Il tecno-colonialismo insanguina l’Africa
di Marinella Correggia (*)
La Repubblica democratica del Congo, teatro di una feroce guerra condotta
da milizie armate, è ricca di materiali critici essenziali per i beni tecnologici
La prossima nazione del mondo nascerà nella regione del Kivu, mangiandosi un pezzo della Repubblica democratica del Congo (Rdc)? Ipotizza questo scenario – per esorcizzarlo – la newsletter dell’associazione Incontro fra i popoli. Certo, la milizia armata M23, che avanza nella regione dei Grandi Laghi sostenuta dal vicino Stato del Ruanda, farà il possibile per mantenere i territori congolesi conquistati dallo scorso gennaio e per acquisirne altri, sulla base della ricchezza del loro sottosuolo.
L’area è una delle principali fonti di minerali critici, essenziali per l’industria tecnologica globale. Una guerra con effetti da ecatombe in termini di morti e miseria è in corso da decenni nella regione dei Grandi laghi ed è legata al grande aumento nella produzione di beni tecnologici e per la transizione energetica, in un mondo digitale ma in fondo ben poco immateriale.
UN RECENTE DOCUMENTO di Initiative for Equality (rete internazionale di organizzazioni e attivisti per l’equità sociale e l’economia partecipata) dal titolo «Western Aid and Agreement Allow Rwandan Forces and M23 to Invade, Occupy and Pillage Minerals in Democratic Republic of Congo» si sofferma sulle responsabilità degli Stati occidentali destinatari delle materie prime congolesi.
Riferisce in particolare che, secondo le mappe di un rapporto redatto dal «Gruppo di esperti sulla Rdc» per il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e pubblicato lo scorso 7 gennaio. Già nel 2023 erano 40 le miniere artigianali nell’Est del Paese controllate dalla milizia antigovernativa M23, che ha installato uomini armati per controllare e tassare l’estrazione e poi gestire il passaggio in Ruanda, Paese che trasforma e vende i minerali come propri sul mercato globale. A parte Kigali e i suoi protetti, in questa regione sono oltre 100 i gruppi armati che si contendono i territori e le loro risorse.
LA CITTA’ MINERARIA DI RUBAYA, nella provincia del Nord Kivu, è stata conquistata il 30 aprile 2024 dall’M23; là si trova uno dei più ricchi depositi al mondo di coltan (columbite-tantalite). Dal coltan viene estratto il tantalio, essenziale per ogni apparecchio elettronico: smartphone, tablet, computer portatili, automobili, satelliti, aerospazio, equipaggiamento militare, elettrodomestici. Oltre il 40% dell’offerta globale di coltan viene dalla Rdc e una parte delle miniere è sotto il controllo dell’M23. Secondo l’ultimo rapporto del «Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla situazione nell’Est del Congo», la milizia controlla – con una vera e propria amministrazione parallela – il trasporto e commercio di 120 tonnellate di questo minerale ogni mese, imponendo tasse su minatori e commercianti.
PER I MINERALI 3TG (acronimo in inglese per: tantalio, tungsteno, stagno e oro) estratti nella Rdc o in altre zone in conflitto o ad alto rischio, i cosiddetti conflict minerals, norme e controlli ci sarebbero. Negli Stati Uniti la sezione 1502 della legge federale Dodd-Frank Wall Street Act (2010) e nell’Unione europea la Conflict Minerals Regulation (2017) esigono verifiche per evitare che le attività estrattive siano contaminate da fenomeni come il coinvolgimento di gruppi armati, il lavoro forzato, il lavoro minorile e altre forme di sfruttamento.
La suindicata normativa europea in particolare, con decorso dal 2021, impone il divieto di importare minerali e metalli da aree di conflitto o da situazioni di sfruttamento dei minatori, chiedendo alle compagnie di assicurare la provenienza «solo da fonti responsabili»; inoltre «sostiene lo sviluppo delle comunità locali».
MA L’ITSCI (International Tin Supply Chain Initiative), il più diffuso sistema di certificazione e tracciabilità per garantire appunto catene di approvvigionamento responsabili (vi fanno ricorso molti acquirenti), secondo un’inchiesta dettagliata della ong «Global Witness» viene viziato dalla corruzione, dalla natura informale del settore estrattivo e dal potere delle milizie. Così, ad esempio, arriva a certificare e «ripulire» minerali provenienti in modo illegale o legale dalla Rdc e venduti dal Ruanda, capace di assicurare una fornitura continua, pur avendo – ed è un segreto di Pulcinella – giacimenti minuscoli. Diverse multinazionali sono state accusate di acquistare materiali provenienti da miniere non controllate, utilizzando intermediari e facendosi così complici dei crimini dei gruppi armati.
La Repubblica democratica del Congo ha presentato una denuncia contro le sussidiarie di Apple in Francia e Belgio; Apple ha contestato le accuse precisando di aver dato ai fornitori istruzioni di non comprare minerali 3TG provenienti dal Ruanda ma anche dalla Rdc, ritenendo che i revisori indipendenti o i meccanismi di certificazione del settore non fossero in grado di soddisfare gli elevati standard. Il governo di Kinshasa ha dichiarato la volontà di regolamentare meglio la propria offerta di minerali e di sviluppare strutture di trasformazione per creare lavoro e aumentare il valore dei prodotti.
IL CONTESTATO MEMORANDUM d’intesa (2024) fra Unione europea e Kigali per «rafforzare il ruolo del Ruanda nella promozione di catene di valore sostenibili e resilienti in Africa», di fatto aiuta la guerra e l’occupazione da parte dell’M23, secondo molti attivisti ed esperti, e secondo la pressante richiesta del Parlamento europeo che ha votato una risoluzione il 13 febbraio 2025. L’Europa dei ventisette si è infatti impegnata a sostenere l’infrastruttura del Ruanda nel settore dell’estrazione di minerali (oltre che della salute e della resilienza climatica). Il direttore di «African Natural Resources Watc» citato dal Guardian ha detto che «l’accordo manda il messaggio che l’Ue, per accedere ai minerali, può mettere da parte i diritti umani».
L’IMPATTO SOCIALE, AMBIENTALE, sanitario dell’estrattivismo in quell’area è da tempo oggetto di studi e denunce. La maggior parte delle attività avviene in miniere informali dove i lavoratori (adulti e minori) sono sfruttati anche da gruppi armati e operano in pessime condizioni di sicurezza, esponendosi anche a grossi rischi sanitari (non esclusa la leggera radioattività del coltan), per non dire dei frequenti incidenti mortali. In alcune aree il prezioso commercio minerario si mescola con la vendita di parti di animali protetti, avorio e pelli, e mette in pericolo anche luoghi come il parco del Virunga, la casa degli ultimi gorilla di montagna. L’industria mineraria (in questo caso per l’oro) è anche corresponsabile della distruzione della seconda foresta pluviale al mondo: il bacino del Congo. E fra le vittime del prelievo minerario c’è l’acqua; il fiume Congo è inquinato per centinaia di chilometri.
«BARBARIE NUMÉRIQUE» (2024) è il libro scritto dal sociologo e ricercatore Fabien Lebrun, esponente dell’associazione francese «Survie». Sul che fare, Lebrun lancia la sfida: «Non si può ridurre la pressione mineraria nella regione dei Grandi Laghi senza una nostra decrescita minerale e metallica. Per essere solidali con il Sud, occorrerà per forza comprare meno e favorire apparecchi più durevoli e riparabili. Rivedere tutto il nostro quotidiano digitale». Meno e meglio.
(*) Questo articolo è stato pubblicato anche su «L’extraterrestre», inserto settimanale del quotidiano «il manifesto». Le vignette – di Mauro Biani – sono state scelte dalla redazione della “bottega”.
In “bottega” cfr anche l’appello INSIEME PER LA PACE IN CONGO
e due articoli recenti con molti link:
Congo in pezzi: l’hi-tech fa festa
«Non abbandoniamo il popolo congolese»
Il vero prezzo della tecnologia non è sul cartellino ma nel sangue versato per estrarla sfortunatamente