Il sorriso del caimano

Fabio Troncarelli si aggira (con l’aiuto di Barthes) fra bambini morti in culla (con il vaccino dei roghi contro le streghe), berlus-cloni, la semiosi e l’ossessionante parola «simpatico».

Per la mia generazione Roland Barthes è stato un punto di riferimento. Ho sempre trovato illuminante il suo metodo: occuparsi di un dettaglio della realtà apparentemente insignificante, che invece è rivelatore, svelando quello che sfugge a un osservatore superficiale. Mi è ritornato in mente quest’uomo mite e triste, che ho avuto il privilegio di conoscere, mentre mi sentivo confuso e frastornato dall’orgia, dal delirio mediatico che si è scatenato intorno alla salma di Berlusconi, prima, durante e dopo i suoi agghiaccianti funerali di Stato.

Cercando di riprendermi dall’overdose di ipocrisia e di isteria che mi ha schiacciato, all’improvviso mi si è fissata in testa una parola, che sembrava il ritornello stupido di una canzonaccia che non riesci a dimenticare, anche se non ti ricordi neppure che cosa voleva dire. Mi ronzava nelle orecchie, come un’ossessione «simpatico… simpatico… simpatico…”» come se mi si fosse appiccicata a partire dai miasmi che mi avevano asfissiato per giorni e giorni.

Per me simpatico è un volto gentile che ci sorride e ci riempie di nostalgia. Ma non era questo il ricordo del viso del defunto.

L’altra mattina, dopo un caffè doppio, mi sono messo al computer e ho fatto una ricerca, digitando la parola-chiave “simpatico” insieme, ovviamente, a “Berlusconi”. Non l’avessi mai fatto! Sono stato sommerso da un diluvio di occorrenze, di citazioni, di frasi memorabili che mi hanno veramente mandato per storto il caffè e la digestione. Vi trascrivo qualche piccolo esempio, pochi per carità, per non annoiarvi.

«La sua simpatia e il suo sorriso sornione sono stati alcuni degli emblemi della Milano da bere degli anni Ottanta. In tanti, all’estero, hanno identificato l’italiano medio con il suo volto. Furbo, simpatico, capace di rimanere sempre in equilibrio»: Paolo Oggioni, “Proiezioni di Borsa”, 12 giugno 2023.

«Berlusconi non portava maschere. Sia che scherzasse con i leader del mondo nella foto ufficiale del G7. Sia che girasse per la tipografia di “Sorrisi e Canzoni” da poco acquistato, chiacchierando con gli operai come uno di loro. Questa rara sincerità lo rendeva simpatico. Perfino agli avversari (e verificate i commenti). La simpatia, lo dico da analista del cuore umano, uno non se la può dare. Esattamente come il coraggio. Non ci si può “rendere simpatici”. O lo sei. O non lo sei. La simpatia si apparenta alla verità»: Antonella Boralevi, “Huffington Post”, 14 giugno 2023.

«Zaia: ‘Berlusconi uomo geniale e simpatico’…»: Simona Buscaglia, “La provincia pavese”, 14 giugno 2023

«Era un pomeriggio di settembre 2010. Col cielo pulito e il sole che scalda Roma. Silvio Berlusconi, pantaloni sportivi e camicia blu, era tra i giovani di destra arrivati alla festa di Atreju. Si muoveva sul palco come un attore consumato. Adorava sedurre, il Cavaliere. “Ragazze, sono simpatico, ho un po’ di grana e la leggenda dice che ci so anche fare…”. Era un pezzo di un repertorio collaudato. Giorgia Meloni, allora semplice padrona di casa, guardava imbarazzata, a tratti infastidita»: Arturo Celletti, “L’Avvenire”, 12 giugno 2023.

Se non vi basta vi passo un po’ di Wikiquotes, citazioni di Wikipedia esplicitamente dedicate a Berlusconi:

«Berlusconi è simpatico. Cordiale. Estroverso»: Calisto Tanzi.

«Berlusconi è simpatico, ma governare non è il suo mestiere»: Willer Bordon.

«Io ho un figlio adolescente con tanto di amici adolescenti e per loro Berlusconi è un mito perché dicono che è simpaticissimo: è un politico che loro capiscono, parla una lingua che loro capiscono, racconta le barzellette ed è anche super potente da un punto di vista sessuale. I ragazzini lo ammirano, come la maggior parte degli italiani che vorrebbero essere come lui. Quanti italiani a 70 anni si sognano di andare con le donne dalla mattina alla sera? Pochissimi! Per quelli che lo amano è un mito e sta conquistando anche i giovani»: Gabriella Carlucci.

«Mi è simpatico. Non nega se stesso, parla un linguaggio franco, non si è piegato alle forche caudine dell’ ipocrisia. Ma non è un leader politico. È un miliardario che investe i suoi denari nella politica»: Jean-Marie Le Pen.

«Una volta a Palazzo Chigi, Berlusconi mi disse: “Marco, tu mi odi. Lo capisco da come mi guardi”. Io gli risposi: “Ti sbagli. Dal punto di vista personale mi sei simpatico, come imprenditore ti ho sempre ammirato. Il problema è che non condivido nessuna delle tue idee politiche» : Marco Follini.

«Berlusconi è una simpatica e gentile persona, con tratti di generosità e un’elevata capacità imprenditoriale nel suo settore. C’è un solo problema, ed è che Berlusconi è un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica»: Eugenio Scalfari.

Simpaticoooooooooooo? Manco fosse morto Jack Lemmon o Gigi Proietti! Perché sarebbe simpatico? Perché ti guarda con quegli occhietti insolenti, da faina, che cercano sempre di fregarti? Basta solo osservare attentamente le sue foto, qualunque foto, presa in qualunque momento. Quando è giovane e non è ancora pelato, ti fissa sempre con sguardo odioso, falso, smielato, strafottente. Quando è vecchio, coi capelli finti, tutto rifatto, col riso di plastica imbalsamato e gli occhi divenuti più piccoli, stritolati, paralizzati dal botulino, che impedisce ogni movimento nella faccia, addirittura è peggio: mette paura perché questo sorriso fisso, stereotipato, sembra quello di un teschio che non ha più labbra, non ha più carne intorno ai denti.

S-i-m-p-a-t-i-c-o… Io mi sento male. Mi pare di essere circondato da persone ipnotizzate, che parlano e si muovono come robot. Da zombies che vogliono divorarmi e ridono sgangheratamente. E’ questa l’allegria? Questa la gioia? La risata isterica davanti alla risata minacciosa e/o di plastica di un individuo che pensa che le donne e gli uomini sono tutti a sua disposizione? Che allegria ragazzi! La notte di Valpurga in confronto è uno scherzetto! E il sorriso di Attila è roba da dilettanti. Che bello sganasciarsi perché chi hai di fronte pensa che sei un cretino da manipolare, se sei un uomo, o un trastullo sessuale, se sei una donna. Che risate!

Bene, torniamo a Roland Barthes. Grazie al suo ricordo salvifico ho capito che quello che mi ossessionava era il fatto che nessuno si fosse accorto di quanto fosse emblematica, significativa questa parola nella situazione in cui risuonava da tutte le parti come un’eco. Di quanto fosse un “segno” che la semiologia poteva decifrare, mentre gli altri esseri-subumani che la pronunciavano non ci riuscivano. Non dico questo perché sono accecato dai pregiudizi o perché le mie idee politiche non coincidono con il caimanus ridens. Dico questo perché, a pelle, osservando terrorizzato questo sguardo da predatore, la parola “simpatico” è l’ultima che mi verrebbe in mente. Del resto persone diverse da me, con idee politiche più vicine a quelle di Berlusconi delle mie, l’hanno sempre detto: valga per tutti un premio Nobel, Mario Vargas Llosa, che ha confessato: «Berlusconi, … è un personaggio caricaturale, un buffone da commedia dell’arte. Io sono un liberale di destra ma non mi sento certo rappresentato da uno come lui».

Ma se questo è vero, perché allora tutti, ipnotizzati, schiavi di un incantesimo malvagio, ripetono come un mantra che era tanto, tanto simpatico?

E’ qui che Roland Barthes ci aiuta. Quest’aberrazione dipende dal processo di “semiosi” che è stato imbastito intorno a quest’uomo, da lui stesso e dai suoi seguaci. La semiosi – che si potrebbe chiamare “attribuzione di significato” – è il processo collettivo che attribuisce un senso a quello che accade. Per esempio: siamo appena usciti dalla terribile pandemia del Covid. Ci chiediamo sgomenti: qual è il senso di tutto questo? La domanda è collettiva, non individuale. Tutti siamo infatti interessati a dare una risposta ragionevole, credibile a questo angoscioso interrogativo. Facendo così attiviamo un processo di “semiosi”, nel qual cerchiamo tutti insieme di dare un significato al caos degli eventi. Cerchiamo di partire da un fenomeno inesplicabile, un “segno” che non sappiamo leggere, la pandemia, per attribuirgli un senso, qualunque esso sia. In questo processo spontaneo e naturale, che può portare a risultati opposti, si può inserire qualcuno che sfrutta la necessità di dare un significato perverso al segno-sintomo che ci è apparso, per decodificare in modo aberrante ciò che tutti hanno davanti agli occhi. Se riesco a sfruttare l’angoscia e lo smarrimento delle persone, fornendo una spiegazione che sembra logica e invece non lo è, riesco a «inoculare» (come dice Barthes) un altro virus, quello di un delirio che sembrerà vero. Quando il virus del delirio avrà fatto la sua incubazione, scatterà automaticamente una nuova fase: il processo che ci ha portato a elaborare la visione delirante verrà dimenticato e i suoi risultati sembreranno la cosa più naturale del mondo: qualcosa che è sempre esistito, che smentisce ogni altra domanda, ogni forma di spirito critico. Sembrerà evidente e naturale un delirio artificiale e nessuno ci tornerà più sopra. Tutti, convinti di cose false, sguazzeranno nella pura tautologia pensando: se le cose sono come vengono presentate è evidente che sono così. In questo modo il posto della realtà verrà preso dal mito che trasformerà tutti in mito-latri, adoratori del mito. Ma anche in possibili nuovi mitomani. E’ evidente infatti che vi possa essere qualche adoratore del mito più scatenato o spregiudicato di quello che lo ha creato per primo, che scavalcherà il suo maestro ed andrà oltre, sfruttando la passività di tutti, inventando nuovi miti, sempre più spettacolari, a cui tutti crederanno come hanno creduto al mito iniziale. Così un nuovo mitomane guiderà gli uomini dove vuole, come il pifferaio magico che porta via al suono della musica i bambini della città di Hamelin.

Facciamo un esempio. Può succedere che un neonato muoia improvvisamente in culla per cause inesplicabili. Al giorno d’oggi si cerca di spiegarlo con teorie scientifiche, basate su criteri di attendibilità condivisi dalla comunità scientifica. Ma nel passato, senza queste teorie, che cosa restava in mano ai genitori sconvolti per la perdita del figlio? Di fronte a un’angoscia senza nome, la soluzione più semplice era pensare che il bambino fosse morto perché qualcuno lo aveva ucciso. E dal momento che non si trovavano tracce dell’azione delittuosa, la soluzione più semplice era pensare che alcune persone avessero segreti poteri che permettevano di uccidere a distanza, senza lasciare traccia. Quest’idea poteva generalizzarsi facilmente ed essere creduta, dal momento che, sin dall’epoca preistorica, l’umanità era fermamente convinta che esistesse la magia e che fosse possibile usarla per fini malvagi. Da qui al rogo della prima strega che capita il passo è breve. Per farlo nelle dovute maniere, bisogna inventarsi un’istituzione autorevole, come ad esempio l’Inquisizione, che ha il compito programmatico di scovare la strega e consegnarla al giudice per condannarla. L’evento è senza dubbio drammatico e la ricerca del colpevole può essere crudele. Ma se una cosa del genere si ripete con regolarità, alla fine può essere vissuta da tutti senza particolare turbamento: può essere considerata una specie di vaccino, una medicina da prendere tutti i giorni per stare meglio. E l’Inquisizione stessa può essere accettata come se fosse la polizia, la guardia di finanza, i pompieri: l’unico rimedio per impedire mali peggiori.

Torniamo a noi. Il virus delirante della simpatia forzata è stato inoculato a suo tempo da chi voleva essere simpatico a tutti i costi perché non lo era affatto. Dopo la sua incubazione si è manifestato con aggressività ed è stato propagato grazie a una serie di portatori-sani (si fa per dire) che l’hanno ripetuto strillando a squarciagola. Alla fine, visto che gli altri politici non erano mostri di simpatia, il mito si è imposto sulla realtà ed è divenuto endemico. Neppure la morte del presunto simpatico riesce a schiodarlo dalle menti.

Ma allora, direte voi, è possibile che restiamo sempre vittime del primo ipnotizzatore da strapazzo? Non è così. E’ difficile che un virus anomalo riesca a sopravvivere e a svilupparsi se ci sono anticorpi adeguati. Le difese immunitarie si abbassano solo in particolari momenti. Nel caso dell’Italia di fine secolo, nella quale è scoppiata l’epidemia del berlusconismo ridente, erano successe da poco tragedie da ammazzare un bue e la popolazione era prostrata fisicamente e moralmente. La stagione delle bombe e della tensione che si è scatenata dagli anni settanta ha colpito al cuore un Paese che era appena risorto dopo una guerra terribile e aveva avuto il suo incredibile “miracolo economico”. Tutti avevano ricominciato a sperare, a respirare, a sorridere. Tutti si sentivano simpatici, irresistibili. Tutti speravano che durasse. E invece no. Dopo dieci anni di resurrezione è venuto l’inferno. E tutti sono ripiombati nella disperazione più nera. Tutti avrebbero voluto un volto buono, sorridente, che li incoraggiasse, un uomo saggio, maturo che dicesse parole gentili, affettuose. Per questo il virus ha avuto successo. Come il miraggio di un’oasi per chi si è perduto nel deserto.

Caro Roland Bartes, caro intellettuale con l’eterna sigaretta in bocca come Yanez, che parlavi con una voce sommessa e profonda e vivevi in una bella casa borghese, ordinata e pulita, con un bel pianoforte aperto dove suonare la musica divina di Mozart che ci fa sognare. Forse l’uomo saggio e maturo che avrebbe potuto aiutarci eri proprio tu: non a caso per un po’ i tuoi libri sono stati popolari e i tuoi ammiratori hanno scritto cose che somigliavano alle tue. Non a caso abbiamo avuto gran signori dell’intelligenza come Umberto Eco, che ci hanno insegnato a riflettere. Oggi, caro fratello premuroso, tu non ci sei più e non ci sono più i tuoi seguaci e ammiratori. Per questo ci sentiamo tutti un po’ orfani. Non perché è morto il caimano.

In “bottega” cfr – fra i tanti – almeno i due più recenti: Una canzone e 4 immagini per Berlusconi… e Chi è stato veramente Berlusconi ? Ma anche questi (che abbiamo linkato fra i nostri ospiti nel colonnino di sinistra): Berlusconi è morto lunga vita al Berlusconismo in Storie e Notizie di Alessandro Ghebreigziabiher e De profundis in Chiedo ai sassi che nome vogliono (Note a margine di una ricerca imperfetta)

La fotografia in alto è di Roland Barthes. Le prime due immagini sono “rubate” al grande Mauro Biani, mentre la terza ci è stata inviata da Piero Brombin.

Redazione
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Un commento

  • Mariano Rampini

    La lunga “nota” dell’amico Troncarelli (me lo permetterà) è assai più illuminante di altre che hanno voluto analizzare il fenomeno (in molti sensi – direbbe lui) Berlusconi. Non tanto per il riferimento a Barthes (lo trovo con l’H e senza H ma la sostanza non cambia) e al suo illuminare gli angoli non necessariamente bui del presente. Perché è negli angoli che si annida il ciarpame: sono i luoghi più difficili da pulire perché costringono tra due lati, a volte strettissimi, quello che si è ritenuto opportuno nascondere. Trovo particolarmente efficace l’accostamento tra la “fine” (ma sono davvero mai finiti?) degli anni di piombo e la comparsa sulla scena di questo signore piccolino, cicciottello, col sorriso dipinto sul volto come portasse un’eterna maschera teatrale. Una figura rassicurante? Sarebbe forse stata più rassicurante quella di Lino Banfi (non me ne voglia, anche se si è più volte dichiarato ammiratore di Silvio). Perché il caimano (così lo volle Moretti) sulla scena sorrideva ma non appena le luci del proscenio si spegnevano, iniziava a sogghignare. E i suoi sodali con lui. Pronti (Sgarbi docet) a bloccare qualsiasi tentativo di replica sotto un diluvio di frasi (anche senza senso) ripetute meccanicamente, senza astio o rabbia, soltanto meccanicamente. Era una delle strategie che si insegnava nelle scuole di berlusconismo che proliferarono nei dintorni di Arcore dove veniva preparata la nuova classe dirigente (si fa per dire)? Non so dirlo. Io non c’ero e probabilmente non mi avrebbe invitato nessuno a frequentarle. Ma quelle scuole ci sono state e da quei banchi (tutti rigorosamente firmati da un designer) sono usciti non ministri o deputati o senatori, ma personaggi intermedi, presidenti di questo e di quello, destinati via via che il Parlamento si intasava di figure scelte a caso (Scilipoti e Razzi docunt a loro volta) a sostituirle per preparare l’avvento al potere di altre figure, ben più destre (dovrei scrivere sinistre ma non ci riesco). Berlusconi, insomma, è stato l’uomo che è riuscito dove Cossiga fallì. L’Italia non si prende con la forza. Se ci si prova si finisce con l’unire tra loro nemici di vecchia data, pronti a fare fronte comune contro l’invasore. L’Italia si conquista con la simpatia. E poco valga il fatto che quel sorriso simpatico si faccia via via più vitreo. Basta guardare su uno qualsiasi dei canali dedicati alla natura (ce n’è da scegliere) uno che riservi spazio agli squali. Non ai caimani. Perché gli squali ti usmano da lontano, leggono le tue vibrazioni, le tue paure, le tue perplessità. E quando attaccano i loro occhi si rivoltano all’indietro, diventano vitrei, insondabili. Poi arriva il morso. Che è quasi sempre letale. Occhi simili li aveva Berlusconi. Nopn quando si sbracciava dai palchi facendo il simpatico. Ma mentre ne scendeva, quando nessuno poteva vederlo se non la sua corte. Che forse ne aveva anche paura…

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