Il Memoriale del genocidio

A cent’anni dal genocidio degli armeni in Turchia: un percorso di informazione e riflessione, quinto post (*)

di David Lifodi

La spianata dove si trova il Memoriale del genocidio degli armeni sorge poco lontano dal centro di Yerevan, sulla Collina delle rondini: da lì è possibile ammirare tutta la città. Sotto, la capitale armena, una di quelle città che prima della caduta del muro rappresentava una delle tante periferie dell’impero sovietico: nelle vie principali del centro cittadino sfrecciano macchinone e si trovano alberghi di lusso, appena fuori il paesaggio è simile a quello di una periferia di una grande città italiana.

Dal Memoriale del genocidio si scorge anche il maestoso Ararat, quella montagna spesso immersa tra le nuvole e simbolo della rapacità turca. Non si è trattato dell’unico affronto della Turchia nei confronti dell’Armenia. Intorno al braciere del Memoriale, con la fiamma perennemente accesa, a ricordo del genocidio perpetrato dai turchi a partire dal 24 aprile 1915, quando alcune centinaia di armeni vennero incarcerati, deportati e poi uccisi a Istanbul, i fiori a ricordo degli scomparsi, inghiottiti in un buco nero. Fino al 1923 furono uccisi dai turchi almeno un milione e mezzo di persone, un olocausto assai superiore rispetto alle atrocità delle dittature latinoamericane, qui, alle porte dell’Europa: i grandi del mondo sono venuti a chiedere scusa, piantando alberi nel Giardino dei Giusti, che si trova nella stessa area dove sorge il Memoriale. Non basta, ma impossibile pretendere un impegno ulteriore: la Turchia è l’ultimo baluardo della Nato prima del Vicino Oriente e insistere anche solo sulla strada del ricordo e della memoria sembra comunque un affronto al potente vicino. Oggi Yerevan è una città moderna, una sorta di Armenia dentro l’Armenia, dove convivono ricchezza, contrasti e forti disuguaglianze sociali. L’altra Armenia vive nel resto del territorio, in paesi e città di dimensioni medio-piccole spesso in zone impervie e nascoste da una conformazione del territorio brulla e rocciosa, che dà l’idea di un paesaggio quasi lunare. Questa seconda Armenia è più arretrata, vive dei prodotti della terra, ma appare come isolata dal resto del mondo, lontana dalla capitale e in una dimensione spazio-temporale propria. Attualmente con la Turchia non ci sono rapporti di alcun tipo, ma da parte della popolazione armena non sembra esserci odio, perlomeno nei confronti della popolazione turca, ma ciò che emerge è la volontà che il genocidio non sia cancellato e fatto cadere nell’oblio, la strada che invece stanno perseguendo ad Ankara. Piuttosto prevale ancora l’incredulità per il genocidio perpetrato e perseguito dal governo turco. L’atteggiamento della Turchia nei confronti del genocidio armeno è molto simile a quello tenuto nei confronti della questione kurda: ad entrambe non deve esser dato risalto e i politici turchi non ne parlano nemmeno sotto tortura, nella speranza di rimuoverle dalla coscienza civile.

La popolazione armena è mite e si caratterizza per la sua tolleranza e apertura. Tutto intorno, un paese percorso da un turismo interessato a conoscere il paese soprattutto per i suoi monasteri, spesso in luoghi impervi che dominano il territorio sottostante e un paesaggio che toglie il fiato per la sua bellezza. Per quanto ancora l’Armenia dovrà sottostare alle sparate di Erdogan e alle provocazioni turche?

 

(*) Dal 17 aprile ogni giorno (alle 16) troverete un post sulla storia armena, sul genocidio del 1914, sulla diaspora, sui nodi storici che pesano sull’oggi. E’ il contributo della nostra piccola redazione per far sì che il ricordo non duri un giorno o una settimana… come spesso accade nelle commemorazioni ufficiali. Abbiamo disegnato, attraverso una dozzina di post, un affresco che pensiamo possa essere utile. Se qualcuna/o vuole aiutarci ad allargarlo, a proseguirlo… benissimo, si faccia sentire. (*db per la redazione*)

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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