Il meglio (forse) del blog – 37

andando a ritroso nel tempo (*)

V(i)OLENTI  O  NOLENTI,  77  COSETTE

Un pezzo sul ’77? No, 77 pezzi, o meglio 77 cosette che riguardano la violenza e i suoi tristi dintorni. Me lo hanno chiesto… potevo dire di no? (db).

1 – Speciale
Arriva un messaggio: «speciale ’77, ci aiuti?».

2 – Pgcsfdm
Non capisco cosa vogliono ma devo dire di sì: chi me lo chiede è il Pgcsfdm (penultimo giornalista che si fida di me). Chiedo spiegazioni con un msg sibillino: «Certo ma cosa volete?». La risposta: «Eri a Roma no?». Sì ho abitato a Roma e allora? Mi ricordo che dal centro per andare a Monteverde si prendeva il bus 75. Escluderei che si tratti del Lotto o di Tombola natalizia («77 le gambe delle donne»). Che mai sarà?

3 – La violenzaaaaaaaaaaa
Mentre ci penso passo in edicola e butto l’occhio sui due giornali più venduti (in tutti i sensi) d’Italia, «Corriere della sera» e «Repubblica». Si paragonano le “violenze” (dicono loro, io parlerei di “autodifesa”) del 14 dicembre a Roma al 1977. Dunque gli autonomi, la violenza anzi la violenzaaaaaaaaaaaaaaa e compagnia cantante.

4 – Il coro
I due quotidiani più venduti d’Italia chiedono a tutte le persone civili di ripetere in coro “la violenza è intollerabile”. Se studentesse e studenti sfasciano qualcosa come se operai/operaie insultano il più venduto fra i sindacalisti oppure bloccano un macchinario, fanno scioperi o cortei poco educati di nuovo tlpcdric-lvei (tutte le persone civili devono ripetere in coro la violenza è intollerabile); e se in Inghilterra minacciano l’auto di Carlo e di Camilla tlpcdric-lvei.

5 – Pavlov
In un famoso esperimento prima di dare al cibo ai cani suonava un campanello. I cani si abituarono che il «drin» significava mangiare e cominciarono a sbavare anche se dopo il campanello il mangiare non arrivava. Dunque proviamo: «drin»… tlpcdric-lvei.

6 – Stonato
Forse non sono mai diventato civile però non mi unisco al coro. A meno che non si dichiari prima che, ad esempio, è violenza ben più grande quella di chi toglie i soldi dalle tasche dei poveri per darli ai ricchi e distrugge le scuole pubbliche per sostenere quelle private (dei ricchi e del Vaticano); che è violenza ben più grande togliere il lavoro e/o far morire di lavoro perché si risparmia sulla sicurezza; che è violenza ben più grande in Inghilterra finanziare nuovi costosissimi sommergibili atomici proprio mentre si stanno togliendo soldi e diritti alla maggior parte delle persone.

7 – Nel dubbio
Così suppongo che mi si chieda di scrivere un pezzo sul 1977. Effettivamente ero lì, in quarta o in quinta fila. E se invece stanno organizzando uno speciale sui “numeri”? Nel dubbio dirò 77 cosette sul 77, così non sbaglio.

8 – Disordinatamente
Credo che sarò caotico perché così fu il ’77. La vita è disordine; di troppo ordine si muore presto e male.

9 – Malvolentieri
Lo faccio con scarso entusiasmo perché di solito io (che non sono un cane di Pavlov ma un ornitorinco apolide) se il gran coro vuole parli di Patti Smith cerco di scrivere sugli Iww ma se invece mi domandano di scrivere sul ’68 preferisco s/ragionare sul ’67 o su Vandana Shiva. Mi trovo bene così. Ma farò un’eccezione per il pgcsfdm (penultimo giornalista che si fida di me)

10 – Voi “avere”… noi “essere”
Perché poi dire ’77 significa solo scontri in piazza? E l’allegria di quella rivolta? La sua anarchica intelligenza? Gli indiani metropolitani? In quell’anno Erich Fromm pubblica «Avere o essere». Noi lo abbiamo letto e persino capito. Voi invece?

11 – Ogni lunedì
A proposito dei due quotidiani più venduti e dei loro cori (cioè dibattiti) sulla violenza “intollerabile”. Se di lunedì passo da un giornalaio vedo due grandi pile con i supplementi economici in omaggio. Il primo si intitola (sobriamente, con il solo vezzo di una “e” caduta) «CorrierEconomia», il secondo (stile tipico da chic-megalomani) ha una doppia titolazione: «Affari & finanza» in alto e sotto «New economy, aziende, borse, risparmio». Noterete che è omessa la parola «lavoro». Nella econo-mia niente viene prodotto senza i lavoratori; nella econo-loro c’è solo la ricchezza (innocente per definizione) e i diritti di chi lavora sono un fastidio, anzi un costo da tagliare. Casomai la stanchezza o l’età mi facessero dimenticare in che mondo vivo, passando in edicola vado a lezione di violenza ogni lunedì.

12 – Fu forse nel ’77…
… che mi appuntai questi versi di Umberto Saba: «In una casa dove uno si impicca, altri si ammazzano fra loro, altri si danno alla prostituzione o muoiono faticosamente di fame, altri ancora vengono avviati al carcere o al manicomio, si apre una porta e si intravede una vecchia signora che suona molto bene la spinetta».

13 – Il piano della sinistra
Anche se la situazione non era (ancora) così drammatica come in quella casa di Saba, io mi convinsi che, nel mio modo di vedere il mondo, la vecchia signora imperturbabile che suona la spinetta, il piano o quel che l’è, mentre intorno c’è il casino era la sinistra storica. Non ho più cambiato idea. Il mondo brucia e la vecchietta imperturbabile suona senza guardarsi intorno. Non ho più cambiato idea sulla signora-sinistra. O meglio forse sì: per qualche ora, giorno o addirittura mese mi sono fidato… ne sono uscito vergognandomi di me (per esserci cascato) più che di loro.

14 – Neanche tanto bene
Non ricordo più a cosa facesse riferimento Saba e se la vecchia signora suonasse davvero bene ma la mia sinistra suonatrice oltretutto suona orribilmente.

15 – E visto che…
…. siamo alla musica la mia colonna sonora del ’77 e dintorni è naturalmente il Faber De Andrè che cantava: «certo bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni».

16 – C’è
In quel ’77 amavamo anche le canzoni di Gianfranco Manfredi, a esempio: «Ma chi ha detto che non c’è?». Potete andarvela a sentire su Youtube accompagnata da alcune belle immagini.

17 – Sulla punta delle labbra
Quando il quotidiano «Lotta Continua» in pieno ’77 pubblicò la foto di due ragazzi che si baciavano (dietro una barricata e in mezzo al fumo dei lacrimogeni) con la didascalia «Ma chi ha detto che non c’è» (vedi sopra) la signora che suona – neanche tanto bene – il piano nel palazzo che brucia, insomma la sinistra perbene, sentenziò: «marinettismo, dannunzianesimo». I morti ammoniscono i vivi a non essere felici.

18 – Invisibili appunto
Pochi sono riusciti a raccontare il ’68 in libri e film. Ancora più difficile tradurre il ’77 in un libro. L’unico che è riuscito davvero a renderne il ritmo e l’entusiasmo (se ricordo bene in greco significa essere invasi da un dio folle) è il romanzo di Nanni Balestrini intitolato «Invisibili».

19 – Francesco e Giorgiana
Ammazzati.

20 – Bologna
Un vetro consente di vedere ancora oggi i buchi dei proiettili (tanti) sparati contro Francesco Lo Russo e poi finiti in un muro di via Mascarella. “Non perdete la calma” ci disse la vecchia signora che suona male il piano e che non ha mai spedito in carcere gli assassini, anzi uno lo ha votato come presidente della repubblica.

21 – Roma
Ci sono ancora le immagini in rete dello sbirro con la maglietta a strisce che il giorno in cui uccisero Giorgiana Masi – “non perdete la calma” ci ridissero – passava con una pistola in pugno da una parte all’altra. Non sappiamo contro chi sparasse ma si vede bene dove andava a rifornirsi, in mezzo ai servitori dello Stato. Disse il capo degli assassini che si sarebbe dimesso se fosse stato provato che a sparare erano le forze dell’ordine (di quello che lui chiamava ordine). Un fotografo prima e i radicali poi mostrarono foto e filmati. Il capo degli assassini non si dimise.

22 – Il capo degli assassini
Si chiamava Francesco Cossiga.

23- Kossino assassiga
Non consentirò più – disse con tutta l’arroganza di cui era capace – che sui muri delle città si legga “Cossiga assasssino”. Non ricordo se quel giorno oppure prima aveva chiesto a qualche servo travestito da giornalista: “e poi perché scrivono Cossiga con la K?”. La risposta era semplice ma lui fingeva di non saperla: come negli Usa (che lui diceva di amare) avevamo preso l’abitudine – noi del movimento ribelle – a riscrivere con la K quelli che erano dalla parte dell’Amerika cioè sulle orme del Ku Klux Klan. Noi invece eravamo con “l’altra America” quella che tenace, coraggiosa si opponeva, disertava, sabotava, che portò persino le bandiere del “nemico” (i vietcong) alle sue manifestazioni. E così facendo quell’altra America aiutò il nemico a vincere ma lei stessa vinse, sconfiggendo – almeno per un po’ – l’Amerika. Torno alla periferia dell’impero. Italia. Anno 1977. Kossiga. Anche se lui era una delle più fedeli incarnazioni di tutto quello che detestavamo, quella volta – che appunto ci intimò di non scrivere più “Kossiga assassino” – gli ubbidimmo. Però fu l’unica volta. Gli ubbidimmo e da quella notte stessa i muri di Roma (e di altre città) si riempirono di enormi e colorati “Kossino Assassiga”. Così tante ne facemmo in quei giorni che, ancora pochi anni fa, se ne vedevano a Trastevere o San Lorenzo: scritte resistenti al tempo e ai tentativi di cancellazione. Kossiga divenne poi presidente della repubblica con il plauso delle “sinistre” che suonano male il piano, le stesse stupite e poi subito smemorate quando venne fuori una certa storia su Gladio, sui golpisti pronti al via (dell’Amerika appunto). Qualche altra considerazione, se v’interessa, è sul mio blog.

24 – Kossiga, poco fa
Il 22 ottobre 2008, mentre si diffondeva il movimento detto dell’Onda (ah le etichette), Francesco Cossiga dichiarava al “Quotidiano Nazionale”: «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno». Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…». Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città». Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri». Nel senso che… «Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano». Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».

25 – Non siamo Stato noi
Ho accordi e disaccordi con gli anarchici pensanti (ce ne sono anche di vegetali). Ma c’è una frase – variamente attribuita – che ho visto in tante loro sedi e pubblicazioni adatta al discorso che provo qui a fare: «Cos’è il terrorismo se non uno Stato in piccolo? Cos’è lo Stato se non un terrorismo in grande?»

26 – Era appena finito il ’77
Mentre la vecchia signora suonava il piano la casa bruciava sempre più. Il giorno che venne rapito Moro, noi del movimento ribelle non andammo in piazza san Giovanni dove c’era l’arco che faceva finta di essere costituzionale mentre procedeva a colpi di leggi speciali. Quel giorno eravamo ancora tante/i dietro lo striscione “Né con lo Stato né con le Br”. Disarmati resistemmo finché potemmo, mentre da una parte e dall’altra si sparava: lo Stato e le Brigate Rosse aprivano il fuoco a volte contro i combattenti nemici ma più spesso nel mucchio, colpendo chi passava di lì. Come si fa in ogni guerra: muoiono soprattutto i civili. Non ci arruolammo. Fummo sconfitti da quei due eserciti, troppo simili a volte per distinguerli. Sconfitti… non del tutto, non per sempre. Molte e molti di noi continuano la rivolta chi con il lavoro sociale e chi con le arti, chi sfruttato e chi con qualche margine di libertà, chi a livello individuale e chi in una qualche forma collettiva: nè con lo Stato – che quando si arma piace tanto alla vecchia signora – nè con le Br ammesso che il primo esista ancora (oggi sembra solo un gruppazzo mafioso) e che le seconde sopravvivano a se stesse.

27 – Non mi piace la violenza…
… però rifiuto di condannare quella ribelle per giustificare quella degli oppressori.

28 – Far credere
Quanto detto finora (la difesa del diritto a insorgere) non esclude una critica della violenza, la voglia di ragionare se Gandhi (un sovversivo anche lui) ci possa essere più utile delle bottiglie Molotov. Però è una discussione che vorrei fare con gente viva, non con zombies che suonano – e neanche tanto bene – il piano e loro piangono solo per le vetrine, per i ricchi, per quel tipo di democrazia parlamentare «che consiste essenzialmente nel far credere democratiche solo le cose che non cambian niente» (versi di una canzone scritta da Marco Ligini, giornalista vero, gran cabarettista e soprattutto sovversivo).

29 – Far dimenticare
Fra il ’75 e il ’77 nelle strade italiane polizia, carabinieri, fascisti uccidono un centinaio di persone. Negli anni subito precedenti stragi fasciste e di Stato in banche, stazioni, piazze.

30 – Strage di Stato?
Dopo le bombe in piazza Fontana ci fu una gran discussione nel collettivo che condusse le contro-indagini e poi scrisse il libro «La strage di Stato» (se volete leggerlo o rileggerlo è stato ristampato di recente da Odradek). Non era una definizione ideologica, esagerata? Davvero il corpaccione dello Stato aveva voluto quelle bombe o si era mosso solo un suo frammento, una specie di “scheggia impazzita” (a proposito di etichette) in combutta con i fascisti? Si discusse, si riguardò con calma tutto quello che era saltato fuori. Poi si decise all’unanimità per «strage di Stato». Nel 1977 chi era meno giovane sapeva con chi avevamo a che fare. La vecchia signora continuava a suonare il piano.

31 – Giudizio di Stato
Il ’77 è anche un numero. Come 7171. Ma «7171» è anche il titolo di un romanzo (dell’anno scorso) in cui Enrico Pili ricostruisce e fa diventare allegoria delle nostre vite la vicenda di Luigi Scricciolo che passò appunto 7171 giorni fra carcere, arresti domiciliari e attesa di giudizio… per poi sentirsi prosciogliere di tutto. Non accade nel ’77 no. Ma si parla sempre dello Stato italiano, debole con i forti e forte con i deboli, violento ma pronto ad accusare di violenza chiunque si ribelli. Capace di accusare un innocente per 7171 giorni. Di lui sappiamo, di altri no. Ma sta a noi fare come per quel libro «La strage di Stato», nato dal basso per scoprire le verità che in alto volevano nascondere mentre la vecchia signora non sa, non vede perché è sempre lì a suonare la spinetta.

32 – Il passato muta
Perché devo parlare del ’77 cioè del passato? Pur se sono vecchio, io voglio parlare del presente e del futuro. Anche se dal passato qualcosa si può imparare. Ma soprattutto io credo avesse ragione Jean-Paul Sartre quando suggerisce che ci sono diversi modi di guardare al passato: si può pensarlo come fissato per sempre… oppure vederlo come continuamente cambiato da ciò che noi facciamo ora, in questo istante.

33 – Il signor P2-1816
Se devo parlare del presente, mentre continuo la lotta per mutare il passato e costruire il futuro, vedo che mentre la vecchia signora suona il piano anche quello straccio di residua (e ambigua) democrazia parlamentare sta per essere buttato nel cesso. Siccome sarebbe bella la nostra Costituzione, se fosse applicata, il signor P2-1816 (alias Silvio Berlusconi) se ne vuole liberare e insieme incatenare quei (pochi) giudici che provano a fare il loro dovere minimo, cioè indagare sui suoi crimini e sui gangsters in combutta con lui. C’entra con il 77? Sarebbe un discorso lungo e ne tocco solo un punto: mentre sulla violenza mafiosa e golpista di P2-1816 quasi tutti tacciono ecco il coro sulle “vetrine sfacciate” e oh, signora mia come è inaccettabile, anzi inspiegabile, questa violenza.

34 – Se non sapete…
…. cos’era la P2 informatevi. Il numero della tessera di Silvio Berlusconi era appunto 1816.

35 – Non fummo ben-educati
Così scrisse Abbie Hoffman rivolgendosi a coloro che si ribellarono. «Certo eravamo giovani / eravamo arroganti / eravamo ridicoli / eravamo eccessivi / eravamo avventati / eravamo sciocchi / ma avevamo ragione noi».

36 – Lo saremo?
Se ora giovani e meno giovani si atterranno alla buona educazione e ai consigli di quella vecchia signora che suona il piano… non spazzeremo via il signor P2-1816. Dunque legittimeremo la vera violenza.

37 – Un’orda
«L’orda d’oro» cioè «1968-1977, la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale» si intitola un bel libro di Nanni Balestrini e Primo Moroni. Si concludeva con queste parole: «sono iniziati gli anni ’80. Gli anni del cinismo, dell’opportunismo e della paura».

38 – Altan
Lo stesso concetto sugli anni ’80 fu espresso in una vignetta con queste (ma vado a memoria) parole: «Finiti gli anni di piombo torniamo al calduccio degli anni di merda».

39 – Piombo
Questa etichetta degli anni di “piombo” sempre appiccicata al ’77 da dove arriva? Viene ripresa – e retrodatata – dal film omonimo della Von Trotta. Imbrogliando, al solito, le carte: nel film infatti il “piombo” non si riferisce alle pallottole ma al periodo plumbeo di una Germania che non sa fare i conti con il nazismo, cioè che è incapace di uscire dal suo passato.

40 – Si cresce?
Mi dicono che Lucia Annunziata nel ’77 c’era. Io non l’ho vista ma può essere, c’era tanta gente. Ha scritto pure un libro sul ’77. Non lo leggerò perché so che cosa l’Annunziata fece dopo quell’anno e chi è oggi. Tanto per dirne una, ha ricevuto 150mila euro dall’Eni per partecipare a uno spettacolo dedicato a Mattei e altri 150 per curare la nuova rivista aziendale. Da piccoli, canterebbe Paolo Rossi, avevamo tutti i peli del culo a batuffoli. Poi c’è chi cresce male e chi malissimo.

41 – Due stronzi fra i tanti
«In Italia si fanno troppi scioperi, ci sono troppi partiti, c’è troppa pornografia»: così Breznev (capo dell’Urss) al democristiano Forlani il 20 gennaio 1977.

42 – Marx
Nei miei appunti di quel periodo trovo evidenziata una frase del vecchio barbone sovversivo: «Sarebbe del resto assai comodo fare la storia universale se si accettasse battaglia soltanto alla condizione di un esito infallibilmente favorevole».

43 -Hikmet
«Le nostre braccia son rami carichi di frutti, / il nemico li scuote, il nemico ci scuote, / giorno e notte, / e per poterci spogliare più facilmente, più tranquillamente, / non ci mette più le catene ai piedi / bensì alla base della testa». Ero d’accordo con Hikmet nel ’77. E oggi pure.

44 – Appunto uno
Nella ormai ammaccata «Agenda rossa 1977» (edita da Savelli) ritrovo un mio appunto a penna in data 6 marzo: «Istruzioni per una buona condotta nella società del compromesso storico e quotidiano: 1) raggiungere la pace attraverso l’insensibilità; 2) rinunciare ai desideri».

45 – Appunto due
Stessa agenda, in data 6 giugno. «Alcune considerazioni sui carabinieri delle barzellette. 1) In certe persone che le raccontano avverto il disprezzo del padrone verso il servo sciocco; 2) Certi “democratici” credono che a colpi di barzelletta si oppongano alla leggi speciali (Reale e Kossiga); 3) L’ideologia del carabiniere scemo copre i crimini dello Stato».

46 – Bellissimo
Fra i molti giorni felici del 77 furono particolarmente belli il 23, 24, 25 settembre a Bologna occupata dal movimento ribelle; la vecchia signora, nonostante il casino fosse lì a un metro, continuò a suonare il piano e neppure si affacciò per tentare di capire cosa succedeva.

47 – Pellerossa
In quei giorni ascoltai un proverbio Cherokee: «Prestate attenzione ai sussurri e non dovrete ascoltare le grida».

48 – Leonardo Sciascia
«La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini».

49 – Primo Moroni
«La controcultura è una rete di produzione, un modo di concepire non solo la comunicazione ma anche il mondo, un modello e una pratica esistenziale in continua e inquieta ricerca».

50 – Parole
In un dizionario ironico si può leggere: «Violenza. Fenomeno sconosciuto all’umanità e in particolare all’Italia prima della “esplosione della +” innescata qualche anno fa. Da allora tutti si chiedono smarriti come affrontare “l’ondata di +”. E’ consigliabile un atteggiamento di illibatezza nei confronti della +; scoprirla ogni giorno, firmare petizioni contro la +; dimenticare che rispettabili autori hanno teorizzato e illuminati statisti hanno praticato l’uso della +; ignorare che la storia umana è costellata dalla +; rimuovere l’esistenza della + borghese». Era sul quotidiano «il manifesto» del 31 maggio 1980 ma può tornare buona per il ’77 del passato o per quelli del futuro (dei futuri possibili).

51 – Quel che non si dice
Come si tace la violenza del potere, in ogni modo si prova a nascondere quella del patriarcato. Il ’77 italiano arriva dopo 2-3 anni di femminismo diffuso che squassavano il patriarcato e i suoi sostenitori (o “verniciatori”) anche a “sinistra”. E’ per questa contingenza storica unita alla forza di una nuova rivolta collettiva che quell’anno ancora più donne presero coscienza, si rivoltarono e raccontarono… Chi voleva davvero sapere poteva ascoltare, forse per la prima volta, quello che Stato e Vaticano vogliono ancor oggi celare: violenze in famiglia, vergogna e silenzi. Ho un ricordo mooooooolto personale di questo perché fu in quell’anno che finalmente mia madre, sentendo altre donne parlare, cominciò a raccontare. Più schifo di quello che avrei immaginato. E ovviamente nella mia famiglia i più violenti erano quelli che votavano contro il divorzio. E ricordo mia madre chiedere a Rosaria: «in che commedia, forse di Shaw, il capo della prostituzione è il segretario della “Lega per la morale”? Ecco a casa mia funzionava così. Ma solo ora lo capisco appieno».

52 – Marge Piercy
«Cosa possono farti? /Possono farti quello che vogliono. / Possono imprigionarti, batterti, / romperti le dita, bruciarti il cervello con l’elettricità, / confonderti con le droghe fino a che / non saprai più camminare, e non ricorderai./ Possono portare via i tuoi bambini, / sbattere contro il muro chi ami; / possono fare tutto quello che tu non faresti. / Come puoi fermarli? / Da solo puoi resistere, puoi rifiutare. / E puoi persino pensare alla riscossa, / anche se loro ti passano sopra. / Ma due persone che resistono, schiena contro schiena, / possono attraversare una folla, / un serpente di fuoco che danza può rompere una corda, / le termiti possono tirare giù un palazzo. / Due persone possono mantenersi sane a vicenda, / darsi reciprocamente sostegno, convinzione, / amore, massaggi, speranza, sesso. / Tre persone sono una delegazione, una cellula, un cuneo./ Con quattro si può giocare, e dare inizio a un gruppo. / Con sei puoi affittare una casa intera, / avere focaccia a cena e niente secondi, / e comporre la tua musica. / Tredici fanno un circolo, un centinaio riempiono la sala./ Con mille hai solidarietà e la vostra newsletter, / diecimila sono la comunità e i vostri giornali; / centomila una rete di comunità; / un milione il nostro stesso mondo. / Comincia con uno alla volta. / Comincia quando ti preoccupi di agire. / Comincia quando lo fai di nuovo, / dopo che loro hanno detto no. / Comincia quando dici “noi”, / e sai bene chi intendi,/ e ogni giorno / ne intendi uno di più».
53 – Camus
Quello stesso “noi” della Piercy è in una famosa frase (o era il titolo di un suo articolo?) di Albert Camus: «mi rivolto dunque siamo».

54 – Banche e altro
Sul mio blog c’è una lunga intervista a un ragazzo che per la prima volta, il 14 dicembre, si è trovato in mezzo a quella che le etichette indicano come “la violenza”. Ecco un passaggio di quel che mi ha detto.
«Ti posso raccontare proprio questo dialogo che ho avuto io con un ragazzo giovane che, da solo e a viso scoperto, spaccava a casaccio: “La macchina del Comune non devi romperla perché è stata comprata con i soldi nostri”. E lui: “Questo Stato e questa gente hanno distrutto la vita dei miei genitori e ora la mia, io voglio vendicarmi su questa città”. Io ed altri gli abbiamo detto: “sbagli, questa città è tua, devi riprendertela non distruggerla”. Ma invece per le banche il discorso è diverso: eravamo tutte e tutti d’accordo che le banche sono le nostre nemiche. Da sempre. E poi l’ultima crisi internazionale è stata provocata dalle speculazioni e dagli imbrogli dei banchieri e invece di mandarli in galera i governi salvano anche i finanzieri più imbroglioni e anzi danno loro i soldi che tolgono a noi; ma questo schifo l’hanno capito in molti. E sempre più gente odia le banche, bisognerebbe organizzarsi dal basso, come hanno fatto in Messico e in altri Paesi contro questi vampiri. Era la prima volta che noi, cioè intendo io e le persone che erano venute con me, facevano una barricata. Eravamo d’accordo che spostare le auto e metterle in mezzo alla strada per difendersi è comprensibile, è giusto. Non c’è altro modo» .

55 – Dubbi legittimi
Si chiedeva Bertolt Brecht se fosse più criminale rapinare una banca o fondarla.

56 – Questione di nomi
La signora che suona il piano inorridisce a domande del genere, scuote la testa. La violenza delle banche non è in discussione, quella si chiama legalità, democrazia.

57 – Marco
Commentando l’intervista (vedi qui a 54) e altri interventi sullo stesso tema nel mio blog Marco ha scritto: «non ho mai pensato che sarà una risata a seppellirli, e non ho mai creduto al ricatto della non violenza con il quale certi anestesisti di professione tentano di addormentare il movimento. Con pacatezza: la violenza è una reazione estrema ma del tutto normale quando non si ha altro modo di farsi valere. Bisogna pensarci prima che esploda. La violenza – pur deprecabile – certo da non invocare, pur essendo un atteggiamento primitivo, è banalmente il prodotto dell’ingiustizia sociale. Essa violenza c’è. E’ figlia delle tensioni e dei conflitti. Tutto il resto, berciato in questi giorni dai media, è soltanto ipocrisia. (Fabio Fazio, basta, abbi pietà di noi) Ci sono forse state, nella storia, lotte sociali che si siano poste obiettivi di qualche rilevanza risultate indenni dalla violenza? anche se spesso adottata “di rimessa”? Se ne sarebbe fatto volentieri a meno? Ovviamente. Così chioserebbe il generale Lapalisse (La Palice per i più dotti). Certo, se ci fosse una organizzazione, magari di sinistraaa, a dare una prospettiva, a proteggere da provocazioni, a offrire una guida che sapesse far maturare questa fase, fragile perché ancora spontaneista, anche il generale Cambronne potrebbe dire finalmente, con voce squillante, ciò che si meritano Ignazio e quell’altro tanghero. Ma ancora non è».

58 – Gino (e Alessandro)
Sempre sul mio blog altro bel commento, di Gino: «In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo. (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. VIII). Le pietre non sono che il raccolto di ciò che avete seminato: lacrime e sangue».

59 – Solo violenza?
Dopo il ’68-69, Lotta Continua e il ’77, la violenza dello Stato e poi l’impero mondiale dominato da tre killer (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Organizzazione del commercio) nella mia vita ho incrociato Gandhi, Capitini, la nonviolenza. Ho interrogato la sovversione senz’armi per capire se potesse essermi-esserci utile. Perché so i rischi della violenza, anche di quella che nasce “giusta” e persino di quella difensiva, e sono ben felice di ragionarne (non però cantando nel coro). Ho capito che molti rivoluzionari disarmati sono l’opposto del perbenismo pacioccone, dell’inazione vile che la vecchia signora spaccia per democrazia e «rifiuto della violenza». Ma…

60 – Ma
… se questa forza di una sovversione nonviolenta è possibile dov’è ora in Italia? Perché non si vede e non dà un altro esempio, un diverso progetto a chi non vuole farsi soffocare nella tenaglia mortale del signor P2-1816 da una parte e dalla vecchia signora che suona il piano dall’altra?

61 – Per esempio
Nel mio blog mesi fa ho immaginato di spiegare a un nipotino come cadde il signor P2-1816. Nel racconto/sogno immaginavo andasse così. «Scattarono nuove proteste in tutta Italia, un giorno dopo l’altro, un’ora dopo l’altra. Scioperi anche, finalmente. Si iniziava al mattino e spesso si finiva la sera. Pensa che si svegliò pure Imola, uno dei luoghi più addormentati che io abbia visto in vita mia. Mi mancava il fiato ma era bellissimo, correvo da Imola a Bologna e poi la sera a organizzarci per ripartire il giorno dopo. Uno dei primi scioperi del consumo lo mettemmo in piedi noi. Poi l’idea dilagò. Un bel colpo quello. Si acquistava solamente quello che serviva per mangiare, basta. Lo slogan era: “Non si compra, non si vende finché il Nano non si arrende”(…)».

62- Impossibile?
Quel piccolo sogno raccontato qui sopra mi riporta alla domanda se la nonviolenza ci possa aiutare. A ottenere un risultato senza essere costretti a scendere sul terreno della violenza e così a contaminarci. Sciopero dei consumi? Boicottaggio della econo-loro? O cosa?

63 – Come loro mai
So bene qual è uno dei pericoli della violenza. Lo ha scritto per me (cioè è arrivato prima, capita) un tipo che si chiama Gabriel Garcia Marquez in «Cent’anni di solitudine». Il protagonista dice pressappoco – vado a memoria – che la tragedia è stata questa: «per battere i militari avete copiato i loro metodi, alla fine siete diventati come loro… e nessuna causa può giustificare questo orrore».

64 – Ribellarsi è necessario
Come nel ’77, forse persino di più. Discutiamo come e non se.

65 – Ribellarsi è giusto
Come nel ’77, forse persino di più. Discutiamo come e non se.

66- Ribellarsi è ora
Come nel ’77, forse persino di più. Discutiamo come e non se.

67 – Liberiamoci…
…. dei poliziotti dentro la nostra testa.

68 – Liberiamoci…
… anche della vecchia signora che suona (male) il piano e che legittima la violenza del sistema fingendo di non vederla.

69 – Persino Shakespeare
Ho rivisto di recente in corteo un cartello con la frase – ripresa da un altro tipo che mi ruba le idee, un inglese di nome William Shakespeare – che già avevo letto su un muro dell’università nel ’77: «se viviamo è per rovesciare i re». Mi è sembrato un buon segnale vederla rigirare in questi giorni. E mi pare anche un eccellente programma politico.

70 – A proposito di baroni
Se non ci sono “poteri buoni” (De Andrè) il 77 scrisse sui muri che non ci sono neanche “baroni buoni” perciò “bianchi, rossi o a pallini” che siano cacciamoli via.

71 – Utopia
Parlo di sogni? E’ impossibile rovesciare “baroni”, governi, re, cacciare la vecchia signora e anche la Banca mondiale con tutti i suoi compari? Non è facile lo so ma bisogna provarci, metterci in cammino. Ecco un altro tipo, Eduardo Galeano, che mi ruba le idee. Lui la spiega così questa faccenda delle utopie. «Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare».

72 – Dove si incontrano parole e fatti
C’è sempre qualche idiota a “sinistra” che, invece di chiedersi perché molti indossano le felpe Nike (escono da fabbriche dove donne e minori sono schiavizzati, lo sapete?) si alza a chiedere perché oggi, come nel ’77, tante/i portano Che Guevara sulle magliette. Io la so la risposta. Per me l’ha scritta Eduardo Galeano (in «Specchi, una storia quasi universale»): «Perché mai il Che ha questa pericolosa abitudine di continuare a nascere? Quanto più lo manipolano, quanto più lo tradiscono, tanto più nasce. Lui è il più nascente di tutti. Non sarà perché il Che diceva quello che pensava a faceva quello che diceva? Non sarà che per questo continua a essere così straordinario in un mondo dove le parole e i fatti s’incontrano raramente e quando si incontrano non si salutano perché non si riconoscono?».

73 – E io dov’ero?
Il 14 dicembre sentivo Roma che mi chiamava. Però, da tempo, ero invitato in una scuola auto-gestita, per un laboratorio. Ci ho pensato su e ho deciso che era meglio andare a chiacchierare con ragazze/i. So ascoltare, so raccontare storie: due cose altrettanto importanti che saper mettere un’auto di traverso quando serve.

74 – Philip Dick
Nelle scuole (occupate o autogestite) dove facevo i miei laboratori quando mi hanno chiesto cosa pensavo della Gelmini e delle proteste ho risposto con un racconto di Philip Dick. Quello che riassumo qui sotto.

75 – «Ultimo test».
Bob Bibleman è uno sfigato. Ai giardinetti raggranella i soldi per un hot-dog. Il robot che glielo vende cerca di rifilargli un biglietto della lotteria. Lui non lo vuole, poi – è gratis – accetta. «Hai vinto» lo informa il robot: uno stage gratuito in una specie di caserma-università. Anche se sospetta una fregatura (la località si chiama «Seifottuto») Bob va e si trova in un mezzo inferno.
Il capo dei docenti, maggiore Casals, è un concentrato di stronzaggine aggressiva. Sin dalla prima lezione solo Mary, un’allieva, prova a tenergli testa.
Dopo qualche giorno una esercitazione importante. «Vi do una ricerca e avete libero accesso a tutti i documenti, all’intera rete però…» minaccia Casals «se vi imbattete in segreti militari non li leggete. Se un segnale vi avvisa di un documento vietato dovete subito dirmelo».
Bob è così vile che sceglie un tema (la filosofia pre-socratica) che gli sembra il più lontano possibile dai divieti militari….Ma si imbatte in notizie segretissime su una fonte di energia super-economica e pulita. “Non se ne sono accorti – pensa Bob – hanno trascurato questo riferimento nelle banche della memoria; chi si aspetterebbe di trovare segreti sotto Empedocle?”.
Per quanto sia ignorante e sfigato, Bob capisce che se quella energia fosse disponibile la vita migliorerebbe per miliardi di persone.
Indeciso, impaurito chiede consiglio a Mary, l’unica ribelle. La ragazza legge e si arrabbia: “Lo stanno nascondendo al pubblico, per favorire l’industria”. Bob le domanda cosa farebbe. Mary risponde: “Se fossi al tuo posto stamperei questo documento e lo farei arrivare a più gente possibile, è troppo importante. Ma devi decidere tu”.
Bob ci pensa e al mattino confida tutto a Casals. Appena ha finito di parlare, il maggiore gli comunica: «sei espulso dal college».
«Cosa?» sbotta Bob.
«Io non rappresento il college, era un test». Il maggiore preme un pulsante e dalla porta entra Mary che spiega: «Il college sono io. Lo scopo del test era insegnarti a stare in piedi da solo, anche a rischio di sfidare l’autorità […]. Io cercavo di renderti completo moralmente. Ma non si può ordinare a qualcuno di disobbedire. Non si può ordinare la ribellione. Potevo semplicemente darti un modello, un esempio».
Il maggiore Casals aggiunge: «Già alla terza pagina hai visto che da quella fonte di energia avrebbe tratto beneficio l’intera popolazione mondiale». Mary incalza Bob: “non rischiavi quasi nulla”.
«Allora perché l’hai fatto?» gli chiedono.
«Per lealtà» risponde Bob.
«A chi?» domanda Mary: «a Casals? a uno che ti ha trattato come spazzatura?».

76 – Disobbedire
Penso che questo racconto sarebbe piaciuto a don Lorenzo Milani che ci ricordò: «l’obbedienza non è più una virtù». Bisogna imparare quando (e come) ribellarsi o si finisce come la spazzatura.

77 – Fine?
Ho finito ma non è finita.

(*) Rileggendo(mi) non trovo granché da cambiare e/o da spiegare: beh, forse due aggiunte posso farle. La prima: visto che il citato 14 dicembre (come altre fiammate simili) non ha avuto un seguito forse più che di “rivolte” avrei dovuto parlare di “Carnevale” il quale, si sa, nel bene e nel male viene una sola volta l’anno. La seconda: il signor P2-1816 è stato sostituito da Renzi ma, come avrà capito chi frequenta codesto blog, io sono fra quelle/i convinti che i due abbiano in sostanza lo stesso programma. Per il resto… anni fa ero ottimista eppure ero pessimista, un po’ come adesso: in effetti quasi sempre sono (rubo la frase allo scrittore palestinese Emil Habibi) un «pessottimista».

Un po’ perché 5600 articoli sono tanti e (nonostante i “santi” tag) si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà e occorre cercare post per non star fermi, quando altre/i invece continuano a regalare i loro contributi a codesto blog. Per queste due ragioni ho deciso – d’intesa con la piccola redazione – di recuperare un certo numero di vecchi post… con l’unico criteri o di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più “attuali”.

Il “meglio” è sempre soggettivo: in questo caso è inteso a ritrovare soprattutto semi, ponti, pensieri perduti… meglio se accompagnati – talvolta capita – dalla bella scrittura, l’inchiesta ben fatta, la riflessione intelligente.

Ci sarà fantascienza (il Marte-dì canonico), ci saranno le «scor-date», ci sarà di tutto un po’: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia che – noi speriamo – ci caratterizza in questo blog “collettivo”. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • sul “manifesto” del 3 settembre 2014 c’è una notizia tragica: il suicidio di Leonardo Vecchiola, detto Chucky.
    Era uno degli arrestati per gli scontri a Roma del 15 ottobre 2011: accuse gravissime (tentato omicidio, devastazione, saccheggio….). Il 16 novembre 2011 venne scarcerato perchè video e foto dimostravano che lui era altrove. Quella breve detenzione e il “massacro mediatico” erano stati molto pesanti, ne hanno segnato la vita. Su “il manifesto” (appunto del 3 settembre) una lettera (di Davide Rosci) più un breve articolo – dove si citano l’Osservatorio contro la repressione e i 99 Posse – ricordano che Leonardo Vecchiola era attivo contro l’inceneritore di Acerra e nelle lotte sociali.
    Il suo linciaggio il suo suicidio confermano che molto spesso “lo Stato è un terrorismo in grande”.

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