Il premio Pulitzer vada a Julian Assange

Joseph Pulitzer, se fosse vivo, andrebbe alla prigione di Belmarsh, per consegnare il suo premio a Julian Assange – intanto è online https://www.24hassange.org

A seguire un video con Stefania Maurizi e Alessandro Marongiu

Joseph Pulitzer scrisse:

«Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non viva della sua segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l’unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri». (da qui)

 

è online il sito per sostenere la lotta di Julian Assange

https://www.24hassange.org/

 

Gli USA e l’UK regimi autoritari? Per i sostenitori di Julian Assange, sì – Patrick Boylan

Una ragazza di Como rifiuta di essere complice del silenzio dei media sul trattamento disumano inflitto a Julian Assange da parte dell’UK e degli USA; mette in scena, in una piazza centrale della città, la sua protesta contro l’autoritarismo delle due se dicenti democrazie.

Lorena Corrias, a Como

Cosa si prova a cercare di vivere – seppure all’aria aperta e solo per un tempo limitato – quello che sta subendo Julian Assange, incarcerato nella prigione londinese di Belmarsh dall’11 aprile del 2019 per aver rivelato, da buon giornalista investigativo, i crimini di guerra, i crimini ambientali e i crimini contro i diritti umani commessi dagli Stati Uniti e dal Regno Unito? Una ragazza di Como ha deciso di provarlo sulla propria pelle, sperando che i passanti si mettano anche loro nei panni di Julian e capiscano in quali condizioni egli è costretto a sopravvivere.

Sono oramai ben 1.220 giorni, infatti, che Assange è stato imprigionato in una cella di isolamento che misura tre metri per due:

  • con una sola ora di aria
  • con sole due visite parentali al mese, di 15 minuti ciascuna,
  • con a disposizione una sola telefonata di pochi minuti al mese e
  • con, in prospettiva, altri 175 anni di carcere duro negli Stati Uniti!

Tutto questo senza che ci sia mai stato un verdetto di condanna nei suoi confronti (se non per una mera infrazione, poi estinta). Un’incarcerazione, pertanto, del tutto arbitraria – come nei peggiori regimi autoritari da cui proprio l’UK e gli USA pretendono distanziarsi.

Si tratta di una mostruosità giuridica che grida vendetta. E per gridarla, la ragazza comasca ha deciso di far vedere pubblicamente ciò che significa stare in una cella come quella di Julian.

Ogni sabato pomeriggio per ben otto mesi, Lorena Corrias disegnerà sul pavimento di Piazza Verdi, di fronte al Teatro Sociale di Como, una cella di 3m x 2m – con un manifesto di Assange che ricopre uno spazio grande come il lettino di Belmarsh – e si siederà lì dalle ore 16 alle ore 18 (in estate), alzandosi solo per distribuire volantini ai passanti. Il Comune le ha concesso di occupare quei  6 metri quadrati di suolo pubblico fino al 25 marzo 2023 e lei ha già iniziato a fare questa sua protesta il 6 agosto scorso.  Ha indossato per l’occasione una tuta arancione che ricorda quella dei prigionieri di Guantanamo (la prigione di Belmarsh, infatti, viene anche designata come “la Guantanamo britannica”)…

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Parlano i familiari di Julian Assange: “È un omicidio a rallentatore”Iris Paganessi

«Porre fine allo slow-motion murder», ovvero all’omicidio al rallentatore. È con queste parole che la famiglia di Julian Assange ha espresso preoccupazione al governo australiano, dove più di due dozzine di parlamentari, senatori e rappresentanti sono stati informati della situazione legale in corso del fondatore di WikiLeaks.

Il fratello, Gabriel Shipton, e il padre, John Shipton, hanno esortato il parlamento ad intervenire, rendendo la questione «non negoziabile con gli Stati Uniti» e ricordando loro che un mancato intervento segnerebbe la condanna a morte di Assange. Tuttavia, i famigliari non sono riusciti ad ottenere un incontro né con Albanese, Primo ministro australiano, né con il ministro degli Affari esteri, Penny Wong, e nemmeno con il procuratore generale, Mark Dreyfus, nonostante le richieste. Segno di come il governo australiano non abbia intenzione di fare nulla per la libertà del proprio citta

Era maggio quando, in seguito alle elezioni, Albanese aveva affermato che il governo australiano aveva intenzione di portare avanti la “questione Assange” diplomaticamente, ma da allora il caso non ha registrato progressi e Gabriel Shipton si è mostrato molto preoccupato a riguardo: «Sono passati mesi da quando ha detto queste cose e ha affermato che abbastanza è abbastanza, ma quando è abbastanza? Julian è ancora in prigione. È lì da tre anni e non è un criminale condannato.» Il fratello del fondatore di WikiLeaks ha poi continuato: «Gli Stati Uniti, al momento, hanno bisogno delle risorse australiane, se il caso fosse reso non negoziabile, Julian sarebbe qui domani».

Julian Assange, che al momento è detenuto nel Regno Unito, rischia l’estradizione negli Stati Uniti a seguito dell’autorizzazione in tal senso da parte del governo britannico. Se venisse estradato, si troverebbe a dover rispondere di pesanti accuse da parte del governo americano, tra cui quella di spionaggio per aver diffuso documenti militari riservati, e la pena che rischia è addirittura pari a 175 anni di carcere in una prigione di massima sicurezza. L’estradizione però non può ancora essere data per scontata, visto che il mese scorso l’istanza di ultimo appello contro la stessa è stata depositata presso l’Alta Corte di Londra dagli avvocati di Assange. Nel caso in cui la richiesta, che riguarda questioni procedurali, fosse accettata, Assange potrebbe sfruttarla in vari gradi di giudizio britannico, fino a giungere alla Corte Suprema. Potrebbe anche decidere di rivolgersi direttamente alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, ma in quel caso l’ordine di estradizione diverrebbe esecutivo.

da L’Indipendente

da qui

 

 

Gli avvocati di Assange denunciano la Cia e Mike Pompeo

Giornalisti e avvocati di cittadinanza statunitense hanno citato in giudizio la Central Intelligence Agency e il suo ex direttore, Mike Pompeo, con l’accusa di essere stati posti sotto sorveglianza quando si sono incontrati con il fondatore di WikiLeaks Julian Assange presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra.

La causa, depositata lunedì presso un tribunale distrettuale di New York, sostiene che la Cia ha violato il loro diritti alla privacy, registrando le loro conversazioni e copiando i dati dai loro telefoni e computer. I querelanti sono i giornalisti Charles Glass e John Goetz, nonché gli avvocati di Assange Margaret Kunstler e Deborah Hrbek.

“La Costituzione degli Stati Uniti protegge i cittadini americani anche quando le attività si svolgono in un’ambasciata straniera in un paese straniero”, ha dichiarato Richard Roth, il legale che insieme ad altri difende i denuncianti.

La legge vieta alla Cia, il servizio di intelligence estero statunitense, di raccogliere informazioni sui cittadini statunitensi. Roth ha affermato che il presunto spionaggio significherebbe che il diritto di Assange a un processo equo era stato “contaminato, se non distrutto”.

Per Roth questo comportamento deve essere sanzionato oppure portare al ritiro della richiesta di estradizione per Assange in risposta a queste attività palesemente incostituzionali…

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QUI un podcast di Stefania Maurizi racconta la storia di Julian Assange, su ilfattoquotidiano.it

Redazione
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