghesia isolana, per ottenere il predominio locale. Solo il PCI aveva segnato un rifiuto ed una opposizione a questi fenomeni. I miserabili eredi di questo partito, che ne sono stati gli affossatori, oggi competono allegramente nel sistema politico con gli eredi della D.C. nello sgoverno degli enti locali.

  • Franco Astengo ha scritto un articolo esemplare che ci riporta agli anni 1996-2000, gli anni in cui il centrosinistra, allora al governo, apparve solo preoccupato dalla forte spinta della Lega Nord che avrebbe gestito la solida tradizione autonomistica in chiave secessionista. La modifica del Tit.V,
    l’elezione diretta del presidente della Regione sono tra le derive che oggi
    incombono su di noi.
    L’ Associazione Nazionale “Per la Scuola della Repubblica”, in concomitanza
    con le modifiche qui denunciate dall’autore, si oppose allora fortemente
    allo stravolgimento del concetto di “autonomia” , soprattutto sul terreno dell’istruzione, richiamandosi all’Art.5/Cost che definisce l’Italia “unica e indivisibile” e affida alle autonomie locali le funzioni del decentramento amministrativo. Le Regioni sono divenute ben presto centri di potere, grazie
    alle concessioni erogate nel modificato Tit.V .

  • Condivido quanto da Astengo e non posso fare altro che aggiungere un altro importante aspetto, o problema, o errore da affrontare, modificare, annullare.
    Ma non staranno diventando troppi?

  • Il titolo V è stato stravolto nella sua dizione originale perchè le cose non capitano per caso nella politica. La cosidetta sinistra non ha affatto dato prova di buon governo nelle regioni se non con sparute situazioni su spinte sociali. Anzi l’ha cavalcata in alcune accezioni come ad es la Liguria dove per citarne una la privatizzazione della sanità è cominciata con il Famigerato Burlando che col vento in poppa pur avendone la possibilità di maggioranza non ha fatto un solo passo verso una politica sociale, nei trasporti compresa portualità, nella gestione dei parchi, nel welfare, nella gestione dei così detti beni comuni(acqua, suolo, energia, ecc). In sintesi ci sono ampi margini di miglioramento ma costruzione di un idea diversa e apprezzabile di struttura istituzionale dovrebbe almeno andare di pari passo con con un idea condivisa (e quindi discussa con la gente) di quale sviluppo sociale e riferito a quali obiettivi. Il federalismo può essere un sistema utile come il centralismo, sono forme di struttura che però devono avere regole precise su quale sia il modello di sviluppo, poichè deve esserne veicolo e tramite organizzato.. Ad oggi questo aspetto viene saltato a piè pari e allora l’unica riforma che va avanti è quella utile ai grandi poteri dai Big Farma ai costruttori, ai grandi produttori di infrastrutture, ecc in cui ognuno permeando il terreno ahimè fertile nella politica della corruzione e della pressione lobbistica cambiano alcune cose perchè tutto proceda uguale. Il cambiamento che hanno in testa Benetton, Tronchetti Provera, Gavio sarà lo stesso dei 9 milioni di cittadini dentro la soglia di povertà? Dipende da quale scelta vogliamo fare ognuno di noi di schieramento il cambiamento del titolo V

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