Il Pollino o gli uomini uccidono?

di Pierluigi Pedretti

Scrivo mentre sta tuonando, so che tra poco si scatenerà l’ennesimo temporale pomeridiano. È più di un mese che la Calabria vive come se fosse una regione tropicale. La mattina sereno, nel pomeriggio la tempesta d’acqua. I telegiornali hanno appena concluso il loro lavoro odierno sulla strage avvenuta sul Pollino. Gli addetti hanno parlato, i ministri hanno proclamato. 
Posso dire che la tragedia si poteva evitare? Era il 1989 quando scesi la prima volta nella gola del torrente Raganello. Nonostante vivessi a poche decine di chilometri non avevo mai visitato quell’area del Parco. Punto di partenza Civita, paesino degli albanesi di Calabria, straordinario esempio di come gli uomini sappiano costruire nei luoghi più impensabili: un nido d’aquila a picco su uno strapiombo impressionante. Punto di arrivo previsto San Lorenzo Bellizzi, poche anime sperdute lassù, a nord, nel versante orientale della catena montuosa che separa la Calabria dalla Lucania. Distanza da percorrere circa otto chilometri. Che viaggio, però. Lasciata l’auto nel bel paesino arbreshe, per avvicinarsi alla gola devi percorrere una stradina cementata ripidissima di poco più di un chilometro, che passa sopra lo straordinario Ponte del Diavolo. Crollato pochi anni fa venne ricostruito come era in origine e oggi permette di osservare il torrente decine di metri più in basso. Potrebbe bastare solo lo spettacolo visibile dal ponte per essere appagati. Il Raganello, detto così per le raganelle che lo popolano, si è scavato nei millenni un percorso sull’asse nord-sud fra pareti di roccia altissime, anche di cinquecento metri. Scendendo infine nel greto del torrente apparentemente innocuo ti rendi conto che le pareti vicinissime fra loro pochi metri sembrano stringerti in una morsa soffocante. La sensazione di inquietudine si accresce quando senti che l’acqua è freddissima. Ti consulti con gli amici: siamo sicuri di voler andare avanti? A ripensarci fummo degli incoscienti. La nostra inesperienza poteva essere fatale, ne sa qualcosa Gian Marco. Fu comunque la prima di innumerevoli altre escursioni nel Raganello, uno dei canyon più lunghi d’Europa. Per circa quindici anni ogni estate eravamo lì e se inizialmente c’erano poche persone a frequentarlo, per lo più esperti escursionisti, col tempo vedemmo crescere i turisti della domenica. Noi imparammo velocemente a rispettarlo: valutare con attenzione le condizioni meteorologiche, a valle e a monte, e se il temporale c’era già stato, mai entrare nella gola per il rischio di caduta di sassi, che sarebbero venuti giù dalle pareti rocciose come proiettili. Vero Pasquale? Infine, mai entrarvi in meno di tre, essere ben allenati e attrezzati, con scarpe chiuse, caschi e corde, e partire la mattina presto. Solo in questo modo si poteva essere abbastanza tranquilli di riemergere dopo circa sette ore al capo nord, nella conca sotto San Lorenzo. Non essendoci vie d’uscita
intermedie.

Non è vero poi – come scrivono diversi giornali – che l’unica via d’accesso sia quella di Civita, perché molti vanno fino a San Lorenzo per discendere il canyon. E non si dimentichi che di fronte a quest’ultimo paese di Calabria incombe l’omonima timpa (rupe), alta settecento metri, da cui si diparte verso nord-ovest l’altra gola, quella del Barile, più corta ma non meno impegnativa e orrida. La difficoltà di percorrere queste lunghe forre sta innanzitutto nel trovarsi di fronte a salti e cascate d’acqua, che costringono a immergersi o nuotare a volte per superare i punti più profondi. Non ci
può essere distrazione perché per procedere devi saltare di masso in masso, attento a non scivolare su quelli più viscidi. In alcuni tratti ti devi arrampicare su pareti così lisce da rischiare di cadere continuamente poiché non sempre si trovano punti attrezzati. Negli anni ho fatto impropriamente da guida a decine di amici e conoscenti
arrivando alla conclusione che l’accesso deve essere regolamentato e controllato dalle autorità del Parco. Non è possibile vedere, come mi è capitato, gruppi familiari scendere nella gola come se andassero a una gita con ciabatte e costumini, per di più partendo anche nel pomeriggio e non poterne uscire perché sorpresi dalle tenebre. Negli ultimi dieci anni la fama del Raganello è cresciuta, tanto da attrarre le folle dei vacanzieri delle vicine spiagge calabre, ma allo stesso modo non è aumentata l’attenzione degli enti preposti alla sicurezza degli sprovveduti e degli ingenui. Ci voleva un genio a capire che un mese continuo di piogge avrebbe prima o poi provocato un disastro?

Redazione
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2 commenti

  • Gian Marco Martignoni

    La risalita della gola del Raganello è una impresa impegnativa per chi è abituato ad andare in montagna, tanto che se non sei capace di nuotare – come nel mio caso – qualche brutta sorpresa le rocce te la riservano. Parlo per esperienza personale…. una cosa da far tremare le gambe. I francesi, notoriamente tra i più spericolati ed incoscienti al mondo, nell’ 89 scendevano lanciati a rotta di collo, nel senso opposto al nostro, da San Lorenzo Bellizzi a Civita,mentre noi abbiamo impiegato quasi sette ore per compiere la nosta impresa .Per queste ragioni il Raganello non è una cosa per tutti già con l’acqua bassa, figuriamoci con il quadro metereologico dipinto da Pierluigi. E’ come se tutti volessero salire su un 4000, legati con le corde, senza alcuna esperienza in materia.

  • Sono appassionata di montagna e vivo nel nord Italia, le nostre autorità sono sicuramente attente a salvaguardare i percorsi pericolosi da crolli causati dall’acqua. In montagna però come su percorsi pericolosi conta molto la fortuna e soprattutto il buon senso delle persone che non devono mai sopravalutarsi e contare su una certa preparazione fisica. In questo senso bisogna lavorare;: diffondere la pratica sportiva e il rispetto per la natura. In questo modo io amo la montagna:facendo fatica e ammirando le sue bellezze e questa è cultura, paola

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