Il puzzle giuridico che cambia la faccia del Nicaragua

di Bái Qiú’ēn

Vidi una donna bellissima con gli occhi bendati eretta sui gradini di un tempio di marmo. […] Poi un giovanotto col berretto rosso balzò al suo fianco e le strappò la benda. Ed ecco, le ciglia erano corrose dalle palpebre imputridite; le pupille bruciate da un muco latteo; la follia di un’anima morente le era scritta sul volto – ma la moltitudine vide perché portava la benda. (Antologia di Spoon River)

Per avere una pallida idea della realtà attuale del Nicaragua e dell’aria che vi si respira, che la Mafalda di Quino definirebbe claustrofobica, riteniamo che sia utile una breve analisi giuridico-politica della legislazione di emergenza approvata negli ultimi mesi. Abbiamo già affrontato parzialmente il tema, ma vale la pena ricordare che tutte le norme sono fra loro strettamente connesse, con quel meccanismo che siamo ormai soliti definire «combinato disposto» e che in Nicaragua dicono «combo». In parole comprensibili e traducibili in qualsiasi lingua, per parlare come mangiamo, questo rompecabezas è un «cocktail micidiale» fra più norme che si integrano le une con le altre.

Duecento anni di lotte e di guerre fratricide, con pochi intervalli di tregua armata, non hanno avuto come risultato la costruzione di uno Stato di diritto né di un Paese nel quale esista il rispetto politico per l’avversario (da entrambe le parti), tanto meno nell’ultimo quindicennio di “socialismo” si è giunti all’idea basilare che «noi socialisti […] domanderemo solidarietà ed ossequio alle leggi per intimo convincimento, per costume, e non per paura delle manette» (Antonio Gramsci, «I contadini e lo Stato», Il Grido del Popolo, 1° giugno 1918 <interamente censurato>; Avanti! «Cronache torinesi», 6 giugno 1918; ed. romana, 9 giugno 1918).

Chi conosce anche solo in modo superficiale il funzionamento di una norma legislativa, sa che deve essere determinata e determinante. Ossia, deve indicare quale specifico reato punisce e quali aggravanti o attenuanti possono essere eventualmente applicate. Tutte e leggi approvate a cavallo fra il 2020 e il 2021 dalla Asamblea Nacional, il più delle volte su imput diretto della Presidenza della Repubblica, sono talmente generiche e superficiali (a livello di solidità giuridica) che neppure un bambino di tre anni le avrebbe potute pensare. In termini “tecnici”, si basano sulla classica distinzione fra il «diritto astratto» (o formale) e il «diritto concreto», lasciando un margine enorme alla interpretatio rispetto alla lex. Roba da Medioevo, dopo un biennio nel quale l’ordine e la tranquillità «hanno regnato a Varsavia». Poiché sappiamo che i legislatori nicaraguensi sanno scrivere le leggi, se e quando vogliono, viene il sospetto che la genericità non sia casuale, bensì una scelta voluta: nelle loro mani, il Diritto pare essersi trasformato in una disciplina esoterica per sciamani e stregoni. O in una paranoia contagiosa del «Poder o muerte», che ha sostituito l’obsoleto «Patria o muerte».

Vediamo pertanto il panorama che si presenta ai nostri occhi non bendati come quelli della giustizia nicaraguense, per nulla indipendente e del tutto ossequiente al potere politico. Ben più evidente rispetto a ciò che qualcuno ipotizzava sulle nostre toghe rosse e sulla nostra giustizia a orologeria.

Nell’ottobre del 2020 l’Asamblea Nacional approva una legge che definisce «agente straniero» chiunque riceva denaro dall’estero per il finanziamento di una Organizzazione non governativa (ONG). L’obiettivo politico ufficiale è quello di impedire ingerenze esterne che possano minare l’indipendenza e la sovranità del Paese. Reati già abbondantemente sanzionati dalle norme precedenti. È persino previsto una specie di “albo” al quale iscriversi come «agenti stranieri» presso il Ministerio de Gobernación (Interno). Bontà del legislatore, non lo devono fare i pensionati stranieri residenti e altre categorie particolari di non nazionali.

A parte il fatto che, per destabilizzare il Paese, da sempre la destra nicaraguense riceve lauti fondi da organismi statunitensi e non solo, e gli organi istituzionali non hanno mai detto una parola fino al 2018, come si possa considerare «straniero» chi ha la nazionalità per nascita, è a tutti gli effetti una aberrazione non solamente logico-linguistica, ma giuridica. In base all’art. 16 della Costituzione «Sono nazionali i nati nel territorio nazionale» e altre tipologie specifiche. Inoltre, lo stesso articolo prevede che «Nessun nazionale può essere privato della propria nazionalità».

Stando alla nuova norma, invece, si può essere automaticamente e illogicamente nicaraguensi e stranieri. O, per meglio dire, nicaraguensi e «agenti stranieri», ossia al soldo di un Paese terzo (come il nostro elefantino Giuliano Ferrara alcuni decenni fa?). Nazionali quando si pagano le tasse, stranieri quando si ricevono finanziamenti dall’estero. Non è dato sapere quale veste si debba assumere quando si pagano le imposte previste sui finanziamenti ricevuti. Ci informeremo presso la DGI (Dirección general de impuestos), ma dubitiamo che sappiano dare una risposta. Neppure sappiamo, poiché la legge non lo specifica, cosa accade se si ricevono finanziamenti da vari Paesi: contemporaneamente dagli Stati Uniti, dalla Spagna e dall’India, per esempio. Si diventa «agenti» di tutti o la definizione è globale e onnicomprensiva? Ossia, generica e vaga, come dire che c’è la nebbia in Val Padana, ma non esattamente in quali località.

Poiché il termine «straniero» indica il cittadino di un altro Stato, non occorre essere membri togati della nostra Consulta per comprendere che questa legge è, oltre che assurda per come è concepita, palesemente anticostituzionale. Rispetto alla stessa Costituzione del Nicaragua, ovviamente. Oltre che al buonsenso. Del resto, ci risulta che in nessun Paese esista una simile aberrazione giuridica, frutto evidente di una forma acuta di guerrafreddite e di una tipica sindrome da accerchiamento. In ogni caso, in base alle norme internazionali, nessun Paese può stabilire l’esistenza di un qualsiasi legame o rapporto giuridico-politico fra un proprio cittadino e un altro Stato. E in tutti i Paesi, Nicaragua compreso, esistono norme relative allo spionaggio, al tradimento et similia. Verrebbe da chiedersi: gli ambasciatori di questi Paesi terzi, possono avere voce in capitolo nel caso di un loro «agente» sottoposto a procedimento penale?

Con una mini-riforma costituzionale, con una doppia approvazione nel novembre del 2020 e nel gennaio del 2021, si istituisce l’ergastolo per coloro che commettono quelli che sono genericamente definiti «crimini di odio», senza alcuna tipificazione. Divenendo in tal modo l’ottavo Paese del subcontinente a instaurare questa pena, in casi gravi ed eccezionali. L’abbrivio per inserire la cadena perpetua nella Costituzione e nell’ordinamento giuridico sono stati alcuni orribili delitti nei confronti di minori. Come si possa catalogarli «di odio», mentre l’omicidio di un adulto è un crimine puro e semplice (da dieci a quindici anni di carcere, secondo l’art. 138 del Codice Penale), lo sa solo il legislatore nicaraguense. Affetto negli ultimi mesi, a quanto pare, da una notevole faciloneria, oltre che da una incredibile forma di strabismo. Spesso e volentieri, chi uccide lo fa per vendetta, per gelosia, per invidia. Ma quale confine esiste fra la vendetta e l’odio? Ammesso che esista.

L’art. 37 della Costituzione prevede che «Non possono essere comminate sanzioni o pene che, singolarmente o insieme, durino più di trent’anni». Almeno in questo caso si sono resi conto che non potevano varare una legge ordinaria. Per quanto concerne la definizione «crimini di odio», questa integrazione costituzionale non indica quali siano, sebbene vari personaggi legati all’establishment abbiano tentato di fare una lista più o meno variegata. Elenco che non ha alcun valore legale né giuridico, non essendo specificato nel testo. In tutto il mondo, si intendono in senso lato quelli relativi alla xenofobia, al razzismo, alla credenza religiosa, alla identità di genere, all’orientamento sessuale e così via. Ma la genericità della definizione consente qualsiasi possibilità interpretativa.

Sappiamo perfettamente che né l’ergastolo né la pena di morte sono deterrenti, per cui ci domandiamo: chi dovrà valutare se un determinato crimine «con il suo impatto provoca shock, rifiuto, indignazione o disgusto nella comunità nazionale»? Meritando, pertanto, l’ergastolo? Per il momento, comunque, nessun processo si è ancora svolto e nessuna condanna a vita è stata comminata in base a questa modifica.

In questo ultimo biennio, in svariate occasioni sia Daniel sia Rosario hanno definito le proteste del 2018 non solo come golpe blando, ma come «crimine di odio». Che in quei mesi di due anni fa si siano verificati atti di violenza inaudita e inumana è documentato e innegabile. Ciò è avvenuto da entrambe le parti, ma come sempre la storia la scrivono i vincitori. Per cui, tutti coloro che hanno protestato possono essere condannati alla cadena perpetua.

Ovviamente, oltre al testo costituzionale, sono stati modificati pure i codici. Resta però da appurare come l’ergastolo possa non entrare in contraddizione con l’art. 46 del Codice Penale, il quale stabilisce che «Le pene hanno un carattere rieducativo». Pure questo lo sa solo il legislatore-sciamano.

È assai semplice ipotizzare che un «traditore della Patria» stia commettendo un crimine di odio, il peggiore in assoluto, quello contro la propria Patria. Per cui rischia l’ergastolo, sebbene la legge n. 1055 non preveda alcuna pena detentiva (come si vedrà fra breve). È però sufficiente il Codice Penale e grazie al combinato disposto… Il prossimo futuro ci dirà in quali occasioni sarà materialmente applicata.

Il 20 dicembre 2020 è approvata la legge n. 1055, palesemente anticostituzionale, che inibisce la possibilità di candidarsi alle elezioni per chiunque sia considerato un «traditore della Patria»: «no podrán optar a cargos de elección popular». Non solo è in netto contrasto con l’art. 51 della Costituzione («I cittadini hanno il diritto di eleggere ed essere eletti alle elezioni periodicamente e corrono per pubblici uffici, salvo le limitazioni contemplate in questa Costituzione politica»), ma l’unico articolo non prevede alcuna forma di coercizione, né il fermo di polizia né l’arresto, neppure i domiciliari (casa por cárcel). Si tratta di una “pena” aggiuntiva a quelle già previste dal vigente Codice Penale e, per correttezza giuridica, avrebbe dovuto essere inserita nella Costituzione. Più correttamente, non si tratta di una sanzione, bensì di una proibizione, di un divieto, di un impedimento in funzione di eliminare possibili concorrenti “pericolosi”. A tutti gli effetti, però, questa norma è stata finora utilizzata per mettere in carcere per novanta giorni tutti gli oppositori finora inquisiti (sempre in base al combinato disposto). Con un evidente abuso di potere, non essendo mai richiamati nei documenti gli articoli del Codice Penale concernenti i reati ipotizzati, ma facendo solo riferimento a detta legge. Oltretutto, i comunicati ufficiali sono l’uno la perfetta fotocopia dell’altro, mutando solamente le generalità dell’inquisito. Senza specificare quale ruolo abbia avuto nella commissione del crimine. Né se l’abbia compiuto da solo o in associazione con altri.

Per la cronaca, in relazione al reato di «Compromissione dell’integrità nazionale», sia la pena dai dieci ai quindici anni di carcere sia la «inabilitazione assoluta, per lo stesso periodo allo svolgimento di funzione, impiego o pubblico ufficio» era già prevista dal Codice Penale (art. 410). Viene da chiedersi per quale motivo non richiamare detto articolo nei documenti ufficiali? Forse perché prevede l’inibizione solo dopo una condanna ed è in contrasto con la Legge n. 1055? Gli stessi magistrati inquirenti non sanno bene come muoversi nel nuovo puzzle giuridico e aspettano ordini dall’alto.

Per fare un semplice raffronto, comprensibile a tutti, sarebbe come se da noi fosse arrestato in base alla legge istitutiva chi si intasca il reddito di cittadinanza senza averne alcun diritto. È evidente che può essere imputato di appropriazione indebita e di truffa ai danni dello Stato, però non in base al Decreto n. 4 del 2019, bensì in base al Codice Penale. E nell’avviso di garanzia o nell’ordine di custodia cautelare, almeno da noi, l’art. 646 e l’art. 640 del nostro CP sarebbero regolarmente citati. Pura forma, potrà obiettare qualcuno. Però, almeno in teoria, l’art. 33 (punto 2.1) della Costituzione del Nicaragua sancisce lo stesso principio. Ma si sa che la Costituzione è un semplice pezzo di carta, da sventolare come un ventaglio per rinfrescarsi un po’ in un paese assai caldo e umido. Ma non da rispettare, poiché pone troppi limiti. I lacci e lacciuoli…

Sempre per faciloneria, o per comodità interpretativa da parte degli inquirenti, la norma legislativa non specifica se l’inibizione abbia valore dalla condanna definitiva o dalla semplice ipotesi di reato basata sui costantemente nominati «fuertes indicios» (qualunque Azzeccagarbugli sa che mille indizi non fanno una prova). A quanto pare, l’esclusione funziona da subito. Questo comportamento della magistratura è in palese violazione di un altro articolo della Costituzione che sancisce l’innocenza fino a prova contraria (art. 34). E l’art. 47 stabilisce che «I diritti del cittadino sono sospesi con l’irrogazione di gravi punizioni corporali o di specifiche pene accessorie e con sentenza esecutiva di interdizione civile». Ossia, solo dopo la condena firme (passata in giudicato).

Del resto, il Nicaragua non è certamente il primo Paese a ignorare e ad aggirare la propria Carta fondamentale: l’art. 70 del nostro Statuto Albertino, in vigore senza alcuna modifica dal 1848 al 1947, prevedeva che «Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie». Ciò nonostante, affermano gli storici, il fascismo creò il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Gli stessi studiosi ci informano pure che l’Italia in quel periodo non era propriamente quello che si può definire uno Stato democratico.

Che in Nicaragua la Costituzione non sia rispettata, chiunque lo può verificare leggendo l’art. 147, come modificato dalla Legge n. 854 del 29 gennaio 2014: «Non potranno essere candidati a Presidente e a Vicepresidente della Repubblica: a) i parenti entro il quarto grado di consanguineità e che sono o sono stati parenti entro il secondo grado di affinità di chi esercita o ha ricoperto la Presidenza della Repubblica in qualsiasi momento del periodo in cui l’elezione è svolta per il periodo successivo». In tutto il mondo, l’affinità si crea con il matrimonio, fra i coniugi e i loro rispettivi familiari e parenti. Poiché Daniel ricopriva la carica di Presidente 2011 al 2016, in quello stesso 2016 Rosario non poteva essere candidata alla vicepresidenza. Ipse dixit: il divieto è estremamente chiaro e non servono voli interpretativi per comprenderne la ratio. L’Asamblea Nacional a stragrande maggioranza orteguista avrebbe potuto modificare o sopprimere detto articolo, tuttora vigente, in tempo utile prima delle elezioni del 2016. Ma, poiché avrebbe dovuto intervenire appena un anno dopo il suo inserimento nella Costituzione (con una doppia approvazione nel 2015 e nel 2016), è più semplice e più rapido ignorarlo. E i critici lancino pure le loro critiche al vento: palabras, palabras, palabras… canticchia qualche inquilino di El Carmen.

Un’altra legge punisce con il carcere da uno a dieci anni i cyberdelitti, ossia la diffusione di notizie false o travisate. Non è indicato nemmeno genericamente cosa si intenda per «falso» né per «travisamento», lasciando un amplissimo margine di interpretazione agli inquirenti. Neppure questa legge, finora, è stata applicata (forse perché il Nicaragua non ha la tecnologia informatica per effettuare un controllo a tappeto sui social). Anche in questo caso, vedremo come e in quali occasioni sarà utilizzata. Assai probabilmente in relazione a qualunque frase o parola scritta in un social o pronunciata in un qualunque mezzo di comunicazione che possa essere interpretata come una minaccia allo status quo, ossia il solito generico e onnicomprensivo «tradimento della Patria», e servirà per una condanna all’ergastolo in quanto crimine di odio. Non è la stessa Rosario Murillo a ripetere costantemente che le penne dei giornalisti sono piene di odio?

All’inizio del febbraio 2021 è approvata una modifica al Codice Penale, che amplia da 48 ore a 90 giorni quello che in Italia è definito «fermo di polizia». E noi protestavamo contro la Legge Reale e la Legge Kossiga che inasprivano leggermente questa misura precautelare (ossia provvisoria)… eravamo davvero degli ingenui giovinotti!

In tutto il globo terracqueo, la custodia cautelare in carcere o al proprio domicilio è una misura restrittiva della libertà personale attuata come extrema ratio e la durata è commisurata al periodo di carcerazione previsto per il reato ipotizzato. Il fermo di polizia e la custodia cautelare sono misure coercitive distinte e non sovrapponibili. In base al locale Codice Penale «Non saranno considerate pene: La detenzione e la carcerazione preventiva e le altre misure cautelari di natura processuale penale» (art. 50). Finora, in Nicaragua, il fermo di polizia per novanta giorni è stato comminato agli oppositori a prescindere. Automaticamente applicato a tutti gli accusati di «tradimento della Patria». Le uniche ragioni logiche, in un Paese senza logica, sono: evitare le udienze preliminari (prima previste dall’art. 256 del Codice di Procedura Penale entro le 48 ore del fermo di polizia, adesso dopo 90 giorni), per le quali non sono sufficienti i «fuertes indicios» richiamati nei comunicati ufficiali se si vuole che siano minimamente credibili, e al contempo la possibilità per gli indagati di partecipare come candidati alle elezioni di novembre.

I novanta giorni fanno decisamente a pugni con l’art. 8, comma 2, del suddetto Codice di Procedura Penale, il quale prevede che «Ogni persona imputata in un procedimento penale ha il diritto di ottenere una risoluzione entro un termine ragionevole». Che dire, poi di quanto stabilisce l’art. 264 in relazione alla fissazione della prima udienza processuale? «Se il giudice ordina la carcerazione preventiva dell’imputato, procederà a fissare una data inferiore ai dieci giorni successivi per lo svolgimento dell’udienza iniziale». Con le nuove modifiche, il fermo di polizia è stato portato a novanta giorni e solo in seguito potrà essere stabilita la carcerazione preventiva e la conseguente prima udienza processuale, nella quale il magistrato verifica se esistono le prove concrete per procedere a livello giudiziario (art. 265). Nella sostanza, si resta in carcere per oltre tre mesi anche in assenza di prove concrete e questo periodo non è detraibile dalla eventuale condanna. Men che meno se si dovesse sancire l’inesistenza del reato o la mancanza di prove.

È vero che, per il momento, solamente sei sulla trentina di incarcerati sono pre-candidati alla presidenza (meglio: erano) per le elezioni del 7 novembre, guarda caso, tutti coloro che avrebbero potuto ottenere un discreto risultato. Ma tutti gli altri avrebbero potuto mettersi in lista per una curul, un seggio da deputato. Infatti, gli elenchi dei nominativi non sono ancora stati presentati, essendo fissato dal Consejo Supremo Electoral il periodo dal 28 luglio al 2 agosto. Guarda caso, per dare l’avvio alla «Operación Danto 21» si è aspettato l’inizio di giugno: non certo per avere il tempo di cercare e trovare le prove della loro colpevolezza rispetto alla data di entrata in vigore della Legge n. 1055 (poco o nulla c’entra la questione della non retroattività richiamata nel documento del Departamento de Relaciones Internacionales del FSLN), ma perché i novanta giorni di fermo impediscono la possibilità di candidare gli arrestati. Che dire di questa sbandierata non reatroattività, quando ben sei persone sono arrestate il 5 luglio 2021 in base alla Legge n. 1055 del 20 dicembre 2020 per il colpo di Stato tentato nel 2018? E che alcuni di loro avevano usufruito dell’amnistia per i reati oggi richiamati? Tutto fa brodo… e si elimina dalla corsa l’ultimo scomodo pre-candidato dell’opposizione.

Poi, a Natale, potrà arrivare un’altra bella amnistia, a dimostrazione di quanto gli orteguisti siano «generosos en la victoria».

Redazione
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