Il rasoio di Occam e il Nicaragua

Ovvero: riflessioni a ruota libera cinque anni dopo l’inizio del teorico golpe blando del 19 aprile 2018.

di Bái Qiú’ēn (*)

Zeus, perché dell’oro fasullo hai dato prove agli uomini mentre sul corpo dell’uomo non c’è proprio nessun marchio che faccia riconoscere il malvagio? (Euripide, Medea).

Caro Adso, non occorre moltiplicare le spiegazioni e le cause senza che se ne abbia una stretta necessità. […] Tutto si spiega utilizzando un minor numero di cause (Umberto Eco, Il nome della rosa).

il cosidetto «charisma» […] nel mondo moderno coincide sempre con una fase primitiva dei partiti di massa, con la fase in cui la dottrina si presenta alle masse come qualcosa di nebuloso e incoerente, che ha bisogno di un papa infallibile per essere interpretata e adattata alle circostanze (Antonio Gramsci).

Quando frequentavamo le elementari e si usava ancora il pennino da intingere nel vasetto dell’inchiostro, macchiando inesorabilmente le dita, il quaderno e il grembiulino d’ordinanza (inizialmente nero unisex, poi celeste per i maschietti e rosa per le femminucce), il maestro unico allora vigente, introdotto con l’Unità d’Italia e ripristinato nel 2008 dalla Gelmini (mentore l’attuale Valditara), ci spiegava che la distanza più breve che collega due punti è la linea retta. Lo stesso insegnante ci spiegava anche che mai possono essere sommate le mele con le pere, o le pesche con le arance. Concetti che rimangono impressi per tutta la vita e rappresentano una pietra miliare della crescita intellettuale di ciascuno di noi.

Del resto, la geometria e la matematica non si discutono. Come se ciò non bastasse, il maestro ha sempre ragione, per definizione («T’insegnerò la morale a recitar le preghiere, ad amar la Patria e la bandiera…»). Nell’antico mondo romano il termine măgistĕr assumeva spesso il senso di «Capo, Comandante».

Crescendo, però, ci sono sorti alcuni piccoli dubbi. Se su quella ipotetica linea retta esistesse un ostacolo difficilmente sormontabile come l’Everest, è evidente che la via più comoda e pure la più breve per andare dal Nepal alla Cina (o viceversa) sarebbe aggirare la montagna, invece di scalarla con uno sherpa e tentare la discesa rapida con lo skateboard. Oppure, possiamo scavare una bella galleria che la attraversi in linea retta… Se consideriamo che le mele e le pere sono frutti o generi commestibili, in quanto tali possono essere tranquillamente sommati tra loro. Come quel mazzolino di rose e viole che la donzelletta leopardiana «reca in mano», sebbene fioriscano in periodi diversi dell’anno. Tanto che Giovanni Pascoli, il poeta delle cose semplici e delle smisurate bevute in osteria per tentare di sfuggire all’assillante sorella Maria fino a procurarsi una rilevante cirrosi epatica, era più che convinto che «il Leopardi non le abbia potute vedere», per cui concluse che «quelle rose e viole non siano se non un tropo, e non valgano, sebbene speciali, se non a significare una cosa generica: fiori» (Pensieri e discorsi, Zanichelli, Bologna 1914, p. 59). In quanto tali, logicamente sommabili tra loro.

Essendo eretici fin da ragazzini, riteniamo che, forse, il măgistĕr non aveva e non ha sempre ragione. Anche perché la matematica non è unica e si dovrebbe più correttamente parlare di «matematiche». Così come la geometria non è solo quella euclidea. Piergiorgio Odifreddi docet (Divertimento geometrico, 2003)

O, sempre forse, quelle che abbiamo sommariamente descritto sono eccezioni che confermano la regola, ossia contraddicono un precetto che dovrebbe essere tassativo, valido e vincolante in ogni e qualsiasi situazione. Secondo i dizionari, infatti, una regola è la modalità costante che caratterizza un determinato fatto o una serie di fatti.

Prendendo per buona questa definizione, ci sorge un ulteriore dubbio. Come può esistere un’eccezione alla regola, un elemento che, per qualunque motivo, si sottrae alla norma stabilita? Poiché ciò non è possibile, si può soltanto parlare di coincidenza, concomitanza o fatalità, non di precetto indiscutibile. Se tra i numeri primi ne esistesse uno, anche uno solo, divisibile per due (o per qualsiasi altro che non sia l’uno e se stesso), non esisterebbe alcuna regola.

Lo stesso ragionamento vale per la serie di Fibonacci, successione di numeri interi positivi nella quale ciascuno è la risultante della somma dei due precedenti: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144… all’infinito, come i numeri primi e come le rette. Secondo la leggenda, dopo aver introdotto l’uso dei numeri arabi (da lui correttamente detti “indiani”) in sostituzione di quelli romani e aggiunto lo zero, nel 1202 questo scienziato era intento a studiare la moltiplicazione riproduttiva dei conigli e ne stabilì la regola, la legge logico-matematica. Che non prevede alcuna eccezione. La sua serie si ritrova innumerevoli volte in natura, a partire dal guscio della lumaca e dai petali dei fiori, ma pure nella musica, nell’arte, nell’economia, nell’informatica… nell’economia e nella finanza.

Due rette parallele, come i binari, mai si incontrano, secondo quanto ci insegnava il suddetto maestro, di evidente formazione euclideo-ferroviaria. Altri, in seguito, affermarono che si incontrano in un punto collocato all’infinito. Poi, arrivò un certo Aldo Moro, il quale sostenne che le due rette PCI-DC si incontrano al centro: geometria politichese pessimamente realizzata parecchi anni dopo nel PD.

Per chiarire ancora meglio: chi ha studiato anche superficialmente la lingua inglese, ha appreso che esistono alcune precise regole di pronuncia. Così, almeno, dicono i docenti e i manuali. Peccato che ognuna abbia le sue eccezioni, poche o molte non fa differenza (la più evidente è la doppia “o”: poor, door, ma l’elenco è infinito). Per cui non ha vere e proprie norme fisse, ma solo coincidenze o consuetudini, e la fonologia di questo idioma può essere definita anarchica, intendendo genericamente con detto termine l’assenza di qualsiasi ordine o regola. Se l’eccezione appare vera e legittima, infatti, la regola non esiste né può esistere. Oppure, deve essere riformulata partendo da altri presupposti.

Cosa c’entra tutto ciò con il Nicaragua attuale? Forse nulla, forse tutto. Fate voi.

Se mettiamo in soffitta l’idea propagandata da anni che esista una regola valida a ogni latitudine per rovesciare un governo, sia esso legittimo o meno, ci potremo rendere conto che, probabilmente, tra la metà di aprile e la metà di luglio del 2018 è successo qualcosa che solo per comodità ideologica unita a una notevole pigrizia mentale e a un elevato strabismo dogmatico (di matrice staliniana) è stato definito golpe blando. La mitica risata di Anacleto il simpatico e irascibile gufo di mago Merlino, potrebbe essere la risposta più rapida e appropriata per seppellire questa ipotesi relativa a un fenomeno sociale e politico che possiamo denominare «misterioso» finché non ne conosciamo le origini. Sarà una risata che seppellirà i dogmi che continuano a essere propagandati a cinque anni di distanza.

Per poter reggere, infatti, questa teoria che tenta di spiegare una protesta spontanea di massa (nella quale si è inserita la destra), ha l’assoluta necessità di dover ipotizzare una serie di altri fatti che possono essere a loro volta qualificati come «improbabili» o quanto meno «incerti». Teoricamente possibili, ma finora non provati né probabilmente provabili. Per cui, assai spesso, fuorvianti e ingannevoli. Quando non catalogabili nel sacco delle pure invenzioni: un’equazione con mille incognite non pare sia risolvibile (i matematici sostengono che il massimo sia trenta). Neppure con l’aiuto del mega-computer della NASA, che pure riesce a controllare una sonda spedita su Marte.

L’unico dato certo è il finanziamento della destra da parte del Governo statunitense. Tutto il resto che il dogma dà per assodato non regge alla prova della realtà. Come primo dato da tenere presente è che fosse assai improbabile che la destra picapiedra del Nicaragua avesse ed abbia la capacità, da un giorno all’altro, di mobilitare decine di migliaia di persone. Avallando la teoria del golpe blando, senza andare alla radice del problema, si ammette indirettamente che questa capacità esistesse, visto che è accaduto. Dandosi in tal modo la zappa sui piedi da soli, si dichiara inconsciamente l’esistenza un notevole radicamento e di una rilevante diffusione nella società di gruppi che a tutti gli effetti erano e sono insignificanti, oltreché iper-litigiosi. Per correre ai ripari, calandosi nei panni di qualunque Questore nostrano, si è pertanto dovuta inventare la scarsa partecipazione alle proteste («puchitos»), quando le innumerevoli immagini fotografiche e video attestavano l’esatto contrario. E affermare poi che dette immagini erano degli abili montaggi, quindi delle bufale. «Secondo gli organizzatori: mezzo milione. Secondo il Questore: trentamila».

Lo stesso si può dire della colpevolizzazione acritica degli Stati Uniti per tutto ciò che accade nel mondo, avvallando la teoria dello scemo del villaggio (globale?) che «non si muove foglia che Washington non voglia». Ultimi, in ordine di tempo, gli ayatollah iraniani, abbarbicati a «una dottrina morale ormai scollata dal comune sentire» (come ha scritto Marina Forti). Ci piace ricordare che un secolo fa Gramsci indicava questa concezione come «astrattismo fatalista». E, ancora prima di lui, per Platone era «la menzogna nel fondo dell’anima», ossia la falsità che sa di essere tale. Uno dei segni di questa malattia è il fatale autocompiacimento, che giunge a rigettare in modo istintivo sia qualunque critica esterna in quanto ritenuta dipendente dall’astio sia ogni critica interna attribuita all’anti-patriottismo. Mentre, assai più spesso, indica l’esatto contrario.

Ancora meno probabile è che tutti coloro che dal 19 aprile 2018 avevano protestato nelle vie e nelle piazze del Nicaragua (non solo a Managua) fossero reazionari fascisti pagati dall’Impero. Che ciò faccia parte della facile propaganda basata sul bianco-nero senza sfumature è smentito da tanti episodi avvenuti nel corso della storia. Senza negare l’esistenza di ingerenze statunitensi (che funzionano solo se in una determinata società esiste uno scollamento tra governanti e governati, realtà che il dogma assai poco marxista rifiuta a livello pregiudiziale), ricordiamo un piccolo evento, paradigmatico. Tutti coloro che fuggivano dalla Germania Est (DDR) verso Ovest erano definiti anticomunisti e «traditori della Patria socialista», però tra loro ci fu pure un certo Alfred Willi Rudolf Dutschke, che rifiutava la dittatura del partito pur essendo un militante della Gioventù comunista, la Freie Deutsche Jugend. Nel 1961, a soli ventuno anni e poco prima della costruzione del muro di Berlino, fece la scelta di «tradire» il socialismo reale di Ulbricht per passare al capitalismo revanscista di Adenauer. Senonché ben presto questo «controrivoluzionario» si trasformò in Rudi il Rosso, leader della contestazione giovanile tedesco-occidentale. Tanto da beccarsi tre colpi di pistola l’11 aprile 1968, sparati da un esaltato e psicolabile lettore dei tabloid paranazisti di Alex Springer i quali incitavano a «fermare il porco comunista» (Bild Zeitung, Der Spiegel, ecc.). A seconda dei punti di vista, anticomunista per l’Est e bolscevico per l’Ovest, Rudi sopravvisse fino al 1979, sostenendo politicamente i dissidenti di oltre cortina e nell’attuale Berlino senza muro esiste una via che porta il suo nome (nel quartiere multiculturale Kreuzberg).

Proviamo a partire, pertanto, da ciò che si conosce ed è dimostrato o dimostrabile sul Nicaragua del 2018, per arrivare alla spiegazione logica dell’evento. Cercando di eliminare le comode invenzioni propagandistiche.

Innanzitutto, è assai semplice rilevare che la definizione di golpe blando è utilizzata solamente nei casi in cui si tenti o si riesca a sostituire un governo più o meno di sinistra con uno di destra. Il che è quanto meno assurdo: se una regola esiste, la si applica in tutte le situazioni identiche o simili. Come nel caso dei numeri primi…

Nessuno di sinistra ha mai parlato di golpe blando per le proteste di poco successive in Cile, in Colombia, in Honduras ecc. Anzi, erano giustamente ritenute del tutto legittime e, pertanto, da sostenere senza se e senza ma (concordiamo appieno). C’era, però, chi applicava dogmaticamente la regola delle mele e delle pere non sommabili tra loro. Traducendolo in politichese: non si può paragonare un governo di destra a uno di sinistra e, soprattutto, non si può mettere sullo stesso piano la rabbia spontanea e legittima contro un Governo di destra con l’irritazione contro un Governo che si auto-definisce di sinistra e blatera di anti-imperialismo, ecc. (per quanto faccia una politica di destra, neoliberista e oligarchica). Nel secondo caso non può essere una protesta impulsiva e istintiva, ma ci deve essere per forza qualche zampino straniero che soffia sul fuoco e finanzia, se non organizza più o meno direttamente, il golpe blando. Per la cronaca, era la tesi di Berlusconi nell’estate del 2011 con la faccenda dello spread e della probabile bancarotta italiana, definita golpe bianco (organizzato dagli USA di Obama e dalla BCE, come a tutt’oggi sostiene Il Giornale).

In base ai canoni del dogmatismo settario, infatti, quando in un Paese governa la sinistra, o pseudo tale (per autodefinizione), tutti sono felici e contenti. Cantano e ballano tutto il giorno e tutta la notte, saltando di gioia per 365 giorni all’anno. Nulla hanno di che lamentarsi, perché tutto è perfetto e splendido. Insomma, vivono nel panglossiano migliore dei mondi possibili… e il ministero dell’Interno è e sarà sempre la sentinella dell’allegria del popolo.

Eppure, le proteste in vari paesi latinoamericani nascevano da situazioni tra loro assai simili: la riforma del sistema sanitario ed educativo in Honduras, la riforma del sistema fiscale in Colombia e la riforma della previdenza in Nicaragua. Leggermente diverso era il punto di partenza in Cile: l’aumento del biglietto della metro. In tutti i casi, comunque, indicavano l’esistenza di un malcontento pregresso e in costante espansione, che aveva trovato in una sciagurata e improvvida decisione governativa la goccia di troppo. In seguito, i presidenti di questi Paesi sono cambiati (in meglio o in peggio lo dirà la storia), eccetto che nel Nicaragua teoricamente socialista solidale e cristiano.

Le scelte dei vari governi citati corrispondono pienamente alle pere e alle mele sommabili tra loro in quanto frutti: andavano sempre e comunque a colpire le fasce più deboli delle rispettive società, per ottemperare, in un modo o nell’altro, ai diktat dei vari organismi internazionali tipo FMI e BM. È un dato di fatto anche per il Nicaragua. Negare o minimizzare questa semplice evidenza, significa mentire sapendo di mentire, sprofondando nella palude della falsità e della disonestà intellettuale. E insistere talmente a lungo da autoconvincersi che sia la verità fattuale. Il potere dell’autosuggestione è immenso e porta alla credenza cieca e ottusa in qualche cosa che non esiste o che non corrisponde alla realtà. Una credenza impulsiva e automatica, senza ragionamento né visione critica-dialettica.

Dal canto nostro, di fronte a due (o più) possibili spiegazioni di un evento, riteniamo che sia sempre da preferire la più semplice e diretta, senza fronzoli né esagerate quanto inutili complessità. La teoria del golpe blando in Nicaragua, ma non negli altri Paesi citati, è come l’Everest sulla suddetta linea retta. Alcuni tentano di scalarlo per oltrepassarlo. Trascurando il punto di partenza, essenziale: se non ci fossero stati motivi per protestare, perché 30mila o 500mila nicaraguensi lo avrebbero fatto? Per prendere una boccata d’aria in compagnia, tipo scampagnata fuori porta a Pasquetta? Perché non sapevano come passare il loro tempo, in un Paese dove Cronos conta meno di nulla? Perché sempre e comunque ai nicaraguensi piace la bulla, la pachanga, la confusione, il casino? E ogni occasione è buona… Se non esistessero motivi per ribellarsi e protestare, dato che tutto è perfetto e ineguagliabile, dove realmente governa El Pueblo Presidente, nessuna forza politica riuscirebbe a portare migliaia di persone in piazza (30mila o 500mila, ribadiamo, non fa differenza). In nessun Paese al mondo.

Gli esempi che abbiamo fatto, tempo fa, sulle miniere e sulle zone franche, o più di recente sul lavoro informale, sono solo la punta dell’iceberg di una situazione sempre più intollerabile, di un sistema economico-politico che, se non identico come una fotocopia, assomiglia parecchio a quello neoliberista dei tre governi succedutisi dal 1990 al 2006 (Barrios Torres, Alemán Lacayo, Bolaños Geyer), non a caso sostenuto economicamente dal FMI e dalla BM. Per cui, la linea retta si scontra contro questa palese mancanza di analisi delle cause originarie di una protesta generalizzata, alla quale si è risposto con una reazione a dir poco sproporzionata che ha solo fatto aumentare il numero dei protestantes. Risultato inevitabile, quando si propagandano volutamente occhiali con lenti color verde per far credere all’asino che sta mangiando erba e non fieno…

Come evidenziò assai bene Umberto Eco ne Il pendolo di Foucault, nel quale un programma informatico (Abulafia) è il personaggio più importante, le teorie paranoico-complottiste sono in grado di sedurre gli intellettuali delusi e frustrati (aggiungiamo: soprattutto quelli appartenenti a una sinistra mentalmente disagiata e ancorata a vecchi schemi ormai defunti, alla disperata ricerca di un punto fermo in un universo in costante movimento). I redattori di una casa editrice inventano una trama cospiratoria talmente avvincente che finiscono per crederci davvero, cadendo nella trama che loro stessi imbastiscono: «Un complotto, se complotto dev’essere, è segreto. Ci dev’essere un segreto conoscendo il quale noi non saremmo più frustrati, perché o sarebbe il segreto che ci porta alla salvezza o il conoscere il segreto si identificherebbe con la salvezza».

Dal canto nostro, non essendo provetti alpinisti e non volendo rischiare inutilmente l’osso del collo tra strapiombi e crepacci, preferiamo aggirare l’Everest, scegliendo la via più semplice e meno irta di pericoli, per quanto sia la più lunga in termini di distanza, ma non come tempo, fatica fisica e rischi. Oltretutto, riteniamo di non avere la testa abbastanza dura per affrontare la discesa con lo skateboard, che non sappiamo usare.

Però sappiamo ciò che affermava lo stesso Eco: «La psicologia del complotto nasce dal fatto che le spiegazioni più evidenti di molti fatti preoccupanti non ci soddisfano, e spesso non ci soddisfano perché ci fa male accettarle». Per chi si considera di sinistra, è davvero doloroso ammettere che si possa verificare una protesta spontanea e di massa in un Paese socialista cristiano e solidale, per quanto ci sia chi soffia sul fuoco sperando che ciò avvenga, ma non avendo alcuna capacità né possibilità di concretizzarla. Il semiologo concludeva, con un tono sconsolato rispetto alle capacità intellettive dell’essere umano: «Conseguenza paradossale: dietro ogni falso complotto, forse si cela sempre il complotto di qualcuno che ha interesse a presentarcelo come vero» («La sindrome del complotto», in 11/9 La cospirazione impossibile, 2014). Tradotto in altri termini: l’unico vero complotto è quello dei complottisti.

Nel corso di un decennio in Nicaragua si era andato creando uno scollamento sempre più profondo tra i governanti e i governati, oltreché tra la dirigenza del Frente Sandinista e una grossa fetta dei militanti di base. Chiunque si fosse recato nel Paese, senza molti sforzi avrebbe percepito la diffusione del mugugno. Lo abbiamo detto in altre occasioni, ma vale la pena ripeterlo. Nel frattempo Washington, costantemente e puntualmente informata dalla propria ambasciata, faceva il proprio mestiere e lavorava per aumentare questa distanza. Finanziando lautamente la destra locale, affinché facesse di tutto per accrescere quello scontento e, di conseguenza, le possibili proteste e la quantità di protestantes. Ciò è innegabile, ma non sufficiente per spiegare l’aprile del 2018.

D’altro canto, i governanti nicaraguensi stavano allegramente seduti su una polveriera, illudendosi che tutto sarebbe continuato senza problemi rilevanti in grado di mettere in discussione lo statu quo (ossia il loro stesso potere). A tutti gli effetti, El Pueblo Presidente era nulla più che uno slogan e faceva sempre meno presa su una società nella quale assai poco era mutato rispetto ai precedenti sedici anni di neoliberismo sfrenato. Se non la quantità di demagogia quotidianamente elargita a piene mani, a volte sotto forma di “elemosina” governativa che non mutava né muta di una virgola la condizione economica e sociale della popolazione più debole e diseredata. Che tale restava e resta, a prescindere (ignorando o rifiutando di mettere in pratica il famoso concetto del pesce e dell’insegnamento a pescare).

Neppure gli “infiltrati” all’interno dei gruppi di opposizione (non ci si venga a dire che non c’erano) avevano annusato e informato il vertice del Partito-Stato sui maneggi per una specie di insurrezione popolare. Il che può significare solo un paio di cose: o quegli “infiltrati” erano completamente sordi e inutili o non esisteva alcun piano organizzato.

La protesta più partecipata e non repressa dalla polizia fu quella del 13 giugno 2017 realizzata dai contadini di Río San Juan contro le espropriazioni forzate dei loro terreni per realizzare il faraonico e a tutt’oggi non ancora iniziato Canale interoceanico, alla quale parteciparono, secondo gli organizzatori, quasi seimila persone. Era un segnale ben chiaro, meno di un anno prima dell’esplosione dell’aprile 2018. Ma indicava pure il limite dell’opposizione in relazione alla sua capacità di mobilitazione (ammettendo che davvero avessero partecipato seimila persone – seicento o sessanta per il classico Questore).

Per usare una definizione il cui senso è ormai noto ai più, il combinato disposto tra i maneggi dei gringos uniti a quelli della destra e l’insipienza governativa pseudo-rivoluzionaria, in un contesto di crescente malcontento e mugugno, prima o poi era destinato a portare a una rottura e a una esplosione. La storia insegna che è il diffondersi dell’insofferenza la causa iniziale di qualsiasi protesta, ma per comodità e pigrizia mentale si evita di considerarla in relazione al Nicaragua, propagandandolo come il Paese dove si legano i cani con le salsicce.

Che si sia abbondantemente mentito da entrambe le parti, forse fa parte del “gioco”. Gioco criminale, poiché in qualsiasi conflitto nessuno può dirsi innocente.

Mutando i protagonisti e le latitudini, lo stesso fenomeno è accaduto in Honduras, in Colombia, in Cile… e abbiamo aggirato comodamente l’Everest. Allungando il percorso ben oltre una linea retta, ma trovando una spiegazione assai più lineare e semplice (non semplicistica) rispetto a quella del golpe blando.

Quel vero genio che fu Marshall McLuhan (nessuna ironia!) ebbe a dire che non sapeva chi fosse lo scopritore dell’acqua, ma che di certo non erano i pesci, poiché vi sono troppo immersi per poterla vedere. Allo stesso modo i teorici del golpe blando sono talmente sprofondati nelle loro speculazioni cospirazioniste da non rendersene neppure conto, esattamente come i suddetti personaggi di Umberto Eco. E in tal modo, inconsciamente, avvallano l’applicazione della sarcastica frase che Bertolt Brecht pronunciò quando nel giugno del 1953 i lavoratori scesero in piazza contro il governo comunista di Berlino Est: «Se il popolo non è d’accordo con il Comitato Centrale, sciogliamo il popolo».

Restando a McLuhan e al suo The Gutenberg Galaxy (1962), potremmo dire senza tema di essere smentiti, che l’invenzione della stampa a caratteri mobili favorì la rivoluzione religiosa in Germania e che la Bibbia si era addirittura trasformata in un vero e proprio manuale per la rivoluzione, portando alle rivolte politico-economiche dei contadini guidati da Thomas Müntzer (alcuni secoli prima dei social). Il quale affermava che il Regno di Dio è una società nella quale non esistono le differenze sociali, né la proprietà privata, né l’autorità statale contrapposta al popolo. È da folli dire oggi queste cose (pure nel Nicaragua socialista), figurarsi nella Germania del Cinquecento! «Tutte quante le autorità vigenti, che non volessero adattarsi e unirsi alla rivoluzione dovevano essere rovesciate, e si dovevano instaurare la comunanza delle attività e dei beni e la più completa eguaglianza. Per attuare tutto questo si doveva fondare un’unione che abbracciasse non solo tutta la Germania, ma tutta la cristianità» (Friedrich Engels, La guerra dei contadini in Germania, 1870).

Abbiamo seri dubbi che questo testo religioso sia stato redatto con l’intento di organizzare una rivoluzione.

Non esiste alcun motivo logico per complicare ciò che è semplice, per quanto sia sempre necessario dare una rappresentazione coerente della realtà. Il che non significa che sia la risposta corretta, siamo i primi a riconoscerlo, ma ci pare la meno macchinosa e meno fantasiosa. È certamente più razionale ed “economica” rispetto alla facile propaganda, la quale è ben lontana dall’idea «di discutere argomentando, di ragionare, di fare riflettere, di esporre i fatti con semplicità e franchezza» come affermò un certo Pietro Secchia nell’ormai lontanissimo giugno del 1951 (Rinascita, all’epoca mensile).

«C’è una nota storiella che narra come due cani si incontrino a Mosca; l’uno è grasso e ben pasciuto, l’altro magro e affamato. Il cane affamato domanda all’altro: “come fai a trovare da mangiare?” e l’altro, con abilità zoosemiotica, risponde: “facilissimo. Ogni mattina a mezzogiorno vado all’Istituto Pavlov e mi metto a sbavare; ed ecco che a quel punto arriva uno scienziato condizionato che suona un campanello e mi porta un piatto di zuppa”. In questo caso è lo scienziato che reagisce a un semplice stimolo, mentre il cane ha stabilito una sorta di relazione reversibile tra salivazione e zuppa». Così scriveva Eco nel suo Trattato di semiotica generale (Milano 1982, p. 33), riportando una barzelletta relativa al periodo della tremenda carestia russa dei primi anni Venti del secolo scorso. Ci sono sempre due o più punti di vista possibili di fronte a un evento, sebbene esista chi ritiene che solamente il suo sia quello valido e indiscutibile. Talmente auto-condizionato, come i Casaubon, i Belbo e i Diotallevi, da credere che la propria favola sia la sola e unica verità, per parafrasare il solito Eco. Che di comunicazione se ne intendeva un cicinin di più rispetto a troppi personaggi che lo citano a vanvera, solo per mostrare che ne hanno sentito parlare ma non lo hanno masticato né digerito.

«Pluralitas non est ponenda sine necessitate ponendi», affermava William of Ockam (Guglielmo di Occam in italiano), ormai nauseato dalla stupidità imperante alla sua epoca, indicando un canone metodico di semplificazione: «una pluralità non va posta senza necessità». E aggiungeva: «entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem», traducibile con «le cose non dovrebbero essere moltiplicate oltre il necessario». Con questo approccio teorico, assai rivoluzionario e sovversivo per il XIV secolo (i «secoli bui» del Medioevo che stavano affacciandosi all’Umanesimo), ci invitava a liberarci dagli inutili e alle volte perversi ragionamenti nei quali spesso ci possiamo trovare incastrati, evitando in tal modo tutte le strade più contorte per imboccare invece quella più immediata, comoda e plausibile. Non a caso, questo pensiero metodologico assai pragmatico è uno dei princìpi basilari del pensiero scientifico moderno. Un’ipotesi accettata fino a un certo momento, può essere sostituita quando se ne formula una più “economica”, la quale tiene insieme tutti i dati disponibili con meno ipotesi e meno collegamenti, quindi con meno postulati indimostrati e spesso indimostrabili.

Questo medievale frate francescano riuscì addirittura a proiettarsi verso le nuove idee del suo tempo, quali i diritti, le libertà naturali e l’autonomia della sfera politica. Non vivendo affatto in «secoli bui», come li definiva il maestro unico di cui sopra, riteneva persino che il Papa non fosse infallibile, per cui non poteva auto-attribuirsi alcun potere, né temporale né spirituale. Il dissoluto pontefice in carica, Giovanni XII, naturalmente, lo scomunicò e lo dichiarò eretico.

Non vediamo molta differenza di atteggiamento mentale tra quella scomunica e la definizione di «sinistra confusa» per tutti coloro che non accettano a scatola chiusa l’infallibilità di coloro che, con un pizzico più o meno grande di voglia di protagonismo, si sono autonominati combattenti rivoluzionari senza macchia e senza paura come il leggendario e mai esistito Alberto di Giussano, ma utile per fondare un partito. Non rendendosi conto che, al massimo, potrebbero essere dei marchesi del Grillo: duchi di Bracciano, guardie nobili, camerieri segreti e, in taluni casi, lautamente stipendiati da una Papessa.

Concordiamo con Raúl Zibechi che il 5 dicembre 2022, riferendosi a una certa sinistra (quella che si autodefinisce «non confusa») aveva scritto nel sito web Rebelión: «Le sinistre del mondo hanno un enorme debito teorico e politico perché non hanno mai guardato in faccia lo stalinismo, come se quel regime non fosse uscito dalle viscere stesse della rivoluzione russa. […] L’ossessione del potere, l’aggrapparsi al controllo statale, la repressione del dissenso e la mancanza di autocritica, legano questa sinistra, che si definisce democratica, al suo passato stalinista. Sappiamo già che la destra è peggio, forse molto peggio. Ma da sempre, più pericoloso del lupo è colui che si traveste dalla pelle dell’agnello» («Las izquierdas ante Dora María Téllez»).

Per la cronaca, il termine «eretico» significa «che sceglie», ossia che ha idee e posizioni divergenti rispetto al dogma. Dubitare della verità indiscutibile è di per sé pericoloso: si rischia la scomunica e persino il rogo. Alle volte, però, ne vale la pena, mettendo in primo piano la propria coscienza, piuttosto che la propria carriera o il proprio portafoglio.

(*) MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

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