Il periodo dei regali – ricercatori inclusi
Dopo il Jobs Act in questo Paese tutto diventa chiaro: il precariato sta scomparendo, però assieme ai precari. Ora sta toccando i ricercatori universitari, malgrado le statistiche non siano bugiarde: dall’Italia se ne vanno, ma resta, per (s)fortuna il ministro Poletti, perito agrario di professione.
Niente disoccupazione ai precari – vedi l’articolo qui sotto – come regalo natalizio e niente girotondi. Solo una protesta, come capita sempre per chi è toccato da una decisione del Governo. Coloro che “ballavano” nei tempi di Berlusconi si sono evidentemente stancati, a partire dai nomi illustri; più d’uno di loro adesso sta lustrando le scarpe del falso dopo Silvio.
E’ uno dei nuovi tagli, questo che fa “nuovi vestiti” ai ricercatori universitari. Si taglia nel tempo dello slogan «non tagliamo niente a nessuno», ma agli «hobbysti» – come vengono chiamati da quel perito agrario, evidentemente intenditore di alti livelli della scienza attuale – eh sì, se sono «hobbysti» perché no?
Quindi, essendo già stato deciso tutto sui nuovi tagli allo status dei ricercatori, qualche buffone direbbe: «L’intervento chirurgico è stato eseguito perfettamente, ma il paziente purtroppo…».
Solo una nuova conferma che nel dopo Berlusconi, a partire da Monti e Letta, tutto si muove: per puro caso in fondo alle vele di chi è benestante e ricco soffia il vento più forte. E ne vedremo ancora molte, così. In silenzio, quasi. Quindi, niente di nuovo sul fronte dell’egoismo di gran parte della società.
Purtroppo, i figli dei poveri – di talento e di capacità ma impossibilitati a mostrarle nel Paese nativo – si mettono nelle loro barchette e navigano lontano dalle sponde italiane.
«Non mi piace lamentarmi da solo, non mi va aspettare fino all’eternità, qui non cambierà nulla» mi disse tempo fa il figlio di un amico, attualmente in Olanda, ricercatore in un instituto di alta ricerca farmaceutica: «a voi lascio Boschi (che non è piovuta dal cielo, vedrete), Poletti e l’intera corte del Fiorentino…«».
(*) Questo articolo di Roberto Ciccarelli è uscito su «il manifesto» del 16 dicembre con il titolo «Per il Pd la ricerca è un hobby: niente disoccupazione ai precari». Ecco l’occhiello e il testo.
«Università. La disoccupazione è un bel mestiere. Se lo pagano i signori. Fare ricerca in Italia non è un lavoro. Il governo e il Pd bocciano l’emendamento che estende il sussidio di disoccupazione “DIS-COLL” a dottorandi, assegnisti o borsisti. La protesta a Montecitorio venerdì 18 dicembre».
Studenti a vita. Ecco cosa sono i ricercatori precari: dottorandi, assegnisti di ricerca, equilibristi delle borse di studio. Firmano un contratto con le loro università, in tutto simile alla “collaborazione coordinata e continuativa” tanto cara al governo che dice di avere abolito la precarietà. E invece ha abolito le “collaborazioni a progetto” ed è tornato ai vecchi cococò. Straordinaria operazione di innovazione.
Questi ricercatori precari, figli di un dio minore che non lavora come salariato né fa il docente, versano i loro contributi alla gestione separata dell’Inps. Quella a cui sono iscritte le partite Iva e i parasubordinati che versano i contributi, rispettivamente il 27% e il 30% del loro reddito. Ma come questi ultimi, e diversamente dagli altri cococò iscritti ad altre gestioni previdenziali, non avranno un sussidio di disoccupazione. Sempre che poi questa Dis-Coll approvata dal Jobs Act e rifinanziata con la legge di stabilità sia effettivamente raggiungibile, e non un sogno schermato dietro condizioni impossibili. In ogni caso, oggi come sempre, chi fa ricerca lo fa per sport. Come un hobby. Mica sul serio.
E’ questo fatale pregiudizio, radicatissimo tanto nel legislatore italiano, quanto nel retroterra oscuro dell’accademia italiana, ad avere spinto la commissione Bilancio della Camera a bocciare la possibilità di estendere la DIS-COLL agli assegnisti di ricerca senza nemmeno esaminare l’ipotesi di ricomprendere dottorandi e borsisti e limitandosi a prorogare l’istituto per il 2016.
Per fare ricerca, te lo devi permettere. La disoccupazione è un bel mestiere. Se lo pagano i signori. Questa è la verità classista imposta dopo anni di tagli e di fughe dall’università: i docenti sono scesi a meno di 52mila (-17%) dal 2008 a oggi. L’introduzione del vincolo di copertura con borsa di dottorato di almeno il 75% dei posti a bando, adottato dalle “Linee Guida” su indicazione dell’Anvur, ha generato una gravissima emorragia di posizioni di ricerca. Tra il 2013 e il 2014 si è passati da 12.338 a 9.189 posti, con una diminuzione del 25,5%. Gli atenei hanno ridotto le posizioni, invece di aumentare le borse di dottorato. Ciò ha provocato la crescita dei dottorati senza borsa: 2.049 su 9.189 per il XXX ciclo. Intendiamoci: chi non ha un dottorato senza borsa non avrà comunque un sussidio di disoccupazione. Doppiamente penalizzati: per fare ricerca, questi precari invisibili devono pagare. “Questo passaggio parlamentare è tanto più grave perché nasce dalla negazione della dignità stessa del lavoro di migliaia di giovani ricercatori: assegnisti, dottorandi e borsisti di ricerca, secondo le note parole pronunciate dal ministro Poletti in un’interrogazione parlamentare, non si configurerebbero come lavoratori” sostengono FLC CGIL e i dottorandi dell’Adi.
Le organizzazioni ricordano anche che un emendamento di segno diverso è stato approvato il 26 novembre dalla Commissione Lavoro. Ora invece è stato bocciato. Anche se, si spera, potrebbe essere ripescato nel Milleproroghe.
Se il Pd e il suo governo sono caotici, indecisi su tutto, qualcosa di peggio emerge dalle parti del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del ministero dell’Istruzione e dell’Università. Per Flc Cgil e Adi sono “completamente disinteressati alle sorti di decine di migliaia di giovani ricercatori”. E si capisce: sono “studenti” o tutt’al più “precari”. Di certo non “professori”.
L’invito è agli assegnisti, dottorandi e borsisti il cui contratto è arrivato a scadenza senza essere rinnovato nel corso del 2015: fare domanda per la disoccupazione. Quando sarà respinta dall’INPS, continuare con il ricorso amministrativo. Ancora una volta si finisce in tribunale per garantire un diritto a qualcuno che non è considerato un soggetto di diritto: un lavoratore, con il contratto. Anche se poi questo contratto lo ha firmato sul serio. Bestialità ordinarie nel Paese dove la “precarietà” sarebbe stata sconfitta dal Jobs Act.
Ma visto che i giudici non possono sostituirsi ai diritti che non ci sono, occorre fare qualcosa in più. Ad esempio mobilitarsi. FLC CGIL, ADI, LINK, CRNSU e Rete29 Aprile ci proveranno venerdì 18 dicembre in piazza Montecitorio a Roma dov’è stato organizzato un presidio. Sono invitati tutti i ricercatori che non sono considerati lavoratori. Questo è il Paese delle favole. Si chiamano Jobs Act».
LA VIGNETTA è di Mauro Biani.