Il re è nudo, noi chissà ma comunque… griffati

di David Lifodi

«Quanto ha già corso la nostra tuta da jogging?» si chiede Deborah Lucchetti nella sua guida «I vestiti nuovi del consumatore», appena uscita per Altreconomia. La stessa domanda ce la potremmo rivolgere, e implicitamente Deborah lo fa, per tutti gli abiti che teniamo nel nostro armadio. Attraverso un’ideale azione di apertura e chiusura dei nostri scaffali, per il guardaroba che abbiamo in casa si aprono nuovi scenari, critici e alternativi, che ci permettono di non cadere nelle ingannevoli pubblicità delle marche più conosciute. In un ideale viaggio intorno al mondo, per ogni capo che indossiamo, Deborah Lucchetti ci mette in guardia grazie alla sua esperienza acquisita in anni di coordinamento della Campagna Abiti Puliti.

Non si tratta però di una semplice operazione di critica dei brand globali: le soluzioni alternative non mancano, non a caso si tratta di una guida ai vestiti solidali, biologici, recuperati per conciliare etica ed estetica del proprio guardaroba. E allora veniamo a conoscenza delle Export Processing Zones (Epz), zone franche di esportazione, dove diritti sindacali, condizioni di lavoro umane e garanzie sociali sono pura utopia, ma anche dei criteri che dobbiamo adottare quando andiamo a fare acquisti. Trasparenza, tracciabilità e composizione  del prezzo sono i capisaldi da cui partire, del resto ogni volta che compriamo qualcosa votiamo, come ripete spesso Alex Zanotelli. La guida non è uno strumento solo per i consumatori consapevoli ma serve anche da esortazione alle imprese per assumersi le proprie responsabilità, quelle di filiera in primis. Inoltre, si tratta anche di un utile vademecum per coloro che muovono i primi passi nel campo del consumo critico. Le istruzioni su come leggere un’etichetta che non riporti solo il generico «made in Bangladesh» (che già dalla provenienza dovrebbe far scattare qualche campanello d’allarme) e utili specchietti – dove si descrivono con precisione costi e profitti di marchio e distributore, materiali, lavoro, trasporti e dazi che stanno dietro un prodotto – rappresentano un’utile cartina di tornasole per il consumatore medio.

Infine, l’ultima parte della guida è dedicata a tutte le cooperative presenti sul territorio affinché le nostre città non si trasformino in un gigantesco shopping mall senza soluzione di continuità. E allora si consiglia di rifarsi il proprio guardaroba facendo un salto ad AltraQualità di Ferrara, oppure a Calenzano, dove la centrale Equoland importa da numerosi Paesi. Per rinunciare all’ossessione della novità si possono sfruttare le potenzialità dei mercatini dell’usato, in particolare quelli di Mani Tese, o rivolgersi alle cooperative sociali magari a partire dalle belle magliette prodotte dalla triestina Confini – L. 180 dove quel misterioso numero ricorda la legge voluta da Franco Basaglia e una lunga stagione di impegno per far uscire il disagio mentale dall’orrore della carcerazione.

Deborah Lucchetti

«I vestiti nuovi del consumatore»

Edizioni Altreconomia

pagg 96 , 4,50 euri

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