Il filo spinato della psichiatria

Dopo una visita alla Rems di Bologna

di Vito Totire (*)

Dal 1978 – cioè dalla legge detta Basaglia – ci siamo chiesti tutti i giorni che senso avesse l’Opg (ospedale psichiatrico giudiziario). Dopo un lungo periodo di rimozione e di ipocrisia si è giunti al “superamento” della antica istituzione totale trasformata in REMS. Un passo avanti ma non è tutto risolto: la Rems – residenza per la esecuzione della misura di sicurezza – rimane un luogo in cui qualcuno è costretto contro la sua volontà, quindi di detenzione ma deve tendere il più possibile a essere un luogo di “cura”.

Nel suo ultimo rapporto semestrale sulle carceri la Ausl di Bologna ancora una volta non ha incluso la Rems fra i luoghi da visitare, come ha sempre bypassato il Cie quando esisteva. Ma la Ausl ha sbagliato perchè tutti i luoghi in cui la persona permane contro la propria volontà (compresi quelli in cui si effettuano i Ttssoo – trattamenti sanitari obbligatori – e le celle della questura) devono essere oggetto di vigilanza.

Il discorso è aperto. La gestione e l’organizzazione interna della Rems devono essere prese in esame per valutare il rispetto dei diritti umani e per evitare costrittività immotivate e inique.

Durante il Tso la persona può comunicare con chiunque ritenga opportuno (24ore al giorno); nella Rems no?

C’è molto da capire del funzionamento interno dei luoghi citati dal punto di vista relazionale e psicosociale.

Per quel che riguarda la Rems di Bologna l’ambiente è pulito, quasi asettico, diciamo dignitoso cioè l’opposto delle macabre visioni che avemmo dell’ultimo opg (Barcellona Pozzo di Gotto) della nostra storia italiana. Gli operatori sprizzano impegno e alta motivazione a far bene. Ma se qualcuno osserva, anche da fuori, superato il primo cancello su via Terracini, ecco lo scintillio del filo spinato che corona gran parte del perimetro della struttura.

Se si ha una idea della psichiatria (dal volto umano) come prassi del farsi carico socialmente delle ferite dell’anima, la visione del filo spinato fa venire una fitta allo stomaco. Siamo ipersensibili? Possibile. Però non si risponde al tentativo di fuga o alla fuga effettiva di una persona reclusa con “filo spinato per tutti” evocando altri luoghi di orrori che vogliamo non si concretizzino mai più.

Sono stati sentiti gli “ospiti” su come percepiscono un “arredo” che ha connotato storicamente i lager e oggi (in Europa, in altri continenti è diverso) piuttosto canili e pollai ?

Il filo spinato è un messaggio fin troppo chiaro che non facilita percorsi di riabilitazione: emblema di un posto da cui è necessario a tutti i costi fuggire. Il filo spinato rinvia, a chi lo subisce, un’immagine di sé come persona pericolosa da cui la comunità circostante vuole a tutti i costi difendersi… Diamo un taglio – con una cesoia – a questo filo spinato!

(*) Vito Totire è psichiatra e medico del lavoro

IN “BOTTEGA” cfr Rems e “pericolosità sociale” – una guida del Telefono Viola di Piacenza – Il mito della chiusura dei manicomi, Ancora manicomi e La storia di Sara (scritta dai genitori della ragazza, un’odissea fra Opg e Rems)

 

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