Il razzismo segue vie imperscrutabili

riflessioni di Tahar Lamri su ius soli e «seconde generazioni»; ripreso da «Ravenna & dintorni» (http://www.ravennaedintorni.it/blog-ravenna-e-dintorni) del 16 febbraio.

La recente dichiarazione del ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione Andrea Riccardi  – «Diritto alla cittadinanza basato sulla cultura (…) fra ius solis e ius sanguinis credo che si possa trovare una via di mezzo e cioè il diritto di cultura» – mi ha turbato non poco. Ho pensato che le vie del razzismo sono imperscrutabili. C’è il razzismo tout court e più o meno sappiamo che fattezze ha, poi c’è il razzismo sostenibile, quello dal volto umano e questo è più inafferrabile.
Ho pensato a quel corso di integrazione che frequento assiduamente girando l’Italia in lungo e in largo e dove trovo indici di integrazione reale molto più elevati di quanto la politica e i media, con il loro rapporto immediato, quasi incestuoso, ci vogliono far credere. L’integrazione è un processo sociale e non un contratto giuridico bastato sui diritti e i doveri. Si ha questa netta sensazione di essere, tutti senza distinzione, attori della dinamica multiculturale, anche quando ci infastidisce il parcheggiatore “abusivo” ciò che fa di noi tutti immigrati. Gli italiani immigrati “in loco”. E questo fa perdere le certezze reali o simboliche.
Mi sono visto come quel personaggio di Tom Waits che dorme in un letto e sogna tutti i sogni di quelli che ci hanno dormito prima di lui. E così ho visto i figli degli immigrati di cui si dibatte tanto ma solo lateralmente, mai seriamente.
L’idea di democrazia costruita in quadro nazionale ha legato a doppio filo i diritti politici alla cittadinanza. E il quadro nazionale è costruito a partire dall’invenzione di sé e l’esclusione dell’altro. La democrazia così nazionalizzata tende naturalmente a escludere gli stranieri, indipendentemente dei loro legami affettivi con il Paese di approdo o la loro parte nell’attività economica.
La società moderna è però multiculturale e la multiculturalità è sostanzialmente un realtà sociale prima di essere un modello politico. Il “culturalismo” – l’affermazione del ministro è di tipo culturalistico – fornisce una visione semplicistica della società e riduce la realtà sociale a una specie di “scontro tra culture”, così la comunità nazionale rimane uno spazio simbolico il cui accesso è controllato dallo Stato. Si crea l’illusione del monopolio dell’identità e ne fanno le spese i più deboli, cioè i minori e, in parte, le donne, loro mamme.
Ho incontrato una volta un ragazzo nato e cresciuto in Italia da genitori etiopi che non potevano tornare al Paese, ma avevano deciso di mandarlo a trovare i nonni. Arrivato a Adis Abeba, il ragazzo che parla soltanto italiano, si è smarrito e non sapeva come chiedere informazioni. Ha chiamato il padre e il padre, da Roma, gli dava indicazioni stradali. Solo che nel frattempo i nomi delle strade erano cambiate, la città stessa non corrispondeva più alla mappa che il padre aveva in testa e le sue indicazioni non facevano altro che confondere di più il ragazzo. Ragazzo che conosce a menadito le strade di Roma, perché è Roma la sua città. Adis Abeba era per lui un racconto e Roma una realtà. Così discutendo di cittadinanza agli immigrati è l’ordine sociale razzista ad aver avuto diritto pieno di cittadinanza.
Non si può dibattere la cittadinanza ai figli degli immigrati lo jus soli, a meno che non si voglia fare un’opera di pura cosmesi, senza parlare dei padri e delle madri di questi figli, o peggio separandoli dalla cultura d’origine dei genitori. Ci sono poi minori non accompagnati di cui non parla nessuno. Ci sono padri che rischiano l’espulsione o sono privi di documenti.
Ci si dimentica spesso che fino agli anni ‘90, la normativa generale sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri era quella del Testo Unico di Pubblica Sicurezza del 1931. Testo che ha sempre caratterizzato la politica dell’Italia in questa materia e influenzato le varie leggi che regolano l’immigrazione.
Insinuare dubbi sulla fedeltà dei figli dell’immigrazione verso l’Italia e pensare l’immigrazione come una colpa dei padri che ricade sui figli e dire semplicemente che questi figli sono “immigrati di seconda generazione” anche se non hanno mai scelto l’immigrazione e non si sono mai spostati dall’Italia è dimenticare che una donna immigrata non partorisce un immigrato.

Redazione
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2 commenti

  • Visto che la realtà in cui viviamo cambia così rapidamente bisogna trovare una formula diversa per decidere su quali basi dare la nazionalità ai figli di immigrati. Ma sopratutto se diamo questa nazionalità dobbiamo essere sicuri che questi nuovi cittadini abbiano un senso di appartenenza, se no provocheremo problemi molto seri, che a distanza di anni saranno ingestibili. Io non vedo nelle proposte pubblicate ecc… preoccupazione su come decidere se un figlio di immigrato, nato in Italia, si senta veramente italiano. Non so quale sia la formula giusta, o meglio se ci siano “test” giusti, ma penso sia importante trovarli.

  • L’idea di “concedere” la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati è ipocrita. Un paese civile dovrebbe riconoscere tutti i diritti a tutti

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