Il Teatro della Libertà continua (e lancia un appello)

di Massimo Lambertini

Dopo l’assassinio di Juliano Mer-Khamis, TheFreedom Theatre non è più esente da quel tipo di oppressione cui é generalmente soggetta la società palestinese”. Così Jonatan Stanczak, cofondatore del teatro, commenta l’arresto del guardiano, avvenuto, previo accerchiamento dell’edificio, nelle prime ore del 21 agosto. Sempre su www.thefreedomtheatre.org leggiamo che le due persone precedentemente arrestate sono state rilasciate il 22, poiché la corte militare non ha trovato alcuna connessione con il delitto. Anche lo studente arrestato il 7 agosto è stato rilasciato ed ha potuto recitare in Aspettando Godot , andato in scena a Ramallah per motivi di sicurezza (vedi qui Attacco al Teatro della Libertà del 4-8-2011).

La storia di quella che, in molte parti del mondo, è considerata una importante fucina di creatività, inizia al tempo della Prima Intifada. Fu allora che l’insegnante e attivista ebrea Arna Mer-Khamis (Khamis è il cognome del marito Saliba, arabo d’Israele) decise di agire in favore dei bambini e ragazzini palestinesi che venivano imprigionati in gran numero. Arna che, giovanissima, ha combattuto nel 1948 per l’indipendenza di Israele, è assolutamente contraria all’occupazione della Palestina (avvenuta con la Guerra dei Sei Giorni nel 1967). Contro di essa, questa donna energica ed appassionata, ha sempre protestato con coraggio, fino a subire il carcere più volte. Per alleviare le sofferenze dell’infanzia causate dall’occupazione, fonda l’organizzazione Care andLearning (Cura e Istruzione), con l’obiettivo di creare centri protetti dove i bambini possano istruirsi al riparo dal caos e dalla paura provocati dalle azioni dell’esercito israeliano.

 Dal 1988 al 1990 tutte le scuole dei Territori Occupati furono chiuse dalle autorità israeliane. Per integrare il sistema di educazione popolare avviato dai comitati di donne palestinesi, Care andLearning mandò volontari con rotoli di carta e colori per coinvolgere i bambini stimolandone la creatività. A queste sessioni, organizzate nelle strade, partecipavano centinaia di bambini e veniva utilizzato il materiale didattico ideato da Arna stessa, che si era specializzata in Art therapy. Nel 1991 venne aperta la prima Casa per Bambini, dove c’era anche uno spazio per il teatro. Infatti sin dal 1987 Arna, con una dozzina di bambini, aveva formato un piccolo gruppo teatrale. Usava le tecniche del teatro sia per curare le loro frustrazioni, le loro angosce, i loro incubi, sia per favorire la loro piena espressività. Spesso, come maestro, la aiutava il figlio Juliano, che era già un affermato attore di cinema e di teatro, dopo aver debuttato nel 1984 nel film La tamburina di George Roy Hill, con Diane Keaton come protagonista.

Quando nel ’93 le viene conferito il Right Livelihood Award (o Premio Nobel Alternativo) sono 4 le Case aperte e i bambini coinvolti sono più di 1.500.

Questi bambini (che) conoscono l’ebreo, l’israeliano unicamente come il soldato che spara per uccidere e che picchia e che umilia” … “Abbiamo tentato di portare a questi bambini un pezzetto di felicità e di speranza, con i libri, i giochi e gli opuscoli educativi. Ma, prima di tutto, siamo stati con loro nelle strade, presso le prigioni e dentro i tribunali militari, allo scopo di seminare, prendendocene cura, semi di speranza per una vita migliore. In cambio abbiamo ricevuto il premio più grande, i loro sorrisi, la loro fiducia, la loro amicizia. Tutto ciò è servito a costruire un nuovo rapporto umano tra ebrei ed arabi, l’unica base possibile per una pace vera” (dal suo discorso presso il parlamento svedese). Con il denaro del premio si costruì, finalmente, un vero teatro nel campo profughi di Jenin, lo Stone Theatre (Teatro delle Pietre). Due anni più tardi, l’ebrea che molti bimbi consideravano “come una mamma”, dopo una lunga lotta dovette arrendersi al cancro. Il teatro venne chiuso non molto tempo dopo.

Durante la Seconda Intifada, un fotografo si trova casualmente a riprendere gli ultimi momenti di un attacco suicida in Israele. Due attentatori uccidono quattro donne presso la fermata di un autobus, prima di essere abbattuti. Mostra il materiale al suo amico Juliano Mer-Khamis, che ne rimane sconvolto: ha riconosciuto Yusuf, il più dotato e affascinante dei suoi allievi. Mer Khamis decide di tornare a Jenin. Vuole sapere che ne è stato di quei bambini che ha seguito per anni con amore e dedizione.

Alcuni mesi dopo, nell’aprile del 2002, l’esercito israeliano invade il campo profughi di Jenin, trovando una resistenza accanita. La battaglia dura 12 giorni, poi le ruspe hanno ragione anche dell’ultima roccaforte. Quando l’esercito si ritira, lasciando metà del campo in macerie, Mer-khamis torna in quei luoghi con una troupe. Scopre così che alcuni sono morti in combattimento, due sono giovani comandanti della resistenza e apprende cosa è successo a Yusuf. Dello Stone Theatre restano solo le macerie. Dalle riprese effettuate in quei giorni e dai filmati girati in passato, sia agli inizi dell’esperienza teatrale sia nell’ultimo periodo della vita della madre, Mer-Khamis, insieme al regista Danniel Danniel, trarrà quello che molti considerano il miglior documentario sul tema dell’occupazione, I bambini di Arna (Arna’s children).

Questo lavoro, oltre ad essere un tributo alla figura della madre, è la restituzione a queste persone di una infanzia, degli affetti, di una storia e del perché delle loro scelte. Li vediamo prima bambini pieni di vita, come tutti ì bambini del mondo, pur vivendo la realtà soffocante di un campo profughi; poi da adolescenti con tutti i loro sogni; infine adulti, ma con i giorni contati. Sono esseri umani che in genere l’informazione usa come numeri nella contabilità delle perdite di questo conflitto infinito. Oppure vengono etichettati come terroristi, quasi fosse per DNA.

Forte di un montaggio straordinario, che muove il filo narrativo avanti e indietro nel corso del tempo e degli eventi, girato senza sentimentalismi e senza retorica, con grande sobrietà e una sensibilità estrema, porta con naturalezza lo spettatore ad aprirsi a quelle vite e a lasciarle entrare in sé.

Non può non turbare lo sguardo vuoto di Alaa dodicenne, mentre siede sulle macerie della sua abitazione che l’esercito israeliano ha fatto esplodere (come punizione collettiva, a causa della militanza del fratello). Non a caso è un’immagine ricorrente: Alaa è pronto per il ciclo della violenza. Così come sgomenta la parabola di Yusuf, l’attentatore suicida. Ragazzo dal carattere romantico, un giorno corre a soccorrere una bambina mutilata dal proiettile di un carro armato, ma lei gli è muore tra le braccia. Da allora diventa un altro: qualcosa in lui si è rotto.

Pellicola durissima, apparentemente senza speranza, in realtà qualche seme di speranza lo sparge. Sarà per la forza della figura di Arna. O forse per la grande umanità di queste vite, che volevano essere ben altro. Forse solo perchè qualcuno ha realizzato un’opera come questa.

I bambini di Arna suscitò un grande interesse e vinse alcuni premi internazionali, tra cui quello per il miglior documentario al prestigioso Tribeca Film Festival di New York del 2004. In patria vi furono molte polemiche e “iniziò il processo di divorzio dalla mia audience”, come raccontò Mer-Khamis in un’intervista. Se prima era stato una star dello spettacolo e della televisione israeliana, ora era visto come un attivista filo-palestinese. Seguendo le orme materne, nel 2006 fondò Il Teatro della Libertà (The Freedom Theatre), sempre nel campo di Jenin. Costituiva uno spazio sicuro, sia fisico che emozionale dove un bambino o un adolescente potesse liberarsi non solo dalle costrizioni mentali dell’occupazione, ma anche da quei vincoli, sociali e tradizionali, che impedivano la piena realizzazione della personalità. Oltre alle sessioni di drammaterapia (i bambini affetti da stress post-traumatico erano alcune migliaia) e alla scuola di recitazione, nacquero corsi di fotografia, di videoripresa, di scrittura creativa e di giornalismo. A tutto ciò collaboravano artisti e professionisti da tutto il mondo.

Ad affiancarlo nella direzione Juliano aveva chiamato Zakaria Zubeidi, l’unico sopravvissuto dei piccoli protagonisti de I bambini di Arna. Leader della Brigate dei Martiri di al-Aqsa, per anni era stato il palestinese più ricercato di tutta la West Bank ed era sfuggito a cinque attentati. Finchè un giorno, stanco del vuoto lasciato dai compagni caduti intorno a lui, decise di deporre le armi e di interrompere il ciclo della violenza. Si era reso conto di poter fare molta più politica da un teatro che imbracciando un M16. Juliano evocava una Terza Intifada, un movimento politico-artistico fatto di “poesia, musica, macchine fotografiche e riviste”. Anche Zakaria condivideva questa visione.

Quando arriva la primavera araba, entrambi appoggiano apertamente i giovani del Movimento 15 marzo, con la loro voglia di chiudere con le logiche del passato e la scelta della non-violenza. Ne sono entusiasti. Anche le rappresentazioni teatrali sono sempre più mirate alla critica sociale, suscitando forti reazioni. Già nel 2009 un adattamento de La fattoria degli animali di Orwell, trasformato in una satira della corruzione tra i politici palestinesi (e dove, per di più, ragazzi e ragazze erano travestiti da maiali), aveva provocato due tentativi di incendio del teatro e minacce di morte per il suo direttore. All’inizio di quest’anno, un audace allestimento di Alice nel Paese delle Meraviglie, dove Alice è una ragazza che si sottrae ad un matrimonio combinato, causa critiche e malumori negli ambienti tradizionalisti di Jenin.

Juliano ha in mente nuovi lavori ancor più provocatori, ma minacce e consigli di amici lo fanno desistere.

Il 4 aprile 2011 viene assassinato da un killer a colpi di pistola. A maggio avrebbe compiuto 53 anni.

Il Medio Oriente non tollera quelle figure, come Juliano Mer-Khamis, che costruiscono ponti”, ha commentato amaramente il regista israeliano Amos Gitai, che lo aveva diretto più volte.

Chi scrive, essendosi seduto in quella sala insieme al gruppo guidato da Luisa Morgantini (che recentemente è diventata membro del Comitato Esecutivo de The Freedom Theatre) non può non rilanciare l’ appello sottostante per l’affitto di una sala in un luogo sicuro. Quest’appello è ora ancor più urgente dopo i gravosi esborsi per le spese legali, dovuti alla serie di arresti arbitrari.

Il Freedom Theatre è un patrimonio che appartiene non solamente a chi combatte per la libertà della Palestina, ma anche a tutti coloro che si battono per la giustizia attraverso azioni non violente. È un piccolo prezioso tempio di pace e di speranza in un mondo più giusto e umano, e tutta la società civile dovrebbe farsi carico della sua difesa e della libertà delle persone che gli danno vita.

Per leggere l’appello in forma integrale:

http://www.assopace.org/index.php?option=com_content&view=article&id=427:raid-israeliano-al-freedom-theatre-di-jenin-non-lasciamoli-soli&catid=28:utenti&Itemid=55

NON LASCIAMOLI SOLI – Facciamo circolare,  inviamo messaggi di solidarietà al sito www.thefreedomtheatre.org e raccogliamo i fondi per l`affitto di un anno della nuova sala per la scuola del teatro.
Occorrono 8.000 euro (ottomila). Potete versare sul conto intestato: Associazione per la Pace su Banca Popolare Etica, IBAN: IT 27 F 05018 03200 000000504090
Causale:  Teatro della Liberta’ – Jenin
Per info:
lmorgantiniassopace@gmail.com

Donata Frigerio

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