Il papa a Sarajevo: tre domande…

e un articolo di Sofri. A seguire la lettera degli intellettuali bosniaci a Bergoglio: «A Sarajevo la accoglieranno gli stessi che glorificano i criminali di guerra».

di Božidar Stanišić (*)

 

SarajevoOGGI

Approfitto di questo spazio per rispondere ad amici e conoscenti che, in occasione della visita del papa a Sarajevo, mi hanno posto tre domande: che penso della visita di papa Francesco alla «Gerusalemme d’Europa»; se sono emozionato; come valuto l’articolo di Adriano Sofri su «Repubblica» del 6 giugno?

La prima risposta: innanzitutto ho visto un uomo che, in breve tempo, è riuscito a capire che … più di qualcosa è marcio nell’Elsinore noi chiamiamo Europa. Che oltre alle divinità terrestri – Denaro e Potere – del Vecchio Continente ci sia un ombelico
su cui si è versato il sangue, inciso il dolore e reinsediato l’assurdo delle divisioni etniche e religiose. Sì, ho visto un uomo addolorato nel cercare i perchè, come se volesse – attraverso il desiderio di conoscere meglio la Sarajevo che è stata divisa – aprire in modo taciturno la discussione sui confini dell’Europa attuale, impostati nel 1992 da Wojtila e dal cancelliere Kohl (altri seguirono). Ve ne ricordate? Più o meno così: “Riconosciamo la Slovenia e la Croazia – e il resto che vada a quell’avversario di Dio e noi, intanto, preghiamo per loro”.

Cosa pensa Bergoglio? Ha già detto che sul pianeta è in corso una “Terza guerra Mondiale”… a pezzetti. Credo che su Sarajevo abbia numerose impressioni ancora non rivelate e non solo perché lui pure vive un altro assurdo, quello di un vescovo che è anche capo di uno Stato, piccolo ma ricchissimo di denaro.

La seconda risposta: non sono emozionato della visita. Le mie emozioni si sarebbero mosse per un motivo diverso, cioè se la gente in Bosnia – le cui risorse economiche e naturali sono state svendute da tempo (sia con la guida “sicura” dei buoni europei che con quella dei “patrioti” più audaci) – incominciasse a vivere meglio. E almeno come alla fine degli anni Ottanta, con meno disoccupati e giovani il cui ideale è lasciare il Paese.

Il papa ha fatto il suo dovere umano e spirituale ma io sarei più emozionato vedendo il mio Paese nativo illuminato dal riflesso della “chiave” kantiana quindi più maturo, più appoggiato alle proprie risorse economiche e conoscenze umane, per il bene di tutti. E non per il bene di pochi.

Le terza risposta – sull’articolo di Sofri – è quella più difficile. Credo che solo uno studio dettagliato potrebbe spiegare il perché del suo impegno plurienale per la Bosnia e Sarajevo. Il resto è letteratura. Il suo articolo del 6 giugno è solo uno di una lunga serie che potevano essere scritti solo dalla “razza” dei giornalisti, un povero tentativo di far quadrare il cerchio della «Gerusalemme EU» alla vigilia della visita del papa. Un giorno forse qualche studente farà la tesi sugli articoli di Sofri sulla Bosnia e sull’ex-Jugoslavia. Io intanto aggiungo solo questo: se Saviano interpreta le opere letterarie, perché Sofri non può scrivere sulla Bosnia? Se c’è già una moltitudine di persone che, appena messo il piede nei Balcani, scrive articoli, saggi, romanzi (ricordate la Mazzantini?) perchè Sofri dovrebbe smettere?

Lettera degli intellettuali bosniaci al papa (Radio Slobodna Evropa)

Un gruppo di intellettuali bosniaci firma un appello a papa Francesco in vista della sua visita a Sarajevo, per ricordargli le connessioni che esistono fra nazionalismo e Chiesa cattolica in Bosnia Erzegovina.
«Caro Papa Francesco,
la Sua prossima visita nel nostro Paese è estremamente incoraggiante. L’annuncio sosteneva che Lei sarebbe venuto per rinforzare i semi del bene e contribuire al consolidamento della pace e della fratellanza, così ci siamo presi la libertà di scriverLe. In quanto cittadini di Bosnia ed Erzegovina vorremmo condividere con Lei quello che Lei potrebbe non sentire dai politici e dalle altre figure pubbliche. Abbiamo deciso di indirizzarci molto rispettosamente a Sua Santità per introdurre tematiche che noi pensiamo siano di primaria importanza per la Bosnia Erzegovina e il suo popolo.

L’Agenzia di stampa cattolica ha accompagnato l’annuncio della Sua visita con questa frase: “(Sua Santità) si recherà in una nazione marcata da un’estrema varietà etnica e religiosa, che è stata un fattore chiave della guerra più recente”. Secondo noi questa frase è estremamente preoccupante e non corrisponde alla verità.

Questa diversità etnica e religiosa è in effetti qualcosa di cui andiamo molto fieri e pensiamo sia un’enorme fortuna per il nostro Paese e per la nostra società. La nostra essenza culturale è un tessuto estremamente intrecciato di differenti etnie e religioni; non vivremmo secondo la nostra identità se non ci fosse posto, in questa, anche per gli altri. Anche se ciò ha significato subire guerre, sofferenze ed espulsioni di popolazione, la nostra identità multiculturale e multiconfessionale è la nostra condizione naturale. E non solo per noi – la Bosnia Erzegovina è una parte dell’Europa in cui musulmani, cristiani (cattolici e ortodossi), ebrei e molti altri hanno potuto vivere assieme per secoli. La nostra tragedia è che questa diversità è stata usata attraverso la storia come un pretesto, una cortina di fumo per rubare la terra e derubare il popolo, secondo il principio del “divide et impera”. Essa è stata abusata dalle stesse persone che amano il potere e servono i propri interessi particolari, da conquistatori senza scrupoli, dall’élite politica e, a volte, da quella clericale.

I primi anni del periodo post-socialista in Bosnia Erzegovina sono stati caratterizzati da due processi molto potenti e connessi tra loro: la “nazionalizzazione del sacro” e la “socializzazione del nazionale”. Allo stesso tempo la religione è stata rivitalizzata, e reinterpretata come un dato di fatto politico – la religione è stata politicizzata attraverso l’etnicizzazione. In ragione di ciò la religione, purtroppo, è stata interpretata in termini sempre più ristretti: la religione è stata ridotta a un dato di appartenenza etnica invece di mantenere innate le sue caratteristiche universali e la sua missione. In questo modo, l’identità religiosa e quella etnica sono collassate l’una sull’altra.

Una soluzione politica sostenibile e giusta non può essere basata sulla divisione artificiale del nostro popolo, decisa e posta in essere dalle persone sbagliate. Noi desideriamo costruire sulle solide fondamenta del nostro codice culturale comune, dell’etica e della moralità. Noi dobbiamo educare le persone, promuovere pace e riconciliazione, lavorare costantemente per favorire la giustizia e la ricostruzione del nostro tessuto sociale, che è stato tragicamente fatto a pezzi. Ci sentiamo enormemente rafforzati, in questo, dal fatto che Sua Santità offra il proprio aiuto.

La grande cerimonia pubblica ritratta nelle fotografie allegate sono state fatte a una messa e a un discorso che Kordic tenne dall’altare della Chiesa. Allegata anche una foto di Dario Kordic ai tempi della guerra e una foto di un campo di prigionia.

Da parte sua, non c’è mai stata una singola parola di rimorso per quanto fatto, nessuna catarsi, nemmeno la tanto agognata metanoia.

Persone come Kordic probabilmente non sono familiari con questi concetti, ma i membri del clero che l’hanno accolto e hanno celebrato il suo ritorno dalla prigione, specialmente durante la sua visita a Zagabria (dove Kordic è stato accolto dal vescovo Vlado Kosic di Sisak) e Mostar, sicuramente lo sono. Essi hanno comunque deciso di assolvere i criminali, trasformandoli anzi in martiri. Il capo della Provincia Francescana di Erzegovina, Dr. Fr. Miljenko Steko, ha anzi fornito supporto istituzionale a Kordic e anche uno spazio dal quale poter tenere lezioni a proposito della sua “esperienza di fede”. I membri delle altre etnie hanno percepito tutto questo come una forma di negazione delle loro sofferenze e di celebrazione dei crimini commessi contro di loro. Le loro ferite non guariscono, anzi si approfondiscono.

Questo non è stato assolutamente l’unico esempio di un caso in cui il clero ha sostenuto criminali di guerra, solo il più recente. E va detto che questo non è un fenomeno esclusivo della Chiesa cattolica in Bosnia Erzegovina. La Chiesa ortodossa serba e la Comunità islamica spesso hanno espresso il proprio supporto a persone condannate per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Troppi, fra questi clericali, non servono la loro gente, ma la loro nazione.

Siamo estremamente rattristati che le stesse persone che hanno accolto così gioiosamente dei criminali di guerra saranno in prima fila ad attenderLa in Bosnia Erzegovina.

Negli ultimi mille anni la Chiesa cattolica di Bosnia Erzegovina è stata una parte essenziale della nostra identità. I contributi che la Chiesa, il clero e i fedeli hanno dato al nostro progresso spirituale, culturale e scientifico sono stati immensi.

Siamo pieni di gratitudine per tutto l’aiuto che la Chiesa e il suo popolo hanno dato durante la guerra. Molti, fra i suoi fedeli, sono stati eroi. Ricorderemo per sempre Gabriele Moreno Locatelli, un pacifista e uno studente della Lombardia, membro dei “Beati costruttori di pace”, che ha perso la sua vita a Sarajevo durante l’assedio. La gente di questo Paese è estremamente riconoscente per il supporto che ha ricevuto da Giovanni Paolo II che, durante la guerra, parlava continuamente della Bosnia Erzegovina e si è schierato apertamente contro il nazionalismo. Questo è il motivo per cui è cruciale il modo in cui i clericali di questa generazione risponderanno alla chiamata per la vera pace e per la riconciliazione.

Padre Santissimo, ogni Sua parola o gesto risuonerà profondamente nella nostra società e nel mondo. Non vediamo l’ora di poterLa accogliere e onorare nel nostro Paese. Ci sentiamo benedetti dalla decisione di Sua Santità di venire in visita a Sarajevo. Crediamo fermamente che la Sua visita possa segnare l’inizio di un’era di pace e riconciliazione genuine, dalla quale trarranno beneficio intere generazioni di bosniaci ed erzegovesi.

Con profondo rispetto e ogni augurio per Sua Santità».

Aleksandar Brezar, traduttore, giornalista, sceneggiatore
Aleksandar Hemon, scrittore, vincitore del premio McArthur genius
Alen Voloder, programmatore
Brano Jakubovic e Vedran Mujagic, membri di Dubioza Kolektiv
Damir Arsenijevic, professore delle università di De Montfort, Leicester e Tuzla
Dino Abazovic, professore, sociologo
Franjo Sarcevic, matematico, attivista
Garana Mlinarevic, avvocato internazionale per i diritti umani
Ines Tanovic Sijercic, attivista, storico dell’arte
Jasmila Zbanic, regista, vincitrice dell’Orso d’Oro alla Berlinale,
Kumjana Novakova, festival del cinema dei diritti umani Pravo Ljudski,
Nidzara Ahmetasevic, giornalista, attivista
Refik Hodzic, giornalista, attivista della giustizia
Sabina Sabic, attivista di pace, produttore
Saida Mustajbegovic, sociologo, giornalista
Sasa Stanisic, scrittore, vincitore del Premio della Fiera del libro di Lipsia
Ulvija Tanović, traduttrice
Zoran Herceg, artista, attivista

Zoran Ivancic, attivista per la pace

La Bosnia Erzegovina ha bisogno di tutto l’aiuto che può ottenere nel corso del tortuoso e lento processo di ricostruire la fiducia tra i gruppi etnici del Paese. La genuina accettazione e riconoscimento delle atrocità commesse durante la guerra è un elemento chiave in questo processo. Questo riconoscimento dipende soprattutto dalla fine del negazionismo e della giustificazione dei crimini commessi dai membri del “nostro gruppo”; dipende dall’accettazione e dalla condanna sincera di quei crimini; e dipende dalla responsabilità morale e legale dei loro autori. Al contrario, noi siamo ancora testimoni della glorificazione di individui che, nonostante siano stati giudicati colpevoli e condannati per crimini di guerra, sono lodati come eroi nazionali e martiri. Se vogliamo che la Bosnia Erzegovina diventi un paese normale, dobbiamo rimuovere questi spettacoli nazionalisti dalla nostra arena politica. Dobbiamo eliminare il fascismo dalla politica, dall’educazione, dai media e dalla strada. Questo è il minimo che il nostro Paese meriti, in ragione del numero elevatissimo di persone uccise, ferite, stuprate, imprigionate in campi di concentramento o cacciate sulla base della loro etnia.

Ci permetta di illustrare perché noi riteniamo queste logiche di divisione “fasciste” e perché pensiamo che siano dannose con uno sfortunato episodio molto recente. Sotto, Lei può vedere come Dragan Covic, membro della Presidenza di Bosnia Erzegovina, che sarà Suo ospite durante la Sua visita a Sarajevo, e Marinko Cavara, che è l’attuale Presidente della Federazione di Bosnia Erzegovina, hanno accolto pubblicamente il criminale di guerra Dario Kordic, che è ritornato dall’Aia dopo aver scontato 2/3 della propria pena in carcere.

Redazione
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