Il razzismo (ma cos’è?) uccide
l’analisi di Annamaria Rivera con gli articoli di Alessandro Ghebreigziabiher e di Riforma.it
Il sistema razzismo – Annamaria Rivera
Per definire e analizzare il razzismo è necessario anzitutto sbarazzarsi della categoria di “razza”, da cui pure deriva l’etimologia del termine. Questa categoria, con cui si pretende di descrivere e gerarchizzare i gruppi umani sulla base del biologico, è stata criticata e ormai abbandonata sia dalle scienze sociali, sia da quelle naturali.
I biologi hanno dimostrato, fra l’altro, che la distanza genetica media fra due individui è pressappoco pari a quella che separa due supposte razze. Tuttavia, la dimostrazione dell’infondatezza della “razza” non ha mai interdetto e tuttora non interdice che certe collettività siano percepite, categorizzate, trattate quasi fossero “razze”.
E le “razze” s’inventano. Come insegna la lunga e tragica storia dell’antisemitismo, qualunque gruppo umano può essere razzizzato, indipendentemente dalle sue peculiarità fenotipiche e perfino culturali e sociali. Lo stigma della razza è, infatti, l’esito di un processo sociale di etichettamento: in definitiva, tutte le “razze” sono inventate.
La differenza “di colore” non c’entra niente. Gli italiani emigrati negli Stati Uniti, in Germania, in Svizzera, in Francia ecc. erano considerati individui di razza diversa: disprezzati e trattati più o meno come oggi sono trattate le persone di origine immigrata. A New Orleans nel 1891 furono linciati undici italiani, quasi tutti siciliani, accusati di aver ucciso il capo della polizia urbana, cosa palesemente falsa. Ad Aigues-Mortes, in Francia, nell’agosto del 1893, furono uccise decine di lavoratori italiani che erano lì, nelle saline, per la raccolta stagionale del sale. E il razzismo anti-italiani si è perpetuato fino ad anni recenti.
Gli ebrei, che furono sterminati a milioni nei lager nazisti, non erano certo neri ed erano di nazionalità e culture analoghe a quelle del resto degli europei.
A dimostrare ciò che dico, basta pensare agli albanesi. A partire dai primi anni ’90 ci furono massicci esodi di albanesi verso l’Italia. E l’albanese diventò il bersaglio d’insulti e atti razzisti. Ogni volta che si verificava un fatto di cronaca nera, uno stupro, un omicidio, ecc., si additava come colpevole qualche albanese; al punto che “albanese” finì per diventare un insulto abituale che si scambiavano perfino i bambini.
L’8 agosto 1991, approdarono nel porto di Bari, sulla nave Vlora, 20mila profughi albanesi, che dapprima furono accolti dalla popolazione con una certa solidarietà. Ma intanto si era avviata la macchina della propaganda politica e mediatica contro di loro e l’orientamento del governo italiano si era assai indurito. Così che i profughi furono rinchiusi in massa nel vecchio Stadio della Vittoria e trattati come animali in gabbia, per essere poi rimpatriati con l’inganno.
Non solo. Gli albanesi sono stati anche vittime di una strage. Ricordo che nella notte fra il 28 e il 29 marzo del 1997, una carretta del mare, carica di profughi albanesi fu speronata e affondata da una corvetta della marina militare italiana, la Sibilla. Morirono annegate più cento persone, in maggioranza donne e bambini.
Ciò detto, come si potrebbe definire il razzismo? Io propongo questa definizione: è un sistema d’idee, discorsi, rappresentazioni e pratiche sociali, che attribuisce a gruppi umani e agli individui che ne fanno parte differenze essenziali, generalizzate, definitive, allo scopo di legittimare pratiche di stigmatizzazione, discriminazione, segregazione, esclusione, perfino sterminio.
Conviene aggiungere che alle collettività definite come radicalmente differenti di solito è negato il diritto di autodefinirsi.
Il razzismo, quindi, ha bersagli diversi secondo i periodi e le circostanze storiche. Per esempio, il fatto che l’Italia sia stata un paese fascista e colonialista conta molto nel razzismo attuale verso le persone immigrate o solo di origine immigrata. Si consideri, inoltre, che secondo sondaggi successivi, l’Italia s’illustra anche per antiziganismo: l’82% del campione intervistato esprime ostilità, odio o paura per la presenza di appena 180mila “zingari”.
Il razzismo è anche il risultato di un circolo vizioso. Diventa sistemico e abituale, quando è direttamente o indirettamente incoraggiato o perfino praticato dalle istituzioni e da mezzi di comunicazione. Quando l’intolleranza verso determinati gruppi o minoranze, diffusa nella società, è legittimata dalle istituzioni, anche europee, e dagli apparati dello Stato, nonché dalla propaganda e da una parte del sistema dell’informazione, è allora che s’innesca tale circolo vizioso.
È un circolo vizioso micidiale. Basta considerare lo stato di abbandono nel quale sono gettati numerosi richiedenti-asilo, che pure dovrebbero essere oggetto di protezione particolare: di fatto privati perfino del diritto di sfamarsi e di avere un tetto sulla testa, in molti casi vanno a raggiungere la schiera dei senza-dimora, cosa che a sua volta fa gridare allo scandalo i difensori del decoro urbano e diviene pretesto per leggi e ordinanze persecutorie e liberticide, e per campagne allarmistiche intorno al tema dell’insicurezza, uno dei più insistenti nel discorso pubblico .
Conviene aggiungere che il sistema-razzismo è sempre sorretto sia da un apparato di leggi, norme, procedure, che hanno per effetto di inferiorizzare, discriminare, segregare, escludere migranti, rifugiati e minoranze; sia da dispositivi simbolici, comunicativi, linguistici, che sono in grado di agire direttamente sul sociale, producendo e riproducendo discriminazioni e ineguaglianze.
Parlare delle tante leggi che discriminano le persone immigrate e rifugiate sarebbe troppo lungo.
Perciò facciamo solo un esempio relativamente recente: la criminalizzazione da parte delle istituzioni italiane non solo delle ONG che praticano ricerca e soccorso in mare, ma pure di chiunque, anche individualmente, compia gesti di solidarietà verso i profughi. È indubbio che un tale luminoso esempio dall’alto non faccia che incoraggiare e legittimare intolleranza e razzismo “dal basso” (per così dire).
Pensate ai tanti episodi di barricate contro l’arrivo di richiedenti-asilo, ma anche alle sempre più numerose rivolte nei quartieri popolari, soprattutto romani, contro l’assegnazione di case popolari a famiglie non perfettamente “bianche”. In questi casi l’ingannevole formula della “guerra tra poveri” non potrebbe essere più assurda, visto che spesso, a istigare e guidare tali rivolte, sono militanti di Forza Nuova o CasaPound. Qui il circolo vizioso arriva fino al rafforzamento e legittimazione, pur implicita o involontaria, della destra neofascista.
La tendenza a costruire una comunità razzista (secondo l’espressione del filosofo Etienne Balibar) si accentua quando il senso civico è debole e le relazioni sociali basate sulla reciprocità e sulla solidarietà si sono inaridite, quando prevale la cultura dell’individualismo, dell’egoismo, del cinismo collettivi, quando le rivendicazioni sociali e i conflitti di classe (come si diceva un tempo) non hanno più lingua e forme in cui esprimersi.
Il mistero del salvataggio – Alessandro Ghebreigziabiher
C’era una volta un mistero.
E quando un mistero si fa cronaca, automaticamente e inevitabilmente fa notizia, signore e signori. Guadagna titoli e suscita stupore, e di conseguenza si cercano risposte, mentre i video e le immagini diventano virali.
Ma veniamo agli straordinari quanto incomprensibili fatti.
Siamo in alto mare, d’accordo?
In alto mare e in difficoltà, con tutto il terribile peso del prima e gli imprevedibili pericoli del dopo per chi si ritrovi tra i flutti senza amici, senza rete, senza nulla.
Ora, siamo schietti, d’accordo. Al netto di falsi moralismi, cosa ci hanno insegnato le nostre moderne e civili società con alacre e incessante impegno quotidiano? Che devi pararti il culo, fratello. Che devi pensare a te, sorella. Che sono tutti bravi a parole, ma poi la vita è dura, i buonisti crepano come funghi e ne resterà uno solo. E non è Boris Johnson, perché anche lui ha finito i gettoni.
Da cui il mistero di cui sopra, gente.
Un enigmatico rebus, aggiungo.
Perché tu sei un ragazzo di 17 anni con tutta la vita davanti, okay? Be’, diciamo che è quello che speri, va meglio? Perché se abbiamo detto di esser franchi, ricordiamo pure che il colore della pelle, quello degli eventuali soldi nel borsello e soprattutto la nazione di partenza nella grande corsa della vita, fanno tutta la differenza del mondo.
Ma a maggior ragione, giusto?
Hai 17 anni, vieni dal Togo e ti trovi in mezzo al mare, rendo l’idea adesso?
E cosa fai? Invece di seguire il manuale di sopravvivenza del saggio cittadino del terzo millennio, col cervello e soprattutto il cuore vaccinato contro ingenui moralismi e utopiche solidarietà, dopo aver visto morire ben sei dei tuoi amici, pensi bene – diciamo pure folle – di rituffarti in acqua per salvare una neonata di 4 mesi.
Sempre qualora sia ancora viva, giusto? E lo è, per fortuna della piccola, ma non è questo il punto, vero?
Il punto è il mistero nel mistero, tipo quegli strani tizi sul gommone che si dannano per trarre in salvo entrambi. Chi glielo fa fare? Ma magari c’è un tornaconto che ignoriamo. Si sa come fa questa gente, sono i narcisisti del bene, godono nel farsi ritrarre nel compiere buoni azioni, ma lo sappiamo tutti che ci sarà di sicuro qualche sponsor segreto, a sua volta occultamente finanziato dalle lobby della migrazione lucrata, che farà loro intascare stipendioni da paura mentre gli onesti individui intenti a preoccuparsi unicamente di se stessi faticano ad arrivare a fine mese.
Vi sembra giusto? Di certo no, ma non siamo qui per mettere ancora una volta alla berlina i professionisti della bontà a sei zeri, piuttosto il vero mistero nel mistero che non è tale: il ragazzo del Togo, dài.
Un attimo… non sarà mica un figurante pagato dagli investitori di cui sopra per inscenare il tutto? Oramai non ci si può meravigliare di nulla, al giorno d’oggi. Costoro sono capaci di inventarsi di tutto pur di convincerci che là fuori, al di là del monitor, più che della finestra di casa, ci sia davvero qualcuno che conti qualcosa oltre a noi, solo noi, sempre noi, viva noi!
Altrimenti, care signore e gentili signori, ciò che resta sulla scena è un adolescente come tanti nel mondo, in un momento di una difficoltà inaudita, il quale invece di preoccuparsi di se stesso e non pensare più a nient’altro – come società attuale comanda – mette a rischio la sua vita per salvare una bimba sconosciuta, quindi che non è una sorella, una cugina, una amica di sua cugina, la figlia della vicina di casa, la nipote dell’istruttore di basket, neanche quella mocciosa di sorellastra venuta a casa insieme alla nuova moglie di papà…
Be’, in tal caso è davvero un incredibile mistero.
Sempre di Alessandro Ghebreigziabiher leggete «Se Bakayoko non fosse stato un calciatore» (è nel colonnino qui accanto – sulla sinistra – Storie e Notizie)
Il Pm: «Le occupazioni in Val Susa dettate da ragioni umanitarie»
Chiesta la condanna di 19 attivitsti per l’occupazione di edifici pubblici destinati all’accoglienza di persone migranti, ma con le attenuanti dovute allo spirito solidale dell’azione
Non siamo ancora proprio ad una piena depenalizzazione della solidarietà, ma quasi. La Procura di Torino ha chiesto la condanna di 19 persone per aver occupato una casa e i locali di una chiesa per ospitare migranti che cercavano di passare in Francia. Tuttavia, il pubblico ministero ha chiesto al tribunale di considerare che gli occupanti abusivi fossero motivati da «ragioni umanitarie».
Il Pm Giuseppe Drammis ha chiesto pene detentive tra i sette e gli 11 mesi per 19 persone che avevano occupato una casa e le stanze di una chiesa per ospitare i migranti.
Allo stesso tempo ha fatto presente alla corte che gli imputati avevano agito per «motivi umanitari» e che questo dovrebbe essere considerato come una circostanza attenuante nella loro condanna.
A partire dal 2018, gli attivisti che soccorrono le persone migranti hanno occupato un’ex casa di riposo sulla statale 24 e i locali di una chiesa a Claviere in valle di Susa per ospitare i migranti che cercavano di attraversare il confine.
Gli edifici sono stati trasformati in un rifugio autogestito, con l’obiettivo di assistere i migranti che si trovavano a transitare nell’attesa di proseguire il proprio viaggio verso la Francia.
Per questo motivo, ha detto il procuratore, i 19 dovrebbero essere condannati, anche se il fatto che abbiano agito per motivi di particolare valore sociale e morale dovrebbe essere riconosciuto come un fattore attenuante.
«È vero che le due strutture occupate sono state utilizzate come sede di manifestazioni di protesta contro le politiche governative sulla gestione dei flussi migratori», ha osservato il procuratore. «Tuttavia, va riconosciuto l’obiettivo di fornire assistenza. Sono state aiutate persone in condizioni di estrema difficoltà. Pertanto, si è trattato di un’azione umanitaria», ha concluso.
I legali che rappresentano gli imputati hanno criticato le indagini condotte dai Carabinieri italiani.
«Appare molto chiaro che, fin dall’inizio, questa operazione è stata condotta contro persone che erano state profilate ideologicamente. Sono stati identificati coloro che occupavano le strutture, ma non le persone che le utilizzavano effettivamente. Anche quando i migranti sono partiti per le montagne, correndo rischi gravissimi, l’attenzione degli inquirenti è rimasta concentrata sulle persone la cui militanza politica era chiaramente di loro interesse», ha dichiarato il collegio difensivo.
L’avvocato Valentina Colletta ha sottolineato che «i testimoni dell’accusa hanno insistito nel menzionare l’ideologia anarchica o No TAV (il movimento che si oppone alla linea ferroviaria ad alta velocità tra Lione e Torino) come se fosse rilevante per le altre azioni del gruppo».
«La realtà è che tra il 2017 e il 2020 l’Alta Valle di Susa è stata attraversata da 10.000 migranti in viaggio verso la Francia. Circa 10 di loro sono morti nel tentativo», ha detto Colletta.
«Alcuni di coloro che erano lì hanno parlato di persone provenienti dall’Africa o dall’Asia che erano stanche, affamate, infreddolite, non attrezzate per affrontare il clima freddo delle montagne. Le istituzioni però si sono disinteressate, lasciando la gestione dell’emergenza alle persone di buona volontà». La sentenza del tribunale è prevista per ottobre.
Il decreto del ministero dell’Interno che azzera la trasparenza sulle frontiere
di DUCCIO FACCHINI (*)
A metà marzo la ministra Lamorgese firma un decreto che dichiara “inaccessibili” gli atti relativi alla “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, inclusa la cooperazione con Frontex. Gli effetti, cioè i dinieghi agli accessi civici, si vedono: “si vanifica un diritto dei cittadini” denuncia l’avvocata Giulia Crescini di Asgi
Il ministero dell’Interno vuole azzerare la trasparenza in tema di gestione delle frontiere e dell’immigrazione, inclusi gli atti che riguardano le forniture alla Libia o la collaborazione tra l’Italia e l’Agenzia Frontex. È quanto prevede un decreto del 16 marzo 2022 firmato, senza far troppo rumore, dalla ministra Luciana Lamorgese.
Con il pretesto di voler aggiornare la “Disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi”, il Viminale ha infatti incluso le materie più disparate, strumentalizzando il concetto di “sicurezza” o “difesa” nazionale e sopprimendo, di fatto, il diritto all’accesso civico.
Prendiamo ad esempio l’articolo 2 del decreto ministeriale. Nelle categorie dei documenti ritenuti “inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” sono stati inclusi anche quelli “relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Quella generica aggiunta finale -“inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”- fa la differenza.
E “Altreconomia” ha già potuto sperimentarne l’effetto. Il 21 luglio 2022 l’Agenzia industrie difesa (Aid), ente pubblico nato nel 2001 e “vigilato” dal ministro della Difesa, ha infatti negato l’accesso all’accordo di collaborazione firmato il 21 ottobre 2021 con la direzione centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata proprio presso il ministero dell’Interno, e finalizzato alla fornitura di mezzi e materiali alla Libia. “La valutazione è sostenuta normativamente anche dal decreto del ministero dell’Interno datato 16 marzo 2022”, ha scritto nel diniego il direttore generale dell’Agenzia, l’ex senatore Nicola Latorre.
Nel decreto c’è poi un’altra categoria “sensibile” che riguarda Frontex. Si tratta cioè di tutti quei “documenti relativi alla cooperazione con l’Agenzia Europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex, ndr), per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea coincidenti con quelle italiane e che non siano già sottratti all’accesso dall’applicazione di classifiche di riservatezza Ue”. Tradotto: qualsiasi atto che riguardi Frontex e il suo operato in Italia o con l’Italia potrà essere ritenuto “inaccessibile” e quindi negato.
L’avvocata Giulia Crescini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e in prima linea in tema di trasparenza degli atti del governo (e delle conseguenti battaglie legali per ottenerla), denuncia il tentativo di “vanificare il diritto all’accesso del cittadino”. “Le categorie di documenti inaccessibili sono state così ampliate nel decreto da frustrare profondamente lo spirito del Freedom of information act. Un limite interpretato poi in maniera assoluta dalla Pubblica amministrazione che invece non dovrebbe applicarsi per l’accesso civico”.
Un’altra categoria del decreto che potrebbe prestarsi a interpretazioni restrittive è quella delle “relazioni, rapporti ed ogni altro documento relativo a problemi concernenti le zone di confine […] la cui conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali”. Si tratta del confine italo-sloveno dove nel 2020 si verificarono le (illegali) “riammissioni informali attive”? O della frontiera alpina? O della zona di Ventimiglia? O degli hotspot?
Nel frattempo l’accordo tra l’Aid e il ministero resta sottratto all’accesso civico, così come un altro “patto” interno di cui abbiamo dato conto qualche mese fa, ovvero la convenzione dell’8 novembre 2021 tra il Viminale e la Guardia costiera per la cessione di tre “unità navali Sar classe 300” realizzate dal Cantiere Navale Vittoria e dal valore di 6,3 milioni di euro a beneficio della Libyan coast guard and port security. Anche su quello è chiusura totale. Come a dire, forniture d’oro ma a luci spente.
(*) da altreconomia