«Il mondo senza di noi» di Weisman

recensione-riflessione di Fabrizio Melodia (l’Astrofilosofo)

Una sensazione di sottile brivido sotto la pelle.

Una scarica elettrica che si propaga dalle gambe fino alla radice dei capelli, sotterranea e mormorante.

Una strana sensazione.

Tutto è silenzio intorno a noi.

Nessuna foglia si muove.

Nessun mezzo strombazza all’impazzata.

Nessuno grida parolacce all’indirizzo di qualcun altro.

Nessuna televisione è accesa.

Nelle strade, una pioggerellina sottile ad aghi punge l’asfalto che sfrigola fumo denso.

Le finestre hanno piante appassite che pendono come braccia morte, protese verso il basso.

Tutto riposa in un silenzio nevoso.

La neve non c’è.

Gli animaletti sgambettano allegri nelle vie deserte, i gatti fanno mille corse sui pali semaforici, nel cielo il falco è tornato a nidificare sui casermoni degli anni che furono.

Nessuno vede tutto questo.

Tutto questo non esiste.

Ovvio.

Non esiste alcuna cosa senza un occhio che la vede, senza una mano che la tocca, senza un olfatto che l’annusa, senza un cervello che ordina in modo coerente tutte queste percezioni della realtà esterna.

Non esiste.

L’uomo è scomparso dalla faccia della Terra come se non fosse mai esistito.

Non c’è stata la temuta guerra nucleare né il conseguente inverno che tutto spazza e tutto copre.

Non c’è stata la temuta epidemia che avrebbe dovuto colpire l’umanità non più tardi del 2012.

Semplicemente sembra essersi avverata proprio la profezia del suddetto anno.

L’umanità si è volatilizzata, scomparsa, inghiottita come da un buco nero.

E’ questo il prologo del libro di Alan Weisman, una sintesi di fantascienza e saggistica, condotta con una prosa asciutta ed essenziale: «Il mondo senza di noi», uscito nel 2008 da Einaudi.

Come potrebbe essere?, si domanda lo scienziato statunitense.

Un’inchiesta condotta con la potenza speculativa della narrativa scientifica e con la precisione dell’entomologo più che del fisico.

La fantascienza non è nuova a queste avventure nell’ipotetico, dal capostipite Luciano di Samosata, che ipotizza il primo viaggio sulla Luna, al romanziere Philip K. Dick, il quale immagina un mondo in cui i nazisti hanno vinto la guerra.

E’ la prima volta però che viene usata per fare speculazioni scientifiche, simulazioni di come potrebbe essere la vita per il nostro mondo se noi smettessimo di colpo di esistere.

Alan Weisman conduce per mano il lettore in una telecronaca minuto per minuto di questo straordinario fenomeno senza precedenti.

Descrive il primo giorno senza l’uomo, poi il secondo.

In seguito descrive gli anni a venire, fino all’incredibile conclusione della vicenda, quando il mondo sarà passivo e indolente testimone della trasformazione del nostro Sole, trasformatosi dopo cinque miliardi d’anni in un buco nero.

Basta galassia, fine della Via Lattea.

Le ruspe cosmiche l’hanno rasa al suolo e hanno posto i sigilli dove prima splendevano stelle e pianeti.

Negli anni precedenti le città erano scomparse, esattamente come quelle degli antiche popoli, sommersi dall’acqua e dalla vegetazione e solo pochi e duraturi rimasugli erano rimasti a testimoniare la presenza di una creatura intelligente ed operante.

Una creatura estinta senza apparente spiegazione.

Esattamente come altre civiltà prima di lei, potrebbe ipotizzare ulteriormente l’autore.

Come sarebbe il mondo senza la nostra presenza?

Weisman non si sbilancia troppo, non vuole malmenare il diretto interessato, non esprime giudizi morali, non vuole condannare nessuno.

Da quello che scrive si potrebbe addirittura dedurre che la Terra soffrirebbe della nostra assenza, nonostante lo sfruttamento intenso e smodato dell’ultimo mezzo secolo.

Weisman non si limita a mostrarci il giorno dopo ma lancia il suo aristotelico cannocchiale fino alla fine di una galassia.

Nessuna entità aliena verrà a salvarci.

Nessun giudizio dopo la fine del mondo. La scienza e la fanta-scienza arrivano in questo modo alla stessa conclusione.

L’Universo, che altri chiamano la Biblioteca, non si accorge minimamente della scomparsa di un intero scaffale di libri. C’è più posto per gli altri.

Questo è tutto.

Si può invertire l’effetto entropia?

Tutte le cose lanciate in alto, devono necessariamente ricadere in basso?

Weisman conduce il perplesso lettore lungo questo girone di domande infernali, tentando di dare un’altra risposta per un quesito che risuona terribilmente nel cervello, come un chiodo fisso duro da ribattere.

Possiamo cambiare una strada già tracciata?

Redazione
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