Il potere reale delle multinazionali

Rocco Artifoni (*) sull’ultimo dossier del Centro Nuovo Modello di Sviluppo

Uno dei cartelloni del dossier (Foto di CNMS)

L’informazione è un bene comune, soprattutto quando è precisa, documentata e comprensibile a tutti. Sono queste le caratteristiche fondamentali dei lavori editoriali del Centro Nuovo Modello di Sviluppo (CNMS). L’ultimo dossier – relativo ai dati del 2017 – riguarda “la crescita del potere delle multinazionali”. Non è una novità assoluta, poiché si tratta dell’ottava edizione. Ma è proprio la costanza del periodico aggiornamento dei dati, che consente un confronto con la situazione di 10 e di 20 anni fa. In questo modo è possibile cogliere i cambiamenti in atto a livello globale e l’evoluzione delle multinazionali nei diversi settori.

Gli autori del dossier (scaricabile con tutti i materiali allegati qui), coordinati da Francesco Gesualdi, utilizzano molti numeri e poche parole: ogni analisi o commento fa sempre riferimento a dati e a percentuali. Le cifre messe in fila e in risalto sono la vera traccia da seguire per il lettore attento, che vuole capire come funziona l’economia mondiale globalizzata.

Il primo elemento che colpisce è l’evoluzione dal 1996 al 2017 del numero di dipendenti, del fatturato e dell’utile delle 200 più rilevanti multinazionali. Gli addetti sono raddoppiati: da 18 milioni nel 1996 sono diventati 41 milioni nel 2017. I ricavi annui sono triplicati: da 6.900 a 19.600 miliardi di dollari. I profitti annui sono quadruplicati: da 254 a 1.189 miliardi di dollari. Prima il guadagno, poi la produzione e infine il lavoro: questo è il risultato effettivo del sistema capitalistico che le multinazionali rappresentano più di ogni altro soggetto economico.

La società con il profitto più consistente è Apple (11° posto in classifica assoluta), che ha prodotto un utile di oltre 48 miliardi di dollari con un fatturato di 229 miliardi. Ma tra le prime 50 multinazionali è Industrial & Commercial Bank of China ad ottenere la miglior percentuale (28%) nel rapporto tra profitti (42 miliardi) e ricavi (153 miliardi).
Ogni multinazionale ha una sede capofila, un perno centrale da cui dipendono le filiali sparse per il mondo. Tra le prime 200 ne possiamo trovare 60 negli USA, 42 in Cina e 21 in Giappone. In Europa: 13 in Francia, 12 in Germania e 8 nel Regno Unito. L’Italia è al 12 posto della classifica con 3 multinazionali: Assicurazioni Generali, Enel e Eni (rispettivamente al 59°, 83° e 89° posto). Questi tre colossi italiani dell’economia complessivamente danno occupazione a 167mila persone, fatturano 265 miliardi all’anno con un utile di oltre 10 miliardi di dollari.

Suddividendo le multinazionali per categorie di attività, si scopre che nel settore delle costruzioni ci sono 6 società nelle prime 200: tutte con sede in Cina. Nel commercio e nei trasporti 11 tra le prime 12 sono negli USA. Il settore in cui le multinazionali producono maggiori ricavi è quello finanziario: 4.129 miliardi, circa un quarto del totale. A seguire il commercio e trasporti (3.648 miliardi) e al terzo posto le società del petrolio e gas (3.036 miliardi). Pertanto oltre la metà del fatturato delle multinazionali è in questi tre ambiti.

Al primo posto assoluto troviamo la Wal-Mart Stores, che da sola incassa oltre 500 miliardi di dollari, che corrispondono agli introiti pubblici dell’intera Spagna. È impressionante constatare che la Toyota Motor incassa di più dello stato della Turchia e la Volkswagen più del Belgio. La tabella che mette a confronto le entrate pubbliche degli stati con i ricavi privati delle multinazionali mostra con evidenza di quanto potere dispongano oggi queste ultime.

Il dossier presenta anche due importanti approfondimenti: sulla Cina e sulle multinazionali che vendono armamenti. Se prendiamo le prime 10 imprese coinvolte nell’industria bellica, possiamo rilevare che 6 sono cinesi e 3 americane. E per concludere c’è un focus sulle multinazionali dell’economia digitale. Tra le prime 20, ben 17 hanno la sede legale in un paradiso fiscale (Delaware o Isole Cayman). La globalizzazione va bene per le vendite, mentre per i pagamenti è utile rifugiarsi in qualche angolo del mondo: contraddizioni di un capitalismo ipocrita, che i dossier del Centro Nuovo Modello di Sviluppo mettono a nudo.

(*) ripreso da PRESSENZA

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