Il regista e il democratico, ovvero: la Classe non è acqua – di Mark Adin

La vicenda è nota: al Festival del Cinema di Torino il grande regista inglese non si è presentato per ritirare il premio. Il cineasta si è detto rammaricato ma allo stesso tempo convinto per il suo gesto, dettato dall’intransigenza. Informato sulla vicenda del licenziamento di lavoratori in una cooperativa, alla quale la direzione della rassegna ha esternalizzato alcune funzioni, il quasi ottantenne Loach ha scritto una ordinata letterina alla kermesse nella quale annunciava la sua assenza alla cerimonia di premiazione, motivandola: “… c’è un grave problema, ossia la questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile.”

Il direttore del Festival, altro valente regista, Gianni Amelio, ha preso cappello e si è prodotto in una serie di dichiarazioni di fastidio e rincrescimento. E gli hanno fatto coro in tanti.

Non è certo la prima volta che un premio non viene ritirato per protesta. Celebre fu Marlon Brando quando rifiutò l’Oscar per attirare l’attenzione pubblica sulle condizioni di vita dei Nativi Americani. E’ naturale che si sfruttino ribalte importanti per inviare messaggi importanti.

Il testo della lettera inviata alla Giuria di Torino e apparso sui giornali per intero è formalmente chiaro, oltre che del tutto legittimo. Come legittima, o perlomeno comprensibile, appare la reazione del nostro Amelio, in qualità di Direttore della rassegna, alla quale è improvvisamente mancato un evento clou della premiazione, uno fra i più rilevanti, e gli sono turbinati i cosiddetti.

E’ però un fatto che si sta parlando del regista che, forse più di ogni altro, ha ritratto la Classe, portandola con amore e dignità sul grande schermo in ruoli di protagonismo. Un uomo così, con la sua storia personale, poteva essere indifferente?

Figlio di operai, Loach ha rappresentato un mondo che sempre meno viene descritto nei media, che che è quasi scomparso dai mezzi di comunicazione di massa: ad esempio, dalla televisione. Persino il brutto film TV sul sindacalista Di Vittorio, con Favino che lo interpretava, riusciva a non parlarne, della Classe, ma a basarsi unicamente sulle vicende personali.

In questi anni il Lavoro è progressivamente scomparso, sinistramente rimosso dalla coscienza collettiva. Intendo il valore, la dignità del lavoro manuale, l’orgoglio di appartenenza alla Classe.

Lentamente, di giorno in giorno, il Lavoro è diventato una specie di vergogna di cui non si deve parlare: roba da perdenti e disperati. Meglio fare i calciatori, i politici, i tronisti, le olgettine, meglio le lotterie. Inutile dire che così non è. Inutile dire che gli operai non sono certo spariti di scena.

Mi è capitato di assistere ad una conferenza di Luciano Gallino, altro notevole ottantenne, sul tema della lotta di classe. E’ stato disarmante vedere, nel dibattito che ne è seguito, navigate professoresse roteare gli occhi, smarrite, svolgere accorati interventi attraverso i quali esprimevano la loro difficoltà a spiegare ai propri allievi cosa mai fosse la lotta di classe, chiedendosi dove caspita fosse finita.

Anche questo è il risultato della involuzione dell’idea di lavoro che si è rarefatta sino alla sua rimozione. Oggi le vicende Fiat, la cassa integrazione a pioggia, il dramma dei licenziamenti e il precariato diffuso riportano, con prepotenza, alla luce una realtà. Anche per gli insegnanti, appunto. Bisogna dunque ringraziare Marchionne per avere rimesso in pista uno dei protagonisti della economia e della vita sociale: la classe operaia? E deprecare Ken Loach per aver dato risalto a fatti oggettivi? Quest’ultimo, da sempre, dirige inequivocabilmente le luci dei set cinematografici su quella realtà, che ha conosciuto direttamente. So cosa significhi, come lui, essere figlio di operai, posso testimoniare in prima persona cosa ti resta dentro.

Abbiamo avuto, anche nella storia del cinema italiano, registi coraggiosi che hanno messo a fuoco storie di lavoratori. Tra gli altri, basti pensare al bravo Virzì. Ma il maestro inglese è davvero unico per rigore, storia, sapienza narrativa, coerenza stilistica.

Nel motivare la sua assenza, l’uomo di cinema sembra stigmatizzare l’uso del cosiddetto out-sourcing, ovvero della esternalizzazione delle mansioni, che nasconde un comodo espediente per de-sindacalizzare i lavoratori  e sottopagarli, per poter ribaltare su altri gli obblighi di legge, per ottenere il massimo di flessibilità ovvero licenziarli quando pare. L’utilizzo delle famigerate cooperative garantisce tutto questo.

L’istituto della cooperativa, da primigenio ente di salvaguardia della Classe è divenuto da una parte il gigantesco apparato delle Coop “falce & carrello”, e dall’altro la scappatoia di comodo che hanno ben individuato i datori di lavoro per avere il massimo della discrezionalità con il massimo dello sfruttamento legalizzato, via via svalutando e finendo poi per azzerarne il valore di solidarietà tra i lavoratori.

Tra i commentatori dei fatti torinesi si è inserito, tra gli altri, un giornalista apprezzato per linguaggio e stile, uno dei più popolari, vista l’assiduità dei suoi pezzi sul quotidiano La Stampa e le sue puntuali presenze da Fabio Fazio.

Gramellini, definendo la scelta di Loach “ Boicottaggio da museo” si è democraticamente espresso:“Ciò che condanna una certa sinistra radicale alla sconfitta non è mai la scelta degli obiettivi, ma quella dei metodi per raggiungerli: sempre gli stessi da sempre.”.

Non ho e non ho trovato sul web notizie chiare sulle vicende specifiche, neppure sulla pagina di USB, il sindacato autonomo citato dalla stampa nazionale, ma non credo siano così importanti. Se posso usare una locuzione inelegante, non me ne frega un tubo. Non è certo il punto.

Credo sia stato non solo importante, ma generoso e meritorio avere barattato i flash dei fotografi, la stellina in lungo in passerella, le blande intervistine di rito, la consegna di una statuetta o di una targa, con la denuncia di questa porcheria delle esternalizzazioni e dell’uso spregiudicato delle cooperative.

Nella cassa di risonanza del rifiuto del premio, nella pur comprensibile incazzatura dei dirigenti festivalieri si è parlato e ancora si parla di sfruttamento dei lavoratori, restituendo dignità al lavoro e portandolo alla ribalta.

Questo è ciò che conta. Questo è valore.

Sorprende che non sia stato riconosciuto anche da qualche frequentatore assiduo dell’indignazione democratica.

 

Mark Adin

 

 

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