Il poco credibile suicidio in carcere di Stefano Dal Corso

Germano Monti per Diogene*

Lo scorso 12 ottobre, nel carcere sardo di Oristano, un detenuto quarantaduenne veniva trovato impiccato nella sua cella. Stefano Dal Corso, romano del quartiere Tufello, si trovava temporaneamente in quel carcere per sua scelta, avendo optato per presenziare di persona ad un processo, anziché collegarsi in videoconferenza dal penitenziario romano di Rebibbia.

La scelta era motivata dalla possibilità di facilitare i colloqui con la figlia, che vive sull’isola. Dal Corso era stato condannato per piccoli reati estorsivi ad una pena inferiore ai due anni, che stava scontando agli arresti domiciliari in casa della sorella Marisa, quando, ad agosto dello scorso anno, era stato trovato in strada dalle forze dell’ordine mentre portava a passeggio il cane e per questo rinchiuso nel carcere romano.

Le autorità hanno immediatamente archiviato la morte di Dal Corso come “suicidio”, ma questa decisione non ha convinto la famiglia del detenuto, anche perché – inspiegabilmente – la Procura ha negato l’effettuazione dell’autopsia, richiesta dall’avvocata Armida Decina, che potrebbe chiarire i punti oscuri che nella vicenda non mancano.

In una conferenza stampa organizzata il 29 marzo dalla senatrice Ilaria Cucchi, cui ha preso parte anche Luca Blasi, in rappresentanza del Municipio III di Roma, quello dove si trova il quartiere di Dal Corso, l’avvocata Decina ha affermato di aver ricevuto dalle autorità, dopo il rifiuto dell’autopsia, una dozzina di fotografie del corpo, nessuna delle quali, però, riguarda il ritrovamento di Dal Corso e nemmeno qualcuna che mostri il corpo nudo. Inoltre, il letto della cella da cui sarebbe dovuto provenire il lenzuolo usato per il “suicidio” era perfettamente rifatto e, quindi, non si comprende dove il detenuto avrebbe preso il lenzuolo per impiccarsi.

La versione ufficiale sostiene che la morte del detenuto sia avvenuta a seguito della rottura dell’osso del collo, evento che è praticamente impossibile da certificare senza l’effettuazione di esami quali una TAC o un’autopsia. Infine, nei colloqui con i famigliari e nelle sue lettere, Dal Corso non solo non appare come una persona con intenti suicidi, al contrario si mostra deciso a cambiare vita e fiducioso nel proprio futuro.

Le stranezze non si fermano qui, perché dai verbali risultano molte contraddizioni nelle dichiarazioni del personale carcerario, sia rispetto agli orari che alla presenza di altri detenuti nelle celle vicine a quella di Dal Corso.

A sollevare altri dubbi contribuisce un episodio verificatosi lo scorso 8 marzo, quando due sedicenti corrieri di Amazon consegnano alla sorella di Dal Corso un pacco, indirizzato al fratello, contenente un libro. Si tratta di un testo di Maria Simma, mistica austriaca che sosteneva di parlare con le anime dei defunti in Purgatorio. L’elemento inquietante è che nel libro consegnato a Marisa Dal Corso sono sottolineate due parole: “confessione” e “morte”. Ad Amazon, la consegna non risulta ed è comunque singolare il fatto che sia stata effettuata da due corrieri, anziché, come di consueto, da uno solo.

Esiste un solo modo per avere qualche certezza su cosa sia avvenuto in quella cella del carcere di Oristano lo scorso 12 ottobre e si chiama autopsia. Questa è stata la richiesta avanzata nel pomeriggio del 12 aprile da centinaia di cittadine e cittadini del Tufello, accorsi nella piazza principale del quartiere per sostenere le richieste della famiglia di Stefano Dal Corso.

La manifestazione, poi trasformatasi in un corteo per le strade del quartiere, ha visto gli interventi della sorella di Stefano e dell’avvocata Decina, oltre a quello dell’assessore Luca Blasi, che continua a seguire la vicenda in prima persona. In piazza era presente anche il Presidente del III Municipio, Paolo Marchionne, insieme ad altri componenti della giunta municipale. Nonostante gli annunci, invece, non si è fatto vedere Giuliano Castellino, che da qualche tempo sta tentando di insinuarsi nelle situazioni di disagio sociale, particolarmente nel quartiere di San Basilio.

Fare chiarezza sulla morte di Stefano Dal Corso è necessario, come lo è per la vicenda di Hasib Omerovic, il rom disabile finito in coma lo scorso agosto dopo essere “caduto” da una finestra della sua stanza mentre nella sua abitazione di Primavalle era in corso un controllo di polizia non autorizzato dalla magistratura.

Anche in quel caso, le indagini hanno avuto un’accelerazione solo dopo che la vicenda era stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica dagli avvocati della famiglia e da un parlamentare, Riccardo Magi. Alcuni dirigenti del commissariato di Primavalle sono stati rimossi dall’incarico, un altro è agli arresti domiciliari e altri sono sospesi dal servizio: per loro, per adesso, l’accusa è quella di “tortura”, reato che l’attuale governo vorrebbe abolire.

*diogeneonline.info 

ciuoti

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