Il latifondo mediatico cileno

L’oligarchia cilena è padrona di gran parte dell’informazione del paese andino e gestisce la diffusione delle notizie a proprio piacimento. La controinformazione resiste, ma solo sul web. Lo studio del politologo francese Franck Gaudichaud.

di David Lifodi

I grandi media mentono e manipolano le coscienze per mantenere i privilegi dell’elite dominante”: così si esprimeva nel febbraio 2020 l’Unión Nacional de Colegio de Periodistas a proposito del latifondo mediatico cileno. L’analisi del politologo francese Franck Gaudichaud, ripresa su Rebelión, dimostra che in Cile l’informazione è nelle mani della stampa embedded, gestita principalmente da pochi grandi potentati economici.

El Mercurio, Copesa e il gruppo Prisa sono tra i padroni dell’informazione di tutto il paese. Al tempo stesso, la loro campagna di discredito contro i movimenti sociali, gli studenti, i mapuche e le organizzazioni popolari che lo scorso ottobre hanno dato vita all’estallido social contro il paquetazo di Piñera, si è mantenuta costante nel corso degli anni, se è vero che già in occasione delle lotte studentesche del 1967 si era diffuso uno slogan dal significato inequivocabile: El Mercurio miente!

Attivi fin dai primi anni Settanta per sostenere l’avvento del regime militare e poi divenuti quasi organi di propaganda del pinochettismo, fino a giustificare il terrorismo di stato, i giornali che fanno capo a El Mercurio (il più antico quotidiano latinoamericano) appartengono alla famiglia Edwards. Non a caso, fa notare Gaudichaud, il capostipite Augustín Edwards giocò un ruolo chiave nel colpo di stato contro Pinochet, tanto da essere lautamente ricompensato dalla Cia. Apertamente conservatore e neoliberista, El Mercurio, insieme a quotidiani a tiratura nazionale sotto il suo controllo, da La Segunda a Las últimas noticias, rappresenta un avversario di primo piano per i movimenti sociali.

A questo proposito, l’Observatorio Latinoamericano de Regulación de los medios definisce il caso cileno come un’oligarchia mediatica in un contesto dove già abbonda la stampa conservatrice, basti pensare all’impero di Globo in Brasile. Se la libertà d’informazione è considerata un diritto umano fondamentale, in Cile è presente invece un’iperconcentrazione mediatica, come testimoniato anche dalla presenza di un altro gruppo dominante, Copesa a cui appartiene, tra gli altri, il quotidiano La Tercera. La proprietà di Copesa è nelle mani di Álvaro Saieh, uno degli uomini più ricchi del Cile insieme alla famiglia Luksic, a sua volta alla guida di un impero di radio e catene televisive come Canal 13 e Uctv. Lo stesso Piñera, attualmente presidente del paese, è stato proprietario di un canale televisivo, informa Gaudichaud, ceduto soltanto poco prima della campagna elettorale. Si capisce quindi la facilità con la quale la stampa di regime, mai termine è stato più appropriato, in questo caso, abbia creato le premesse favorevoli al colpo di stato dell’11 settembre 1973 e al perpetrarsi alla Moneda di Augusto Pinochet.

La presenza costante dei grandi gruppi capitalisti nell’informazione cilena è servita inoltre per delegittimare l’estallido social, focalizzando le notizie soltanto sull’equazione protesta sociale = violenza, tacendo sugli episodi di repressione più imbarazzanti di cui si sono resi responsabili i carabineros e sorvolando a proposito della gestione del tutto inadeguata del governo di fronte all’emergenza sanitaria dovuta al corona virus.

Più che nelle edicole, la controinformazione cilena si è sviluppata sul web, soprattutto a seguito del forte attacco scatenato contro il pluralismo dell’informazione di cui ne ha fatto le spese, ad esempio, la storica rivista della sinistra cilena Punto Final, diretta per molto tempo da Manuel Cabieses. I grandi gruppi economici esercitano un forte controllo anche sulla distribuzione della stampa, per questo non è facile acquistare El Siglo, pubblicazione del Partito comunista cileno, o l’edizione cilena di Le monde diplomatique, la cui tiratura è limitata a poche migliaia di copie a causa di problemi economici.

Lo studio di Franck Gaudichaud ha analizzato anche la presenza in rete di periodici a diffusione nazionale come El Mostrador e El Ciudadano, segnalando inoltre El Desconcierto, altra pubblicazione on line che racconta il Cile nascosto dai media di orientamento ultraconservatore.

L’informazione indipendente rappresenta un tentativo di democratizzazione mediatica sull’esempio di Clarín, vicino all’Unidad Popular di Allende, firmemente al lado del pueblo. Oggi anche Clarín, da non confondersi con il quasi omonimo quotidiano argentino, vicino ai militari e tuttora parte attiva dell’oligarchia mediatica di Buenos Aires, vive solo sul web. All’insegna dello slogan della vecchia Indymedia, Non credere ai media, creali, la controinformazione cilena viaggia su internet, si pensi anche all’esempio della tv comunitaria Canal Señal 13, ma restano spazi di nicchia.

La concentrazione mediatica, che Unidad Popular non riuscì a sconfiggere, di cui anzi finì per esserne vittima, continua a rappresentare un problema in un paese dove la stampa conservatrice ha buon gioco nel giustificare gli episodi di repressione nei confronti dei movimenti sociali.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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