«Il mestiere della sinistra»

Gian Marco Martignoni sul libro di Stefano Fassina

L’arretramento nel nostro Paese di quella che un tempo si chiamava sinistra non è un fatto recente. Se la sconfitta epocale registrata dal Pd il 25 settembre determina uno scenario preoccupante per l’insieme del quadro istituzionale, figuriamoci quello che si prefigura sul piano della prospettiva sindacale. Poichè non si intravede un adeguato e necessario processo di riorientamento di una sinistra in grado di rappresentare bisogni e interessi delle classi popolari, risulta decisamente provocatorio il libro di Stefano Fassina «Il Mestiere della Sinistra» (Castelvecchi: euro 15, pagine 134): ha il pregio di collocare la sua riflessione a partire da una meticolosa e articolata comprensione dei condizionamenti esercitati in sede europea, ben prima dello statuto ultraliberista della Banca Centrale Europea contemplato dal trattato di Maastricht. Non a caso Mario Tronti nell’urticante post-fazione si sofferma sui guasti provocati dalla «globalizzazione ordo-liberale» e il ritorno a un capitalismo tipicamente predatorio sottolineando che «questo è un libro da leggere con la matita, segnando i passi, marcando gli argomenti, trattenendo le dimostrazioni». E infatti Fassina consegna 8 promemoria a quelle aree della sinistra che non si sono fatte abbagliare dalla retorica della “fine della storia” e hanno testardamente mantenuto un approccio critico rispetto alla distruttività intrinseca al neoliberismo globale, che con il primato assegnato al capitalismo finanziario ha generato crescenti diseguaglianze e lacerato pesantemente il tessuto democratico. Premesso che già con il trattato di Roma del 1957 il processo d’integrazione europea era sorto nel segno di un’economia liberista, è con l’Atto Unico del 1986 che la libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone (ma per le persone si intende dei Paesi ricchi) assume una preminenza assoluta rispetto alla sfera dei diritti sociali, con l’aggravante che per liberalizzare il movimento dei capitali basta la maggioranza qualificata mentre è necessaria l’unanimità per decisioni teoricamente di carattere restrittivo. In quest’ottica sono state emanate quelle direttive europee, dalla Posted Workers ( 96-71) sulla «libertà di stabilimento» alla famigerata Bolkestein (2006-123) sino alla recente Mobility Pachage (2020/1057) che hanno prodotto effetti devastanti sul piano del dumping sociale e fiscale, unitamente al fenomeno dilagante e destabilizzante di delocalizzare le imprese. Altresì la costruzione del mercato unico si è fondata sulla messa in concorrenza di sistemi di welfare e di reddito assai disomogenei, paradossalmente accentuata dall’allargamento dell’Unione Europea nel 2004 agli Stati dell’Est. Questo allargamento è risultato funzionale agli interessi di una Germania mercantilista, comportando però una regressione delle condizioni salariali dei lavoratori e delle lavoratrici, con la formazione di un esercito di “working poors” e l’approfondimento delle divergenze in seno all’Europa. La vicenda della Grecia ha rappresentato la cartina di tornasole di questo squilibrio, sulla scorta della crisi innescata dalla recessione globale del 2007-2008. Tutto ciò in nome dell’ossimoro dell’autorità espansiva, poiché la stabilità dei prezzi è stata perseguita soprattutto a discapito dell’obiettivo della “massima occupazione”. Inoltre, è manifesto il conflitto fra il predominio gerarchico della Corte di Giustizia europea e i princìpi sociali contenuti non solo nella nostra Costituzione – con il rischio, secondo Fassina, di un liberalismo autoritario – a cui è necessario contrapporre una serie di obiettivi di giustizia economica e sociale finalizzati al “contenimento” del capitalismo illimitato. Un contenimento che può avvenire, come nel caso di alcune di decisioni assunte inaspettatamente a livello europeo con il Next Generation Eu, in seguito alla contrazione del ciclo economico causata dalla sindemia globale, non solo per contrastare la fallacia del paradigma ordo-liberista, ma anche attraverso il rilancio del ruolo dello Stato nazionale. Per Fassina è necessario riprendere il concetto di sovranità in antitesi al nazionalismo caro ai populisti di destra, per disegnare un’idea di Europa come comunità fondata sulla pluralità degli Stati e dei loro cittadini – in assenza di un demos europeo – in grado di contribuire alla prospettiva per un mondo multipolare. Infine la sinistra deve riprendere, contro le tendenze che ledono i princìpi della solidarietà, sia il tema della cittadinanza che quello della redistribuzione del lavoro, rilanciando una serrata critica alla visione della persona come mero consumatore, per mirare invece allo sviluppo umano integrale in un’ottica laburista e ambientalista.

 

Redazione
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3 commenti

  • Domenico Stimolo

    Bene, tutto giusto!
    Al dunque, pero’, stante la situazione in atto in Italia, come si fa a modificare il grave stato dell’ arte in essere?
    Chi e come si mobilitano i Soggetti sociali (e cittadini in genere) che stanno drammaticamente subendo le conseguenze sulle proprie carni , e nella propria vivibilita’ :
    * Inflazione al 12%
    * Alto tasso di disoccupazione
    *Grande e continuo perdita del potere di acquisto dei lavoratori e di tutti i soggetti precari.
    * Crescita costante e forte delle poverta’.
    * Grande incremento , a favore dei soggetti ricchi e privilegiati, degli equilibri distributivi della cosiddetta ricchezza nazionale.
    * Continua e massiccia crescita dell’ ‘ evasione fiscale: ormai la stragrande parte dell’ Irpef viene pagata da lavoratori e pensionati.
    * Crisi ambientale divenuta sempre piu’ insostenibile, si e’ abbondantemente aperto il baratro ….verso il disastro, per l’ umanita’ e Gaia Terra
    * Crescita delle pratiche razziste e delle subdole azioni gestionali contro i profughi – migranti.
    * Tragica intensificazione dei ” sentimenti” distruttivi e delle pratiche di guerra .

    Su tutto questo le parti politiche della sinistra e i Soggetti sindacali, operativamente ( e nel richiamo alla Lotta) tacciono!

    Il sottotitolo del libro recita: “: nel ritorno della politica”.
    Gia’, dalle lotte e nel ” mestiere della sinistra, a partire dalla fine degli anni sessanta ( per mutare la stratificazione sociale in essere dalla nascita della Repubblica) e’ emerso che senza movimenti di lotta non nasce ( o rinasce ) la sinistra, e principalmente non cambiano quelli che un tempo venivano chiamati ” rapporti di forza”.
    Quindi, Chi e come si pongono gli obiettivi impellenti della quotidianita’….come nascono i movimenti di lotta?

    Il libro e’ stato presentato a Catania venerdì sera ( in Camera del Lavoro).
    Nel mio intervento, sinteticamente, ho evidenziato le valutazioni scritte in questo commento.

  • Gian Marco Martignoni

    Come rilanciare un movimento o più movimenti di lotta, a fronte della scomparsa della sinistra e di una preoccupante passivizzazione politica, è effettivamente la questione principale da dibattere collettivamente.

  • Sia Stimolo che Martignoni hanno individuato esattamento il punto di partenza per la nascita di una nuova sinistra: una sinistra operaia e comunista. Aprendo un discorso enorme, che Stimolo riassume nella necessità della nascita dei movimenti di massa.
    Giusto. Il problema è che dietro questi movimenti ci sia una rinnovata disponibilità, sua pure embrionale, dei lavoratori produttivi a contendere al capitale in un primo momento sul piano economico, poi quello ideologico politico, la ripartizione delle risorse. Per subito dopo passare alla gestione complessiva della società.
    Siamo lontani da tale propsettiva? Lontanissimi…
    Ci avviciniamo rapidamente a causa della stupidità della classe dominante, che genera contraddizioni e necessità di ribellione che potrebbe prevenire lasciando ai dominati una parte minuscola del profitto realizzato. La stupidità ma anche le crescenti difficoltà oggettive dell’accumulazione, che la sospingono a togliere anche l’aria (fra poco pretenderanno di vendercela) ai proletari.
    Ma ci avviciniamo anche in ragione dei discorsi che sul merito vengono imbastiti. Sempre che si tratti di discorsi pertinenti. La circolazione di idee utili alla ricostituzione del conflitto di classe, genera chiarezza e disponibilità nell’impegnarsi in prima persona nella lotta di classe. Che subito diventa disponibilità collettiva.
    Nel piccolo, piccolissimo di questo post, è quel che stiamo facendo. Con la pazienza e l’umiltà che occorre.
    Ci siamo anche noi, anche se non saremo noi (almeno alcuni di noi) a goderne gli effetti.

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