Il Messico in vendita

Le Zone economiche speciali metteranno il ginocchio il sudest del paese

di David Lifodi

Sulle tre Zone economiche speciali (Zee) che il presidente Enrique Peña Nieto intende creare nel sud del Messico si sa molto poco, se non che in teoria intenderebbero generare “una strategia di sviluppo integrale volta a garantire nuovi posti di lavoro”. Le tre Zee sorgeranno nell’istmo di Tehuantepec, allo scopo di collegare il Pacifico con il Golfo del Messico, a Puerto Chiapas e nel tratto costiero di Lázaro Cardenas tra gli stati di Michoacán e del Guerrero.

Ufficialmente, le Zone economiche speciali sono descritte come il cosiddetto “volano dell’economia” per stati dove la mancanza di sviluppo aumenta i conflitti sociali, almeno così dicono a Los Pinos quando parlano del Chiapas, del Guerrero, di Oaxaca e di Michoacán, ma in realtà gli sponsor del progetto sono quantomeno dubbi, a partire dalla confindustriale Cámara Nacional de la Industria de Transformación (Canacintra) e dal Banco Nacional de Obras y Servicios Públicos (Banobras), incaricato di coordinare la creazione delle tre Zee, destinate a combattere quella corruzione, povertà, delinquenza e ingiustizia sociale di cui proprio lo stato messicano è il principale responsabile. C’è più di un’incongruenza nel progetto delle tre Zone economiche speciali, che ancora non sono state approvate con una legge dello stato, ma lo saranno a breve sulla spinta della potente lobby industriale che in pratica amministra il Messico. Lo sviluppo e il progresso del sud del paese, in realtà, rappresentano la cortina di fumo ideale per nascondere il vero scopo delle Zee, che è ancora una volta quello di offrire il territorio messicano al capitale straniero, utilizzare manodopera a basso costo, liberalizzare le tariffe doganali a vantaggio delle imprese e gettare le basi per una geografia strategica per svendere al meglio le risorse del Messico. Alcuni mesi fa il governatore del Chiapas Manuel Velasco Coello ha incontrato il direttore generale di Banobras, Abraham Zamora Torres, e il direttore del Centro di sviluppo internazionale dell’Università di Havard, Ricardo Hausmann, per parlare della nascita della Zona economica speciale di Puerto Chiapas. Hausmann non è una persona qualsiasi: ministro della Pianificazione in Venezuela e capo del gabinetto presidenziale di Carlos Andres Pérez nel biennio 1992-1993, successivamente ha lavorato come economista per il Banco Interamericano de Desarrollo, ma attualmente sta dedicando tutti i suoi sforzi per creare le condizioni ideali affinché il Venezuela vada in bancarotta e, di conseguenza, cada la presidenza Maduro. La presenza di Hausmann in Messico è preoccupante perché è stato grazie a lui che, durante la presidenza Pérez, il Venezuela ha subito una delle prime iniezioni di neoliberismo. Inoltre, sono seguiti, in questi mesi, altri incontri ad alto livello tra lo stesso Velasco Coello ed economisti della Banca mondiale e del Banco Interamericano de Desarrollo in cui si è parlato di commercio, industria, infrastrutture e, in particolare, del Parco agroindustriale del Chiapas. In Messico i singoli stati sono considerati entità molti simili alle nazioni, capaci di gestire gli affari di natura economica autonomamente (non a caso il Messico è un paese federale), ma anche a proposito di Puerto Chiapas le informazioni sulla Zee scarseggiano: ciò che è certo è lo sfruttamento e l’utilizzo di lavoro precario in una regione dove maquiladoras e violazioni dei diritti dei lavoratori e non solo sono una costante. Al tempo stesso, come hanno sostenuto gli industriali riuniti in una sorta di convention nazionale organizzata da Canacintra, le Zone economiche speciali creeranno le condizioni per una sinergia favorevole in grado di promuovere la competitività del Sudest messicano. Convinti sostenitori delle Zee sono anche i senatori perredistas, tra cui Benjamín Robles Montoya, presidente della Commissione speciale sud-sudest che vuole la Zee per il suo stato, quello di Oaxaca, tanto da caldeggiare un seminario sulle Zone economiche speciali organizzato dalla Banca mondiale. Secondo Robles e Velasco Coello il Messico, e in particolare la regione del sudest, assumeranno sempre più un ruolo strategico nell’economia mondiale e si inseriscono alla perfezione nell’ambito del Tpp, l’Acuerdo Estratégico Transpacífico de Asociación Económica, e dell’Alleanza del Pacifico a cui, proprio il Messico, aderisce. Per il Messico si prospetta il modello di Zone economiche speciali già sperimentato in Honduras, con la nascita di città autonome, distretti speciali di investimento e zone soggette ad un sistema giuridico speciale, tra cui le Zonas agroindustriales, le Zonas Turísticas, le Zonas mineras e le Zonas forestales, che in pratica si pongono al di fuori dello stato di diritto ed hanno finito per trasformarsi in paradisi fiscali dove le transazionali non sono sottoposte ad alcun controllo. A questo proposito, da quel poco che trapela, è certo che le Zone economiche speciali messicane saranno caratterizzate dal libero commercio, da tribunali autonomi e indipendenti che richiamano il Ciadi (il quale agisce per conto della Banca mondiale, basti pensare al caso della Bolivia quando rescisse il contratto con la multinazionale dell’acqua Aguas del Tunari), e ancora dai salari da fame per i lavoratori e dal furto delle terre ai danni delle comunità indigene. Il ministro del Tesoro del Messico, Luis Videgaray Caso, garantisce che le Zone economiche speciali serviranno per ridurre la povertà nel sudest del paese, attrarre nuove imprese e produrre nuovi posti di lavoro per almeno trecentomila famiglie.

In realtà, le Zone economiche speciali rischiano di trasformare l’intero sudest del Messico in un’immensa maquiladora in una sorta di nuova versione del supersfruttamento e della spoliazione delle risorse del ventesimo secolo. A causa delle Zee, il Messico rischia seriamente di essere messo in liquidazione .

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • Ma allora chi scriveva/cantava che il Messico è ‘la faccia triste dell’America’ aveva dannatamente ragione. E’ forse dall’arrivo degli spagnoli nel XVII secolo, che i nativi hanno perso la completa autodeterminazione? Gli articoli di David aiutano il giocatore di dama ad imparare gli scacchi.

  • Ciao Energu, mi fa piacere che l’articolo ti sia piaciuto. Cerco di interpretare i dati di cui sono in possesso e purtroppo, in America latina come altrove, a farla da padrone è l’economia e la gestione degli stati ormai avviene tramite holding e multinazionali: gli stessi presidenti a loro allineati, in questo caso Pena Nieto, sono solo dei meri esecutori.

Rispondi a ENERGU Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *