Il pugno della stella del nord

Apocalisse e tensioni mistiche della sacra scuola di Hokuto al tempo di Kenshiro
di Fabrizio Melodia, l’astrofilosofo

“Siamo alla fine del XX secolo. Il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche. Sulla faccia della terra, gli oceani erano scomparsi, e le pianure avevano l’aspetto di desolati deserti. Tuttavia, la razza umana era sopravvissuta” (introduzione alla sigla iniziale).
Il vissuto di fine del mondo permea in modo potente tutte le culture, indice della crescente schizofrenia che domina la nostra società, ormai sempre più diretta verso un collasso inevitabile, di natura politica, economica, sociale e spirituale.
Ognuno di noi respira l’aria che permea il manga scritto da Buronson e disegnato magistralmente da Tetsuo Hara, dal titolo emblematico “Ken il guerriero” (1983, in originale 北斗の拳, Hokuto no Ken ), un’opera cupa e violenta come il mondo e i personaggi descritti, le lotte costellate di arti marziali e colpi incredibili, al limite del magico.
Forse più che fantascientifico, potrebbe definirsi un fantasy post atomico, data la presenza della magia connessa alle arti marziali.
In un futuro dopo-bomba, dove la follia umana ancora una volta non ha trovato altra soluzione se non l’autodistruzione, i mari sono diventati appunto immensi deserti, tutto è stato cancellato, i pochi superstiti devono combattere ogni giorno per il cibo e l’acqua, vessati da bande locali organizzate in branchi, violenti e predatori.
No, non è la saga post atomica di “Mad Max”, di cui Buronson era un fiero culture, ma il temibile mondo in cui si muove il protagonista Kenshiro, un uomo all’apparenza schivo, taciturno, dal muso duro e a tratti contrito, gli occhi fissi e in ombra, che scrutano un punto all’infinito, muscoli d’acciaio sotto una giacca semi aperta, che mostra il torace possente.
La sua prima apparizione è a dir poco devastante. Nel tentativo di conservare le proprie razioni di cibo, faticosamente trovate, un gruppo di superstiti si vede depredato da una banda, il cui capo è un uomo gigantesco, crudele e violento, che non si lascia sfuggire l’occasione di torturare una dolce e indifesa bambina, scena che fa scattare in Kenshiro l’ira funesta di un eroe omerico.
I suoi vestiti si strappano mentre i muscoli aumentano di volume, un’aura elettrica bluastra permea il suo corpo: si avventa verso l’uomo menando precisi colpi di un’antica lotta che ricorda le più tremende mosse dell’arte del dragone, resa immortale nei “Gong Fu Pian” (film di arti marziali) da Bruce Lee.
Gli strappa le braccia con un colpo secco e gli preme alcuni punti del corpo con una serie devastante di pugni, che egli denomina la “tecnica dei cento pugni devastanti di Hokuto”.
Dopo pochi secondi, la bestia umana esplode in una miriade di frammenti di ossa, sangue e liquidi, come se al suo interno si fosse generata una pressione d’immane potenza.
Kenshiro sorge dall’orrore, portando in braccio la bambina, piangente, lacera ma salva.
Inizia così il cammino del Guerriero dalle Sette Stelle, in perenne lotta per la sopravvivenza dei deboli e degli oppressi, nuovo cavaliere con molte macchie e tanto dolore inespresso, nuovo Dioniso di una realtà che non conosce regole o benevolenza.
Uomo dall’anima sofferente, gentile con i deboli, la cui colpa è non aver acquisito la forza per combattere coloro che di essa hanno fatto vanto e sopraffazione, come suo fratello adottivo Raoul, personificazione estrema di quella volontà di potenza che vede solo nella propria affermazione e nel dominio coatto la sua realizzazione, non senza comunque un briciolo di nobiltà, quanto può averlo una forza della natura.
Tralasciando la narrazione delle sue gesta (è più volte colpito dalla perdita dei suoi cari, fra cui l’amata Julia) Kenshiro arriverà allo scontro finale con il fratello, padroneggiando ormai alla perfezione tutte le tecniche più estreme della Sacra scuola di Hokuto, di cui rimane l’ultimo discepolo a tramandarne anche la profonda filosofia di vita, “trasformare le lacrime in sorrisi”.
Un vero Dioniso dolente, lacerato nel corpo, come quando sotto tortura gli furono impressi i segni delle sette stelle dell’Orsa Maggiore, distrutto negli affetti, egli perseguirà la propria crescita esistenziale e il cammino verso la libertà, fino allo scontro finale con il fratello.
Lungi dall’essere un nuovo messia, in quanto non insegna una dottrina d’amore per il prossimo e una salvezza in un altro mondo oltre quello sensibile, Kenshiro porta su di sè il marchio dell’infamia e della sconfitta, reietto e disprezzato.
Mentre rimira la notte in compagnia di Toki, le parole di quest’ultimo sottolineano il tremendo fardello che pesa su di lui, unico angelo della morte, potente e indomito portatore del fuoco della vendetta. “È il destino dell’uomo che guida la Divina Scuola di Hokuto… Se la Scuola di Nanto cade appare la Scuola di Hokuto… Guarda il destino di Shin, quello di Rei che ha dedicato la vita a Mamia e quello di Yuda. Ma esiste anche quello di altri tre allievi. Devi sapere che tanto tempo fa questi sei allievi erano chiamati «I comandanti dei sei cancelli che proteggevano il castello imperiale» ed erano a capo di un gruppo di 108 persone sacre a Nanto, ma la Divina Scuola di Hokuto era la più forte ed era quest’ultima che decideva le sorti dei sei comandanti dei cancelli. Successe poi, che dopo la terribile catastrofe, dopo la guerra nucleare, la Sacra Scuola di Nanto si divise e Yuda non perse l’occasione per tradirli, prese con sé 23 persone del Sacro Gruppo e li costrinse a seguirli… E raggiunse il terribile Raoul. Così cadde la prima delle sei stelle di Nanto, ma anche le altre 5 caddero nella più completa confusione ed è questa la causa della tragedia odierna. La morte di Shin e il crudele destino di Rei sono solo l’inizio di un dramma universale. Ma Shin, Rei e Yuda sono già morti e rimangono gli altri tre allievi. È giunto il momento che tu li combatta. Coraggio Kenshiro, va’ e lotta per la giustizia, sei predestinato a salvare l’umanità”.
Una strada costellata di morte, dolore e sangue, che Kenshiro dispensa senza compiacimento ma non senza una certa dose di sadismo, quando nemici assai crudeli e spietati sfogano la propria iniquità su persone deboli e indifese.
I colpi dell’Hokuto, che basano la loro potenza sulla pressione dei punti vitali del corpo umano, conosciuti come tsubo, agiscono nei modi più svariati, costringendo spesso gli autori a studiare personalmente manuali di dissezione anatomica.
Cruda e vituperata realtà per descrivere minuziosamente, con puntiglio verista, la tremenda tragedia del crollo delle antiche regole, di cui Kenshiro, ultimo discendente della Sacra Scuola, sembra essere davvero il portatore ombroso e silenzioso.
“I Greci, che esprimono e al tempo stesso nascondono la dottrina segreta della loro visione del mondo nei loro dèi, hanno stabilito come duplice fonte della loro arte due divinità, Apollo e Dioniso. Questi nomi rappresentano nel dominio dell’arte dei contrari stilistici, che incedono l’uno accanto all’altro quasi sempre in lotta tra loro, e appaiono fusi una volta soltanto, quando culmina la «volontà» ellenica, nell’opera d’arte della tragedia attica. In due stati, difatti, l’uomo raggiunge il sentimento estatico dell’esistenza, nel sogno e nell’ebbrezza. La bella illusione del mondo del sogno, dove ogni uomo è artista pieno, è madre di ogni arte figurativa e altresì, come vedremo, di una metà importante della poesia. Noi godiamo in una comprensione immediata della figura, tutte le forme che ci parlano; non vi è nulla di indifferente e di non necessario. nella vita suprema di questa realtà di sogno traluce ancora tuttavia il nostro sentimento della sua illusorietà; solo quando cessa questo sentimento, si presentano gli effetti patologici, in cui il sogno non ristora più, e cessa la forza naturale risanatrice di quello stato” (Friedrich Nietzsche, “La visione dionisiaca del mondo” in “La filosofia nell’epoca tragica dei greci”, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano, 2006).
Kenshiro rappresenta quell’ebrezza dionisiaca che sfocia in certi tratti nel demoniaco, quando la sua energia trasuda il modo potente dalla sua ira verso la sofferenza del debole, schiacciato dalla Volontà di Potenza che domina il mondo devastato nel quale si ritrova:”Chi ha il potere decide le leggi da solo, è un’epoca in cui i potenti possono fare quello che vogliono e io sono fra questi, mi dispiace per voi! Shin rappresenta il potere e impersona la legge” recita come un nuovo profeta il temibile Shin, reo di aver sconfitto e torturato Kenshiro, per ottenere l’amore della bella Julia.
Tutto si esplica in condizione di contrapposizioni di forza, il forte soggioga e uccide il debole per soddisfare i propri desideri e i propri impulsi, più raramente per soddisfare il proprio destino di portatore di valori messianici.
“Il destino è nelle stelle, loro mi guideranno, da loro avrò il fatale messaggio. Scruterò il cielo alla ricerca delle due stelle [quelle di Kenshiro e Toki], quando mi appariranno saprò che ricomincerà la battaglia” declama Raoul guardando il cielo notturno, prefigurandosi la battaglia finale in cui verrà il suo nuovo regno, dove egli riporterà l’antica scuola di Hokuto agli antichi fasti, che la catastrofe nucleare e la conseguente follia umana hanno completamente cancellato, lasciandosi dietro solo mostri mutanti e gente affamata e sofferente.
“In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari, c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia del mondo»: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo genere, ma non riuscirebbe tuttavia a illustrare sufficientemente quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell’intelletto umano entro la natura. Vi furono eternità in cui esso esisteva; quando per lui tutto sarà nuovamente finito, non sarà avvenuto nulla di notevole. Per quell’intelletto, difatti, non esiste una missione ulteriore che conduca al di là della vita umana. Esso piuttosto è umano, e soltanto chi lo possiede e lo produce può considerarlo tanto praticamente, come se i cardini del mondo ruotassero su di lui. Se noi riuscissimo a intenderci con la zanzara, apprenderemmo che sente il centro — che vola — di questo mondo. Non vi è nulla di abbastanza spregevole e scadente nella natura, che con un piccolo e leggero alito di quella forza del conoscere non si gonfi senz’altro come un otre. E come ogni facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più orgoglioso fra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell’universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare” (Frierdrich Nietzsche, “Su verità e menzogna in senso extramorale” in “La filosofia nell’epoca tragica dei greci”, traduzione di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 2006).
Raoul confonde il proprio intelletto con il destino mentre Kenshiro, fedele alla terra e alle persone, intraprende la nuova via di Hokuto dove suo fratello adottivo non può nemmeno lontanamente arrivare. Egli infatti ritiene se stesso portatore di una nuova verità, forte di un arte che gli permette di avere ragione dell’avversario più forte e dunque egli stesso è uno di quei mutanti di cui la tragedia nucleare, nel più puro spirito greco apollineo, sembra condannare.
Ella nell’attività del sogno, fa vedere in modo chiaro e diretto le forme e le immagini, tipiche della più elevata forma d’arte figurativa e poetica, ma non sono altro che finzioni del mondo, l’ennesima menzogna nata dal bisogno e dalla paura.
“Non si può essere felici finché intorno a noi tutti soffrono e si infliggono sofferenze; non si può essere morali fintantoché il procedere delle cose umane viene deciso da violenza, inganno e ingiustizia; non si può neppure essere saggi fintantoché l’umanità non si sia impegnata nella gara della saggezza e non introduca l’uomo alla vita e al sapere del più saggio dei modi” (Friedrich Wilhelm Nietzsche, “Richard Wagner a Bayreuth”, traduzione di Giovanna Vignato, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992, p. 34, 1992).
Ecco dunque la forza di Kenshiro, anche quando opera nell’ira e nella vendetta, egli non agisce in nome di un ideale o di un fantomatico progetto superiore per il Bene Comune, ma più semplicemente per amore sincero verso l’altro, un affetto concreto, tangibile, fatto di amicizia, amore, compagnia, lotta comune per avere una vita migliore.
Il motivo dunque per cui alle nostre orecchie di fiorenti peccatori, le sue parole risuonano in modo terribile e profetico, per la nostra Società, perbenista e moralista, devota al Dio Denaro e al progetto per Opere Grandiose che vanno a far bene solo alle tasche di pochi squali furbi e fraudolenti.
“Tu sei già morto” afferma il figlio dell’ Orsa Maggiore.
E noi con lui.
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