Il suicidio assistito non è reato

di Pietro Greco (*)

a seguire la posizione di “Noi Siamo Chiesa”

Non è punibile. Non è punibile chi entro “determinate condizioni… agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

E’ innocente chi aiuta il malato gravissimo

cappato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non c’è dubbio, la Corte Costituzionale non ha scritto in “giuridichese” la sua sentenza sul suicidio assistito. Chiamando con nome e cognome l’atto di chi agevola a porre fine a una vita ritenuta ormai insostenibile. E superando l’inerzia del Parlamento e, dunque, della politica incapaci di decidere su una questione eticamente sensibile.
Non pretendiamo di interpretare la sentenza in punto di diritto. Il compito esula dalle nostre possibilità. Ma da cittadini informati crediamo di poter leggere senza timore di travisamenti le parole della Suprema Corte.
Ricordiamo i fatti, alla base della sentenza. Il radicale Marco Cappato aveva accompagnato in Svizzera il dj Fabo, desideroso di porre fine – con una volontà libera e autonoma chiaramente espressa – alla propria vita che lo vedeva costretto a letto tra mille sofferenze fisiche e psicologiche dopo un grave incidente.

La lunga vicenda del dj Fabo

Cappato era stato chiamato in giudizio in Italia sulla base di una legge degli anni ’30, piena epoca fascista, che vieta, appunto l’istigazione e l’aiuto al suicidio. La legge non tiene conto dell’evoluzione nella sensibilità bioetica e delle nuove tecnologie che possono, per l’appunto, tenere sospeso tra la vita e la morte a tempo indeterminato un paziente che accusa una malattia grave e irreversibile. Qualcuno, come il dj Fabo, giudica priva di dignità questa sospensione tra la vita pienamente vissuta e la morte comunque incombente.
Il tribunale che stava giudicando Marco Cappato ha ravvisato un problema di costituzionalità di quella legge. E ha dunque chiesto il pronunciamento della Suprema Corte. La quale ha preso atto che non esiste una legge chiara sul fine vita e ha dato tempo al parlamento un anno per emanarla. Il parlamento, purtroppo, non è stato capace – non ha voluto né saputo – prendere una decisione. Di qui la sentenza di ieri.

Eutanasia passiva e attiva


La Corte ritiene legittimo che un paziente “affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli” possa decidere di morire con la piena assistenza medica.
Qui, forse, bisognerebbe precisare che ci sono due possibilità per chi decide di morire con la piena assistenza medica. C’è l’eutanasia passiva: ovvero “si stacca la spina”, ovvero vengono sospesi tutti i trattamenti medici che lo tengono in vita. E c’è l’eutanasia attiva, ovvero il medico inocula un farmaco letale.
A una prima lettura non ci sembra che la Corte sia intervenuta in merito. Se c’è una distinzione da fare tra i due tipi di “suicidio assistito” è bene che sia il parlamento con apposita legge a farlo. Al più presto.
Quello che è chiaro è che non commette reato chi agevola – entro i limiti indicati dalla Corte – il suicidio assistito. In altri termini, Marco Cappato è innocente.

Ora tocca al parlamento emanare una legge chiara

suicidio assistito
Ma la sua battaglia – civile e politica – è stata vinta, per ora, solo per tre quarti. Grazie alla sua determinazione  sappiamo che è legittimo il suicidio assistito, entro le condizioni definite dalla Corte. Insomma, che abbiamo diritto a morire con dignità e senza provare dolere, fisico e psichico, inutile e intollerabile. Sappiamo anche che chi favorisce l’attuazione di questa libera e consapevole decisione del paziente non è punibile.
Resta da compiere l’ultimo tragitto. Il parlamento deve emanare una legge chiara e facilmente applicabile. Ci riuscirà? Non lo sappiamo. Ma sarebbe un buon segnale, se la nuova maggioranza “giallorossa” si assumesse per intero le sue responsabilità e portasse a termine il compito chiaramente indicato dalla Corte Costituzionale e dalla volontà di milioni di cittadini.

(*) Fonte: Striscia Rossa


Il coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa” Vittorio Bellavite ha rilasciato la seguente dichiarazione:    

“Mi pare che la decisione della Corte abbia radici nei valori della Costituzione (e in suoi articoli ben precisi) ed espliciti con chiarezza le condizioni in presenza delle quali il suicidio assistito possa essere praticato: patologia irreversibile protratta con un trattamento di sostegno, grandi sofferenze, libera decisione del paziente. Per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili la Corte richiama alle “condizioni e modalità procedimentali” previste dalla legge 219/17 sulle DAT (consenso informato, cure palliative, sedazione profonda). Siamo ben lontani dal tanto temuto “piano inclinato” verso una generalizzazione di interventi di questo tipo.
La Corte ha tenuto conto dei diversi diritti tutelati e si è trovata di fronte, dopo l’incapacità del Parlamento, alla difficoltà  di legiferare sul momento in cui ognuno di noi si confronta, nel suo intimo, col senso stesso dell’esistenza. Ha assunto una decisione pragmatica che invita il legislatore a scelte nella direzione dei binari indicati.

Come “Noi Siamo Chiesa” abbiamo ragionato a partire dalla nostra fede nel Vangelo e dalla nostra presenza nella Chiesa. Abbiamo espresso e lungamente argomentato (leggi) la nostra opinione che è ben diversa da quella sostenuta da tempo dalle gerarchie e da quei medici che ora parlano di obiezione di coscienza. Siamo convinti che questa linea non potrà non cambiare in futuro. Ora essa ci sembra ferma a una “ideologia della vita sempre e comunque” a prescindere dalle situazioni concrete, che non ci sembra coerente con la concezione generale della vita e della morte che deve essere propria di ogni cristiano, che è convinto che la fine non è che un inizio”.

Roma, 25 settembre 2019   Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale NOI SIAMO CHIESA

 

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