Guatemala: crisi diplomatica con la Colombia

Nel suo ultimo scorcio di mandato il presidente Alejandro Giammattei cerca di utilizzare il caso Odebrecht in chiave politica per riabilitare politici a lui vicini e attacca Gustavo Petro e l’attuale ministro della Difesa colombiano Iván Velásquez, dal 2013 al 2017 alla guida della Comisión Internacional Contra la Impunidad en Guatemala (Cicig), del quale ne auspica la cattura tramite mandato internazionale.

di David Lifodi

È passata sotto silenzio, intorno alla metà di gennaio, la crisi diplomatica, ancora persistente, tra Guatemala e Colombia, scatenata dalle provocatorie dichiarazioni del mandatario del paese centroamericano Alejandro Giammattei nei confronti del suo omologo colombiano Gustavo Petro.

Giammattei ha accusato Petro di essere un “guerrigliero e narcotrafficante” a seguito del tentativo del Pubblico Ministero guatemalteco di processare l’attuale ministro della Difesa colombiano Iván Velásquez per il suo ruolo rivestito nell’ambito della Comisión Internacional Contra la Impunidad en Guatemala (Cicig), attiva tra il 2013 e il 2017 prima di essere sciolta a seguito dei ripetuti attacchi da parte delle destre.

Il duro, quanto immotivato attacco a Petro, è stato lanciato in occasione di un’intervista rilasciata all’agenzia spagnola EFE. È stato proprio in quella sede che Giammattei ha definito la Colombia un paese dove “i narcotrafficanti vengono rilasciati insieme a persone che hanno compiuto omicidi durante il conflitto armato”.

Verrebbe da pensare che prima di guardare in casa altrui, Alejandro Giammattei, il cui mandato presidenziale è in scadenza a fine giugno, dovrebbe pensare ai problemi del proprio paese, travolto da una crisi economica senza fine, messo in ginocchio da una corruzione dilagante e in cui la criminalità e la violenza la fanno da padrone esattamente come in altri paesi latinoamericani.

Entrambi i paesi hanno richiamato l’ambasciatore della rispettiva controparte, ma sembra che sia il Guatemala ad insistere nel cercare lo scontro contro il governo colombiano e a rompere i quasi 200 anni di fraternal relación non solo a parole, ma istruendo un processo contro Iván Velásquez, fino a sei anni fa a capo della Cicig.

La giustizia guatemalteca sostiene che Velásquez sia coinvolto nel caso di corruzione del più ampio filone d’indagine su Odebrecht, la multinazionale brasiliana a cui l’attuale ministro della Difesa colombiano, in qualità di capo della Cicig, avrebbe concesso l’approvazione per accordi di cooperazione, secondo quanto sostiene il giudice guatemalteco Rafael Curruchiche.

Nel quinquennio durante il quale Velásquez è stato a capo della Cicig erano state smantellate decine di strutture criminali e di corruzione che si erano installate all’interno delle istituzioni del paese centroamericano. L’ordine di cattura nei confronti di Velásquez sembra far parte della strategia dell’oligarchia guatemalteca che ha fatto di tutto per screditare anche la ex giudice Thelma Aldana, che a sua volta aveva lavorato insieme allo stesso Velásquez nel tentativo di stroncare la corruzione dilagante all’interno dei palazzi del potere del Guatemala.

Rafael Curruchiche sarebbe invece in possesso di una mail dove viene provata la presenza di Velásquez, e Aldana, nella sottoscrizione di accordi di collaborazione con Odebrecht, una prova, per lui, che entrambi erano “a piena conoscenza dei traffici con la multinazionale brasiliana”.

Velásquez ha mostrato tranquillità ricordando di aver sempre agito all’insegna della massima trasparenza, mentre Petro ha ribadito che non accetterà mai un ordine di cattura emesso contro il suo ministro, evidenziando come la sua nomina fosse arrivata dalle Nazioni Unite e che, di fronte al suo presunto coinvolgimento da parte delle autorità guatemalteche, avrebbe rotto immediatamente le relazioni diplomatiche con il paese centroamericano.

Da parte del Guatemala è evidente il tentativo di utilizzare il caso Odebrecht in chiave politica per attaccare coloro che hanno investigato sulla corruzione nelle istituzioni del paese, come dimostrato anche dal nuovo ordine di cattura emesso dalla Fiscalía Especial contra la Impunidad nei confronti di Thelma Aldana, e la ex funzionaria della Cicig Luz Adriana Camargo, anch’essa colombiana, allo scopo di scagionare Alejandro Sinibaldi, ex ministro della Comunicazione guatemalteco coinvolto nel pagamento di tangenti a Odebrecht in cambio dell’attribuzione di appalti all’ex candidato alle presidenziali per il partito, adesso non più esistente, Libertad Democrática Renovada (LIDER), Manuel Baldizón. Quest’ultimo è stato scarcerato lo scorso 11 gennaio.

Il caso Odebrecht riguarda le cui attività di costruzione a seguito di appalti affidati tramite tangenti ed ha coinvolto 12 paesi, in gran parte latinoamericani. Nel 2011 il Congresso guatemalteco, dove all’epoca l’estrema destra del Partido Patriota, poi coinvolto nello scandalo dell’inchiesta “La Línea” (fatto emergere grazie a Thelma Aldana e travolgendo l’allora presidente Otto Pérez Molina e la sua vice Roxana Baldetti), anch’esso derivante da episodi di corruzione, aveva approvato la concessione di numerosi appalti pubblici ad Odebrecht. In seguito, quest’ultima aveva provveduto a ricompensare i politici favorevoli ai suoi desiderata.

Per riabilitare Baldizón e Sinibaldi, adesso Rafael Curruchiche sostiene che Aldana e Velásquez erano a conoscenza delle “oscuras negociaciones” solo perché entrambi si erano espressi favorevolmente ad un accordo di collaborazione con Odebrecht, ma senza alcuna prova specifica.

Piuttosto, quello che sta accadendo sembra un monito chiaro e diretto a tutti coloro che cercano di far luce sulla corruzione in Guatemala: se indagate troppo verrete a vostra volta indagati.

Da qui la crisi diplomatica tra Guatemala e Colombia, scatenata da un presidente, Giammattei, che, in questo suo ultimo scorcio di mandato dovrebbe preoccuparsi di uscire al meglio dall’Esame periodico universale (Epu) in sede Onu, dove è stata confermata la forte preoccupazione, già espressa quattro anni fa, per i passi indietro nello stato di diritto, in merito alla criminalizzazione degli operatori di giustizia, dei giornalisti e degli attivisti dei diritti umani, e della crescente violenza di cui sono vittime donne e adolescenti, invece di cercare lo scontro con un altro paese.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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