Il senso della punteggiatura in Nicaragua

L’utilizzo della virgola e il tradimento degli ideali rivoluzionari.

di Bái Qiú’ēn

Io so parlare nella lingua del mio parlare familiare, / che è pane, acqua, sale e fiamma della casa. (Rubén Darío, A Lucía)

La virgola, questa porta girevole del pensiero. (Julio Cortázar)

Nei giorni delle proteste popolari del 2018 in Nicaragua circolava un chile, una barzelletta “piccante”, che dava il senso della lontananza, se non proprio del netto distacco tra i dirigenti e i diretti.

Un pomeriggio, il maggiordomo di casa Ortega, che è anche la casa presidenziale, bussò alla porta dello studio del presidente e, dopo aver ricevuto il necessario «Adelante», entrò e comunicò: «El pueblo està en el malecón, Presidente», il popolo è al lungo-lago.

«Bueno, bueno…».

Dopo una mezzora, stessa scena: «El pueblo està al estadio, Presidente», il popolo è dallo stadio.

«Bueno, bueno…».

Altra mezzora: «El pueblo està en el parque, Presidente», il popolo è arrivato al parco (El Carmen).

«Bueno, bueno…».

Cinque minuti dopo, aprendo la porta senza bussare: «El pueblo, Presidente».

***

Senza scomodare il vecchio Rousseau che denunciava l’infedeltà dei rappresentanti eletti e definiva “degradante” il sistema della delega politica, per verificare e attestare il sempre più evidente deterioramento ideologico progressivo con il connesso tradimento degli ideali rivoluzionari da parte degli attuali governanti del Nicaragua, si può analizzare l’uso di un piccolo elemento ortografico che può sembrare insignificante: la virgola (coma in spagnolo).

Il dizionario della Real Academia Española lo definisce: «Segno ortografico (,) utilizzato per delimitare, all’interno della frase, alcuni elementi», ma lo si utilizza tra l’altro «per segnare la separazione di qualche elemento della frase».

Nei primi tempi dopo il ritorno di Daniel alla presidenza della Repubblica iniziò a essere propagandato e diffuso a tappeto lo slogan «El pueblo Presidente». Poteva essere letto e interpretato in vari modi: «El pueblo (debe ser) presidente», «(Queremos que) el pueblo (sea) presidente» e via dicendo. Indicando un auspicio, un desiderio, un sogno, un obiettivo da raggiungere. A tutti gli effetti Daniel, Rosario e il loro seguito di cortigiani lo spacciavano in forma assertiva come «El pueblo (es) presidente». A tutti gli effetti, il termine «presidente» era interpretato come un qualificativo del soggetto «pueblo». Per confermare il concetto, alle volte compariva pure «El pueblo-presidente», con il trattino che in teoria unifica e parifica i due termini (il popolo è presidente, il popolo è sovrano, il popolo comanda): «Con Sandino, con el Frente, con el pueblo-Presidente».

Come si legge nelle pagine web dell’Asamblea Nacional: «el autor de la frase el “Pueblo Presidente” es el Comandante Daniel Ortega». Forse, però, il suggerimento venne senza dubbio da Rosario, all’epoca non ancora vicepresidente né co-presidente. È assai improbabile, però, che uno dei due o entrambi, ricevano il Nobel per la letteratura.

Le masse dovevano essere convinte con questo slogan semplice e onnipresente di avere riconquistato quelle libertà negate o limitate dal neoliberismo del periodo 1990-2006: quale libertà più grande di essere tutti allo stesso modo presidenti? Era evidente lo stretto legame con l’idea libertaria espressa da Lenin nel lontano 1917: «In regime socialista tutti governeranno, a turno, e tutti si abitueranno ben presto a far sì che nessuno governi» (Stato e rivoluzione).

Alla prova dei fatti, lo slogan era ed è fittizio e falso, poiché la democrazia diretta partecipativa nel Nicaragua orteguista era ed è soltanto una pura illusione. Come pure il legame storico e ideologico con Sandino. Nel 2007 lo stesso Frente non era più quello della lotta antisomozista né quello degli anni Ottanta del secolo scorso. Erano ricordi lontani e sempre più appannati, utili soltanto per la propaganda. O, per meglio dire, per il marketing politico indispensabile per vendere l’eterno “prodotto Daniel”, possibilmente senza concorrenza: «No tendrás otro DOS excepto que Yo».

Indicativo di questa realtà è la trasformazione fin dal 2008 dell’area attorno al parque El Carmen in un vero e proprio bunker con ben nove posti di blocco su ogni via di accesso, attentamente custoditi da poliziotti super-armati e rafforzati con barriere di sicurezza in jersey nei giorni delle proteste popolari del 2018. Per non parlare del costante aumento degli organici della stessa polizia dal 2007 in poi. Come se ciò non bastasse per proteggere i regnanti, a Ocotal il 17 gennaio 2025 quasi 1.500 ragazzi (tra cui alcune ragazze) hanno giurato come poliziotti volontari (pochi giorni dopo altri 3.600 a León): con il volto coperto da un passamontagna o da un fazzoletto: «Ratifichiamo la nostra lealtà e obbedienza al leader supremo Comandante Daniel Ortega Saavedra, Presidente della Repubblica e alla compañera Rosario Murillo Zambrana, Vicepresidente della Repubblica». Stando alle parole della stessa Rosario, questo è stato soltanto il primo passo di un processo che proseguirà nelle settimane successive: «Continueremo con nuovi giuramenti della nostra eroica polizia volontaria». L’addestramento a sparare e l’apprendimento dell’inno della polizia è stata l’unica forma di preparazione. Una forza ufficialmente affiancata alla polizia ufficiale, ma a tutti gli effetti un corpo paramilitare per la protezione del caro leader, divinità suprema e inquestionabile del Nicaragua. L’assonanza tra Dios e DOS (iniziali di Daniel Ortega Saavedra) completa il quadro simbolico.

Non si tratta di una interpretazione malevola, poiché lo stesso Daniel ha affermato in varie occasioni: «El pueblo es Dios, la democracia es el pueblo, yo soy el pueblo: el pueblo presidente». Poiché io sono il popolo, io sono Dio. Qualche secolo fa, un regnante francese si era limitato a dichiarare «Lo Stato sono io» e tutti conosciamo la famosa frase del marchese del Grillo «Io sono io e voi non siete un…».

La formula orteguista afferma che il potere viene da Dio attraverso il popolo, per cui la democrazia si trasforma ipso facto in teocrazia (populista): Dio è chi governa in nome e per conto del popolo. Un Dio assai capriccioso e arbitrario, oltre che onnipotente e intoccabile. Cosa potrebbe essere più arbitrario che creare nuovi poliziotti volutamente irriconoscibili, i quali potrebbero commettere azioni illecite di qualsiasi tipo protetti dall’anonimato? Un vero e proprio “scudo” che consente ai regnanti Daniel e Rosario di utilizzarli a proprio piacere e volere.

Dal 2007 in avanti, man mano che gli anni passarono, la coppia reale iniziò a vedersi sempre più come eterna, intramontabile, e nello slogan comparve una insignificante virgola che trasformò l’aggettivo «presidente» in sostantivo e lo rese un soggetto distinto dal «pueblo». Qualcuno potrebbe pensare a un rigurgito di analfabetismo ortografico, ma la realtà di quella virgola si incarica di svelare le profonde motivazioni politiche dello slogan: un inganno per i gonzi.

Già a livello politico, «El pueblo Presidente» è a tutti gli effetti interclassista ed ecumenico. Sarebbe troppo lungo e forse inutile ragionare sulla differenza socio-politica tra «popolo» e «classe»: è sufficiente ribadire che tutti gli abitanti del Nicaragua sono «popolo», a prescindere dalla «classe» sociale alla quale appartengono. «Soy trabajador de la ciudad, artesano como se dice en este país», affermò con chiarezza Sandino nel Manifiesto de San Albino (1° luglio 1927), identificandosi con chiarezza e senza infingimenti come un componente della classe lavoratrice sfruttata e oppressa. Una distanza siderale è innegabile tra queste parole del Generale degli Uomini Liberi e lo slogan degli attuali regnanti che pretendono di esserne i degni successori.

Cercando di scorgere qualcosa di positivo in questo triste e sconsolato panorama, si potrebbe pensare che lo slogan appartenga al filone letterario del cosiddetto “realismo magico”, confondendo volutamente all’interno di un contesto verosimile i confini e i limiti tra la fantasia e la realtà. Ma, finché è “letteratura” è un conto, altro è quando si tratta di realtà fattuale e tangibile, che incide sulla vita di ogni singola persona e sull’intera comunità. Nel generico «popolo» sono compresi gli oppositori (di vari colori), almeno fino a quando non sono privati della loro nazionalità e cancellati dai registri anagrafici. In tal modo si rende falso e bugiardo il vocabolo «popolo», assegnandolo esclusivamente ai sempre più scarsi sostenitori dell’orteguismo.

Tornando alla nostra virgola, a livello grafico-simbolico, questo segno parte da un punto e si dirige verso il basso, con una piccola curva (o svolta) a sinistra. Non a caso, dal 27 febbraio 1990 al 2007 Daniel aveva lanciato lo slogan «continueremo a governare dal basso», ponendosi come alternativa di sinistra al neoliberismo imperante. Ma è di certo eccessiva questa interpretazione simbolico-politica, poiché nel Nicaragua attuale il sistema economico è essenzialmente neoliberista, anzi iper-neoliberista: lo stesso FMI, il gendarme ufficiale del capitalismo mondiale, in svariate occasioni ha approvato e sostenuto il carattere le politiche economiche e sociali orteguiste.

Non è dato sapere quando e da chi sia stata inserita la virgola, che la Real Academia Española considera il segno più importante della punteggiatura. Di certo non da un analfabeta, poiché il mutamento del senso non è secondario né casuale, essendo un simbolo che segnala al lettore come deve leggere o “intonare” una determinata frase.

«La coma, esa puerta giratoria del pensamiento»: l’aforisma di Julio Cortázar sottolinea l’importanza dell’uso corretto di questo segno grafico all’interno di un testo. Alle volte, infatti, differenzia e attribuisce un significato a un elemento a scapito dell’altro. Ciò non dipende dalla lettura errata da parte del lettore, bensì dalla scelta dell’autore. È proprio il caso della frase senza verbo «El pueblo Presidente», che con la virgola in nessun caso può essere letta come «El pueblo, es Presidente».

Tra le 40 “regole” che Umberto Eco indicò in una sua «Bustina di Minerva», consigliava ironicamente: «Metti, le virgole, al posto giusto». Tutte le sue indicazioni erano veri e propri divertissement (es.: «Una frase compiuta deve avere»), ma il discorso cambia e non è affatto scherzoso quando si utilizza uno slogan che deve essere al contempo immediato, concreto, efficace ed efficiente.

È pur vero che alcune volte torna senza la virgola, ma è talmente raro che è come se non accadesse e resta ufficialmente «El pueblo, Presidente».

Per quanto nella lingua spagnola la punteggiatura non sia usata esattamente come in quella italiana, le regole per l’uso della virgola sono sostanzialmente identiche. Questo piccolo segno grafico indica comunque una separazione, un distacco tra due parti della stessa frase: «el pueblo» da un lato e «presidente» dall’altro (come a dire «Il fiume, Po»). Pure il trattino inserito tra i due termini, se in genere è considerato unificatore, è in realtà ambiguo poiché può essere interpretato come una divisione tra due elementi anche contrastanti.

All’inizio della sua interessante raccolta di saggi El habla nicaragüense (Libro libre, San Josè de Costa Rica 1989), riferendosi al periodo precolombiano Carlos Mántica scriveva: «Eravamo un popolo senza libri. Un popolo senza storici e in questo senso, un popolo senza storia. La nostra storia è parlata e la parola è la nostra storia» (p. 19). Nelle pagine successive si può leggere: «Il resto della lingua nicaraguense vive in continua evoluzione e cambio. Molte delle sue parole nascono da un evento sociale, da un evento politico, una persona, un prodotto, una canzone. Nascono dalla vita quotidiana» (p. 41).

Poiché il linguaggio è ciò che maggiormente identifica una cultura, un modo di sentire, e, quindi, un popolo, una evidente retrocessione la si nota senza problemi: se negli anni Ottanta del secolo scorso era onnipresente il termine «compañero» (assai spesso accorciato in «compa» o, come vezzeggiativo, «compita») che dava un senso di eguaglianza sociale annullando l’alto e il basso (tutti erano «compas»: chi comandava e chi era comandato), dopo la sconfitta elettorale del 1990 sono però stati ripristinati il «don» e la «doña». Vale la pena ricordare che «compañero» non identifica il compagno di partito.

Con il ritorno di Daniel alla presidenza soltanto in parte si è ripreso l’uso di «compañero/a», ma continua a essere assai più diffuso il «don» anteposto al nome di battesimo, riservato nella lingua spagnola alle persone di rango elevato (derivato dal latino domĭnus, signore). Poiché «compañero» è relativo a ciascun individuo che appartiene a una determinata collettività, l’uso del «don» è indicativo del mutamento classista e antirivoluzionario restaurato dal neoliberismo e sostanzialmente mantenuto dall’orteguismo. Come pure si sono conservati «doctor, licenciado» ecc., stabilendo e sancendo una disuguaglianza sociale in base al titolo di studio, in un Paese dove ancora esistono numerosi analfabeti e il tasso di abbandono scolastico è uno dei più elevati al mondo. (vale la pena ricordare che già in una canzone della campagna elettorale del FSLN nel 1990 era presente «Vamos con el doctor Sergio Ramírez Mercado»).

Sempre negli anni Ottanta era d’uso comune il termine «protagonista» per coloro che erano inseriti in programmi sociali di sostegno (soprattutto nella lotta alla povertà), indicando che la solidarietà si concretizza in due sensi (feedback); oggi è però utilizzato esclusivamente il termine «beneficiario», che identifica una persona che riceve un favore o un dono dall’alto. Si tratta di un evidente regresso dalla solidarietà alla carità: «Danos hoy el pan nuestro de cada día» (ossia riso, fagioli, zucchero del paquete AFA). Un regresso sancito dalla Neolingua orteguista, occulto ma pervasivo strumento di manipolazione, che evidenzia la diversità di classe in un sistema economico-sociale che si auto-definisce socialista.

Se non fosse tragico, si potrebbe scherzare sulla parola coma (dal latino comma, e questo dal greco kómma, taglio), che in spagnolo non significa soltanto virgola, ma pure: «Estado patológico que se caracteriza por la pérdida de la conciencia, la sensibilidad y la capacidad motoria voluntaria» (dizionario RAE). Politicamente parlando: stato comatoso del senso originario di solidarietà e di partecipazione.

Per quanto la virgola sia stata introdotta dagli antichi romani, la punteggiatura come la conosciamo oggi è una “invenzione” dell’epoca moderna (dovuta all’introduzione della stampa a caratteri mobili) e la sua importanza è sottolineata dal detto (forse di origine toscana) che tutti noi conosciamo «Per un punto Martin perse la cappa» (Para un punto Martín perdió la capucha). Detto abate del XVI secolo decise di esporre un cartello di benvenuto sul portone d’entrata del convento, con la scritta latina «Porta patens esto. Nulli claudatur honesto» (La porta resti aperta. Non sia chiusa a nessun uomo onesto). All’epoca il latino era ormai in quasi totale disuso come lingua utilizzata dal popolo e l’uso della punteggiatura era una vera e propria novità che soltanto gli eruditi conoscevano, per cui l’artigiano che ricevette l’incarico di realizzare il cartello scrisse: «Porta patens esto nulli. Claudatur honesto», equivocandosi sulla collocazione corretta di un misero e insignificante puntino. Purtroppo la scritta aveva assunto un senso completamente diverso e opposto (La porta non resti aperta a nessuno. Sia chiusa all’uomo onesto). Il frate fu incolpato dell’errore e le alte gerarchie cattoliche lo “spretarono” immediatamente.

Non è pertanto secondaria l’aggiunta della virgola nello slogan «El pueblo Presidente», poiché gli fa perdere il significato originario, trasformandolo in tutt’altro e, in ultima istanza, facendolo suonare vuoto di contenuti. Avviene esattamente come per gli slogan della Neolingua in 1984 di Orwell, composti da due significati che si negano a vicenda: «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza», «La guerra è pace».

Nel corso della celebrazione del 45° anniversario del trionfo della Rivoluzione Popolare Sandinista, il 19 luglio 2024, nel suo discorso in perfetta Neolingua demagogico-populista Daniel aveva affermato: «El pueblo manda, ordena… y Daniel obedece». Se in precedenza aveva affermato «El pueblo es Dios, yo soy el pueblo», pare logico interpretare: io comando, ordino… e obbedisco ai miei stessi ordini. «Yo soy el Alfa y la Omega, el principio y el fin».

Amen?

***

Non esistendo alcuna possibilità di competere a livello elettorale né di esprimere il proprio dissenso con manifestazioni pacifiche, le decisioni politiche di Daniel e Rosario spingono sempre più verso una nuova guerra civile, alternativa che in realtà nessuno vuole, se non loro stessi per avere la scusa di scatenare una caccia a tappeto contro tutti gli oppositori ed eliminare qualsiasi possibile mutamento dello statu quo, per creare in buona sostanza un deserto chiamato pace.

Cosa resta di una rivoluzione che aveva entusiasmato migliaia di persone in tutto il mondo? È assolutamente anti-rivoluzionaria la creazione di un nuovo corpo di protezione paramilitare con membri in incognito, anonimi, vestiti con maglietta bianca e pantaloni neri e scarpe nere, con il volto nascosto dal passamontagna (perciò detti encapuchados). Non pare casuale il momento: proprio nei giorni dell’insediamento di Donald Trump alla presidenza USA, con l’annunciato rientro forzato di numerosi migranti da tenere sotto controllo (si calcola che possano essere circa 400mila). Del resto, il giorno del loro giuramento di fedeltà incondizionata ai regnanti (17 gennaio), è di poco successivo al 15 gennaio, quando il nuovo Segretario di Stato Marco Rubio ha definito il governo orteguista come «una minaccia agli interessi degli Stati uniti». Se Trump nel suo discorso d’insediamento non ha fatto alcun riferimento diretto al Nicaragua (affermando però che «Innanzitutto, dichiarerò un’emergenza nazionale al nostro confine meridionale. […] Manderò i militari al confine meridionale per respingere la disastrosa invasione del nostro Paese»), Rubio aveva specificato i motivi relativi alla minaccia che rappresenta Daniel per gli USA: «Numero uno, a causa della pressione migratoria. Numero due, perché il regime nicaraguense consente alle persone di volare in Nicaragua senza visto da qualsiasi parte del mondo e poi di arrivare negli Stati Uniti».

La “guerra ibrida” basata sulla massiccia migrazione clandestina negli USA, scatenata in modo avventato da Daniel in funzione anti-Biden, si sta rivelando una mossa controproducente che potrebbe portare persino a una tensione con il Messico, dove saranno “scaricati” tutti gli espulsi (o deportati che dir di voglia). Cosa potrebbe accadere se Daniel e Rosario impedissero il rientro di questi espulsi? Il governo messicano sarà disposto a farsene carico? Daniel e Rosario (con il loro supposto pragmatismo) avranno la capacità e la volontà di negoziare con Claudia Sheinbaum e con Donald Trump? Cosa potrebbe “offrire” come contropartita alla presidente messicana e a quello USA? A Trump potrebbe concedere la definitiva rinuncia all’irrealizzabile canale interoceanico, ma a Sheinbaum?

Altre quattrocentomila persone che rientrano in Nicaragua sono difficili da controllare e il clima socio-politico interno potrebbe tornare teso e problematico come sette anni or sono. Quattrocentomila persone che non trovano lavoro, che non hanno un reddito, che già erano scappate dalla Terra promessa «con caudalosos ríos de leche y miel» …

Sempre durante le proteste popolari del 2018, nel periodo di massima partecipazione e intensità circolava un altro chile: Sai perché Garibaldi* indossava la camicia rossa? Se restava ferito i suoi uomini non se ne accorgevano e continuavano a combattere.

Ecco perché Daniel indossa sempre pantaloni color caffè.

* Nel periodo del suo esilio latinoamericano il già famoso Garibaldi giunse al porto di San Juan del Norte sull’Atlantico il 14 maggio 1851, recandosi poi a Granada, Masaya, León, Chinandega e restando in Nicaragua fino al successivo 2 settembre: «Viaggiavo in quell’epoca con il nome di Giuseppe Pane […] prendemmo una piroga rimontando lo stesso fiume San Juan sino al lago del Nicaragua. Traversammo il lago e giungemmo finalmente a Granada» (Memorie autobiografiche, G. Barbèra editore, Firenze 1888, p. 267 [quarta edizione]).

Redazione
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