«Il pianeta selvaggio»: un esercizio di…

fanta-memoria congegnato da Luca Cumbo

«Il pianeta selvaggio» («La planete sauvage», Francia-Cecoslovacchia) è un film del 1973, tratto dal romanzo «Oms en sèrie» di Stefan Wull, pubblicato nel 1957.

La storia è ambientata nel pianeta dei Draag,

 

giganteschi alieni evoluti e antropomorfi, dove gli uomini sono divisi in “domestici” e “selvatici”: i primi sono usati come animaletti da compagnia, come gioco per i bambini Draag; quelli selvatici sono rozzi, violenti, primitivi, considerati pericolosi, tanto da essere periodicamente vittime della “disinfestazione” da parte dei Draag. Fra i “domestici” c’è però un bambino che, accedendo quasi per caso alla profonda conoscenza dei suoi padroni, proverà a guidare una potenziale riscossa degli umani.

Molti anni prima di dirigere «La planete sauvage», Renè Laloux (1929-2004) iniziò a sperimentare tecniche di animazione e di regia insieme ai pazienti dell’istituto psichiatrico di Cour-Cheverny, nella Francia centrale, dove le terapie mediche furono integrate con laboratori sperimentali di disegno, ombre cinesi e naturalmente il lavoro dell’animazione cinematografica. Il risultato fu nel 1960 il corto «Les Dents du singe» («Denti di scimmia»). Grazie a questo lavoro, realizzato con l’apporto attivo degli utenti della clinica psichiatrica, avvenne l’incontro fra Laloux e Roland Topor (1938-1997) dando origine a un lungo sodalizio artistico. Con Topor – sulla cui importante figura ci soffermeremo più avanti – Laloux realizza cortometraggi d’animazione come «Les temps morts» (I tempi morti, 1964) e «Les escargots» (Le lumache, 1965). La lunga collaborazione fra i due è coronata nel 1973 da «La planete sauvage».

I temi portanti del film sono coraggiosi e affrontati senza timore, dalle allusioni ai concetti di “superiorità razziale” (con tentativo di “soluzione finale” con il gas) ai riferimenti sul rapporto umano-animale, pur nell’allegoria invertita del rapporto Draag-uomo; dalla ricerca metodica della trascendenza tramite la meditazione, da parte dei Draag, alla bestialità degli esseri umani “bestiali” con i quali però infine si è complementari: questa dicotomia è il tema dell’ascesi alchemica, possibile solo attraverso un primo incontro con l’infimo, con il bestiale, con la deiezione, argomenti familiari soprattutto all’eclettico Roland Topor e ai suoi compagni d’arte e di ricerca artistica ed esistenziale del «Mouvement Panique», un collettivo-movimento artistico da lui fondato nel 1962 a Parigi, insieme ad Alejandro Jodorowsky e Fernando Arrabal.

Il contorno dei disegni sfumato e il colore mai troppo acceso, contribuiscono a creare un’atmosfera visionaria che riesce a far convivere allo stesso tempo tensione verso l’etereo e spinte inquiete. Tale atmosfera si mantiene con costanza per tutto il film come elemento maggiormente caratterizzante dell’animazione. Roland Topor è stato un grande artista, forse tra i più importanti ed eclettici disegnatori e illustratori del Novecento, ma è stato anche attore, scrittore, sceneggiatore, cineasta. Nel «Pianeta selvaggio» Topor si muove abilmente attraverso i numerosi ruoli ricoperti, a testimonianza della “multidirezionalità” della sua arte visionaria: titolare dell’animazione, responsabile della caratterizzazione dei personaggi, progettista degli animali-alieni, è anche ideatore delle ambientazioni, nonché responsabile della trasposizione, insieme al regista, dal romanzo di Wull. Ad accorgersi di lui è, in Italia, Federico Fellini che gli affida i disegni della lanterna magica nel suo «Casanova» (1976). Il regista e scrittore Giorgio Pressburger gli commissiona la scenografia e i costumi per la produzione italiana dell’opera lirica «Le gran Macabre», ostico capolavoro di György Ligeti finito di comporre nel 1977. Topor scrive anche il soggetto de «L’inquilino del terzo piano» (1977) di Roman Polanski, traendolo da un suo romanzo «Le locataire chimérique» del 1964. Interessante anche la partecipazione come attore in «Nosferatu» (1979) di Werner Herzog nella parte di Renfield. Maurizio Nichetti lo vorrà invece in «Ratataplan» (1979) nel ruolo del boss.

Fra gli scritti di Topor ci limitiamo a ricordare «La couisin cannibale» (La cucina cannibale) consigli culinari per cannibali, mai uscito in Italia, mentre «Memorie di un vecchio cialtrone» (edizione italiana pubblicata dalla Voland nel 2013) è la surreale e dissacrante autobiografia ma – come Topor stesso rivendica convintamente – totalmente immaginaria.

La colonna sonora del film fu affidata al pianista jazz, compositore e arrangiatore, il francese Alain Goraguer, conosciuto anche per le collaborazioni con Serge Gainsbourg e Boris Vian. Quando firma le musiche di «La planete sauvage» ha già collaborato con la coppia Laloux & Topor realizzando gli accompagnamenti sonori dei corti «Les temps morts» e «Les escargots». Sotto lo pseudonimo di Paul Vernon Goraguer si è dedicato alla composizione di numerose colonne sonore di film a luci rosse, portando all’estremo l’evidente passione per un uso spropositato di gemiti e sospiri nelle proprie musiche.

 

Luca

2 commenti

  • Concordo in pieno con Luca sulla bellezza di questo film (la storia-base invece a me parve debole) e sulla genialità di Topor. A chi cerca qualche TOPOR perduto o a chi inizia ora a “conoscerlo”… consiglio le vecchie annate della rivista Linus ma anche un romanzo/nonromanzo (edito da Milano Libri nel 1969, temo che ormai si trovi solo nelle buone biblioteche) intitolato LA PRINCIPESSA ANGINA: imperdibili le istruzioni per far maglioni o le storie da raccontare… per far cuocere le uova; dopo tanti anni ancora ricordo cosa disse “il bandito senza capacità di sintesi” o i mille giochini sul tempo… Una meraviglia insomma.

  • si, sono d’accordo, la trama è debole, a volte sbrigativa. ma penso sia dovuto alla mancanza di fondi per sviluppare meglio le parti e/o aggiungerne altre. il fascino è comunque strepitoso.

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