Il maestro di Regalpetra: ricordando Leonardo Sciascia

di Giovanni Carbone

Faccio gli auguri al Maestro , nel centenario della sua nascita, con qualche ritardo, tuttavia non desisto: sono animato da buoni propositi. Non desisto poiché il compleanno è di persona assai in vista, di cui tanti, e di prestigio, hanno detto, dicono e diranno, pure ne scrivono (vi potrei fare un elenco dettagliato e preciso, senza tema di smentita, di quelli che fanno gli auguri più mirabolanti). Mi pongo perciò in posizione defilata così d’essere tacciato di presunzione, poiché i miei auguri li (ri)faccio in ritardo e non metto in imbarazzo nessuno di quelli di cui sopra. Mica mi voglio mettere a certi pari… Io che parlo coi sassi, sono praticamente un disadattato, sfioro il border line, ad essere ottimisti.

Il Maestro di Regalpetra l’ho incontrato alcune volte ch’ero molto giovane, titolare di assai più capelli pure dai cromatismi definiti. Mi fu anche presentato, almeno tre volte, e se si esclude la prima, per le altre si replicò la liturgia, segno d’un passaggio inosservato degli antecedenti, cui non m’opposi, più per pudore che per orgoglio. Del resto, allora, al massimo, frequentavo luoghi di risacca, e le partenze non mi si confacevano. Ed un’isola è piccola e chiusa per definizione. Gira, gira, alla fine ci si incontra. Foss’anche per un rosolio alla cannella in riva ad un bar. Ad ogni buon conto, un secolo fa, l’8 gennaio 1921, nello stesso anno del PCI, nasceva a Racalmuto, in provincia di Agrigento, Leonardo Sciascia. È stato tra gli intellettuali e scrittori italiani più rilevanti del secolo scorso. Nisticò, storico direttore dell’Ora di Palermo, l’avrebbe definito siciliano di scoglio, per la sua ritrosia – forse ripulsa, persino – a lasciare, anche solo per brevi periodi, l’isola. Eppure la sua opera, organicamente incentrata sullo studio delle viscere della Sicilia, del suo lato oscuro, lo rende protagonista della letteratura internazionale, poiché ha reso il racconto della sua terra l’archetipo illustrativo delle contraddizioni umane. La sua scrittura era tagliente, acuta, disvelava in ogni passaggio la sua conoscenza profonda del carattere dei siciliani, ne metteva a nudo il dispiegarsi in tremila anni di storia, in una sorta di continuità che ha fagocitato impietosamente ogni sovrapposizione culturale. Una Sicilia oppressa che ha reso i siciliani propri stessi oppressori, li ha inesorabilmente integrati nella natura ambigua in cui verità e menzogna si inseguono in un gioco permanente di specchi. Come volesse riprodurre ciò che l’immagine geografica di quella terra ha voluto restituire con la sua forma, tripartita, triplice, triangolare, in un ritorno costante e circolare a quel tre che, oltre la perfezione del numero, incarna la somma del primo pari e del primo dispari, articola il tutto esattamente alla stregua del suo esatto contrario. Molti suoi scritti, hanno la caratteristica di riprodurre le dinamiche diacroniche di un rapporto autorigenerantesi all’infinito tra vittime e carnefici. La sua stessa concezione della rinascita dell’isola era sviluppata sulla contraddizione tra la necessità ineluttabile di un processo rivoluzionario e la constatazione della sua stessa irrealizzabilità. Allo specchio mette, ne “Il giorno della civetta”, il capitano Bellodi e il padrino don Mariano Arena, in un dialogo amplificato dal film tratto dal romanzo e per la regia di Elio Petri. In quell’occasione, Sciascia fu accusato di volere in qualche modo legittimare la vecchia mafia, tutto sommato permeata ancora da un “codice d’onore”. In realtà, alla luce della produzione complessiva del maestro di Racalmuto, pare piuttosto che emerga una sorta di tacito riconoscimento del padrino allo stato come proprio “affidabile” interlocutore. Nel breve spazio di un dialogo, Sciascia ripropone insieme la questione meridionale, la subcultura mafiosa, ma anche la sostanziale accondiscendenza dello stato, per un gioco delle parti protrattosi sin dall’Unità d’Italia, che ha consentito all’organizzazione criminale di divenire “una” delle tante espressioni manifeste del potere e di evolversi sino a dimensioni allora insospettabili. Insospettabili proprio per benevolenza istituzionale. “La mafia se non ci fosse bisognerebbe inventarla”, diceva Scelba, da ministro dell’interno, assai proteso più a soffocare le rivolte contadine nell’isola, piuttosto che a proteggere le vittime della sopraffazione mafiosa. Ma anche per una qualche distrazione da parte di pezzi consistenti della stampa, compresa quella locale, che, come certi consigli comunali – dunque, anche della politica -, diceva Sciascia, preferiscono parlare del Vietnam che delle cose immediatamente fuori dell’uscio di casa.

Lui, invece, vuole vederci chiaro. Individua nella mafia la ricomposizione sociale, politica, culturale di eventi storici. La sua genesi, la sua esplosione, la sua straordinaria capacità criminale, non è frutto del destino cinico e baro, o di una sorta di deriva genetica dei siciliani, ma della precisa combinazione di obiettivi strategici, di natura politica ed economica, e della miseria, della destrutturazione culturale di un intero popolo messa in atto cinicamente. E non vi sono né sollevazioni popolari, né uomini dotati di raffinatissimo intelletto che vi possano porre rimedio. In qualche modo, Sciascia usa i suoi personaggi come burattini o marionette di questa trama già scritta. Il loro apparire sulla scena è la recita a soggetto, ciò che li precede è già noto, inutile reiterarne la genesi. I suoi personaggi sono prigionieri della storia, ed interpretano il ruolo che questa ha riservato loro. Non godono di alcuna libertà, non riescono nemmeno per un attimo ad essere artefici del proprio destino. In questo senso, forse, la sua narrativa è spietatamente antipirandelliana, poiché l’altro agrigentino certamente lasciava, pur mantenendone per sé il controllo con fili sottilissimi, margini al libero arbitrio dei suoi personaggi, perché fossero protagonisti della propria stessa vicenda umana.

Nella sua scrittura, Sciascia appare dotato di una capacità straordinaria di sintesi, a fronte di un profondissimo acume analitico. I fatti vengono eviscerati, scandagliati da ogni angolazione, disvelati nella loro contraddittorietà e quindi esposti senza nulla concedere all’improvvisazione narrativa. Ma nella sintesi efficace non si abdica all’espressione sorprendente, all’invenzione letteraria, ad un linguaggio superbo, colto, elegante. Il ruotare intorno alle vicende storiche e umane, all’osservazione attenta e minuziosa d’ogni più recondito ed apparentemente insignificante dettaglio, sembra essere l’esatto contraltare della sua postura statica. Immobile, come la statua che campeggia sulla piazza del suo paese natale, con l’immancabile sigaretta in mano, Sciascia si è assicurato un posto in prima fila nel teatro degli accadimenti, la cui rapidissima e folle corsa li porta a roteare intorno a lui perché ne possa cogliere le più impercettibili sfumature.

La sua coerenza è granitica, non ha mai inteso giustificarsi di quanto detto e scritto. Ho già detto delle critiche a “Il giorno della civetta”. I suoi interventi da deputato contro il duro trattamento che veniva riservato ai terroristi, gli era valsa l’accusa di una sorta di accondiscendente benevolenza nei confronti di questi, e critiche feroci aveva suscitato l’articolo pubblicato dal Corriere della Sera “I professionisti dell’antimafia” – titolo che, invero, non aveva scelto lui – in cui attaccava le modalità di selezione dei magistrati impegnati nella lotta alla mafia. In quell’occasione, pure per il riferimento esplicito a Paolo Borsellino, fu al centro di polemiche alimentate dai suoi detrattori che si erano spinti a definire quello scritto come un regalo alla mafia ed un’aggressione gratuita a chi cercava invece di contrastarla. Ma se, nel primo caso, è ovvia la natura di recupero dello stato di diritto – non è possibile derubricare la lotta alla tortura come un semplice orpello protoumanitario, al cospetto del pericolo ancorché oggettivo del terrorismo (quale riferimento vertiginoso a “In morte dell’inquisitore”) – nel secondo, la riflessione non fu così ben accetta, tanto più che arrivava a valle della stagione della guerra di mafia. Sciascia, con scarna puntualizzazione, precisò che lo stesso trattamento “benevolo” riservato a Borsellino non valse per Giovanni Falcone. Fatte salve le differenze contestuali tra quel periodo e le sabbie mobili dell’attualità, in quanti, oggi, si sentirebbero di criticare quel j’accuse alle modalità di attribuzione degli incarichi in magistratura? Romanzi come “Todo modo”, “Una storia semplice”, “A ciascuno il suo”, dovrebbero essere dotazione organica delle scuole d’ogni ordine e grado. E l’obiezione della loro specificità regionale non ha fondamenta: quanto pensate che uno studente di Cefalù possa riconoscere come parte della propria identità un’immagine quale “quel ramo del Lago di Como che volge a mezzogiorno”?

Sciascia è stato un intellettuale autentico, non s’è accomodato, men che mai posizionato. Ha mantenuto distanza critica costante dal potere poiché quello era suo compito statutario, l’unico che consente all’intellettuale di contribuire a cambiare lo stato di cose esistente.

In “bottega” cfr Leonardo Sciascia e la letteratura come…, La coscienza di Giorgio Galli e di Leonardo Sciascia, L’attualità di Sciascia… e la retorica dell’antimafia e Sciascia e l’antimafia: trent’anni di polemiche

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Redazione
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Un commento

  • Domenico Stimolo

    Se la Regione Sicilia veste Sciascia con l’orbace
    Giuseppe Carlo Marino

    da Patria Indipendente – di ANPI Nazionale
    https://www.patriaindipendente.it/idee/cittadinanza-attiva/se-la-regione-sicilia-veste-sciascia-con-lorbace/

    Il centenario della nascita dello scrittore di indiscutibile appartenenza antifascista (dis)onorato dalla prefazione di un libro firmata dall’assessore che inneggia alle SS.
    Mi è pervenuta una locandina con la quale la Regione Sicilia insieme al Comune di Racalmuto e alla Fondazione Leonardo Sciascia promuove una manifestazione culturale per ricordare e onorare nel suo paese natale il grande scrittore nel centenario della nascita. Presumo che la locandina mi sia stata trasmessa in virtù dei rapporti di amicizia che mi legavano all’intellettuale e che adesso mi rendono assai attento e sensibile a tutte le iniziative che possano (tentare di) onorarne la memoria.
    Ma in questo caso, volendo ammettere che addirittura mi si volesse invitare alla manifestazione programmata per il prossimo 7 agosto, si è verificato un effetto del tutto contrario che francamente, ben più che consistere in una semplice irritazione, potrebbe definirsi come un allarme per un maldestro tentativo di rendere omaggio a Sciascia paradossalmente distorcendo, e conseguentemente offendendo i valori e il senso della sua lunga e ininterrotta battaglia civile, indivisibile, come tutti sanno, dalla produzione letteraria e fortemente incisiva sul suo percorso esistenziale di cittadino e sulla sua poetica.
    E proprio la lettura di quella locandina mi ha messo in allarme e lasciato allibito, come credo avrebbe lasciato allibito chiunque abbia conosciuto e stimato in amicizia Leonardo Sciascia. Questo a partire dalla modalità di commemorazione, assai anodina e bizzarra, che gli organizzatori (e, si badi, tra loro c’è addirittura come si è detto la Regione Sicilia da supporre impegnata con il suo attuale governo regionale) hanno prescelto: Sciascia verrà ricordato e onorato presentando il libro di Alessandro Pagano che, nel titolo, ne assume una celebre frase, Ce ne ricorderemo di questo pianeta.
    Ora, mentre non ho da far parola, ribadisco, sul libro che sarà “presentato”, mi sembra già allibente e aberrante che a “presentarlo” (e, secondo il copione, a “onorare Sciascia”) sia appunto quell’Alberto Samonà. Non perché, essendone il prefatore oltretutto non ne abbia pieno titolo, e neppure perché egli sia balzato da tempo alle cronache nazionali per certi suoi versi che inneggiano alle SS (“Guerrieri della luce generati da padre antico e dalla madre terra, nel sacrificio dell’ultima Thule, monaci dell’onore!”), ma perché, per quel che ne so, la sua pur abbondante produzione di poligrafo deliberatamente e da sempre dedicata alla ricerca e all’esaltazione dell’esoterico e dell’irrazionale sul solco del “fascismo mistico” e “magico” di Julius Evola (occultista, esoterista, nonché razzista), certamente lo abiliterebbe a correttamente interpretare e a tributare memoria a un qualche natale o centenario di Hitler o di Himmler, ma nient’affatto a interpretare e onorare un intellettuale di indiscutibile appartenenza alla civiltà dell’antifascismo come Leonardo Sciascia. Uno scrittore di incredibile caratura umana e civile che, come è quasi superfluo ricordare, fu per tutta la vita un tenace avversario di ogni forma di irrazionalismo e un tenacissimo e severo custode del pensiero critico e dei valori della ragione, ai quali, per la sua formazione illuministica, era persino devoto.
    Ci sono pertanto ben solidi motivi per temere che questa infelice Sicilia governativa stia persino tentando, perseguendo certi traccheggi pseudointellettuali come quelli familiari a CasaPound, di far vestire l’orbace anche a Leonardo Sciascia, come si è già miseramente tentato persino con Marx e Gramsci! Il che, dal punto di vista culturale, sarebbe ancora più grave di quel che comporta, dal punto di vista politico, la mancata rimozione dal governo regionale di un personaggio perlomeno imbarazzante come Samonà: un atto invano richiesto a gran voce dalle forze democratiche e soprattutto, in prima fila, dall’Anpi, non certo sperando che il governo Musumeci potesse essere diverso da quel che è, ma puntando sull’eventualità che per elementari istanze di ubbidienza almeno formale ai valori della nostra Costituzione, nonché di buon gusto e di opportunità istituzionale, riuscisse a esserne capace.
    E no, non ne è stato capace. Non ha voluto. Non ha mostrato un cenno qualsiasi di riprovazione per quell’inno alle SS e per la “mistica” dall’indiscutibile richiamo nazifascista incarnata in un suo esponente; ma, anzi, oggi sembra far sì che, tale mistica della pura irrazionalità, sovrastando e umiliando lo scrittore della ragione nel centenario della nascita, venga ritenuta e assunta come cultura. E Leonardo Sciascia? Che fa adesso Sciascia, se riesce a vedere, su “questo pianeta” il suo bel museo memoriale nella sede della Fondazione a lui intestata? Ritengo che vi si aggiri più disgustato che mesto, con uno di quei sorrisi sardonici, quasi un ghigno gentile, che talvolta i suoi gli amici vedevano sul suo volto.

    Professor Giuseppe Carlo Marino, storico, docente di Storia contemporanea all’Università di Palermo, Presidente onorario dell’Anpi Palermo

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