Il nostro tempo di vita è in cerca di…

… un lavoro diverso cioè di un nuovo spazio.

di Gianluca Cicinelli (*)

Eppure … eppure, nel pieno dell’aggravarsi generale delle condizioni di vita di noi che non facciamo parte del mondo di “quegli altri” – quell’1% di criminali legalizzati che detiene il 90% della ricchezza mondiale – il modo di rapportarsi al lavoro sta cambiando, per la prima volta in maniera qualitativa e sostanziale dalla rivoluzione industriale. Si tratta di leggere i fenomeni in corso con una lente diversa che limitarsi a confrontare le paghe orarie e gli stipendi come abbiamo fatto finchè la rivoluzione digitale, ancora in via di definizione, non ha preso il sopravvento. Gli strumenti vecchi, le rivendicazioni sindacali che hanno caratterizzato il movimento operaio fino al ventesimo secolo e residualmente fino ad adesso, sono entrate in crisi dinanzi a un elemento qualitativo e non più quantitativo: il valore del tempo. Anche perchè i vecchi padroni proprietari dei mezzi di produzione sono residuali, a imperare oggi sul mondo sono i padroni di imperi basati sulla carta straccia della finanza. Sul nulla elevato a feticcio.

Cominciamo a mettere a fuoco la questione partendo dalle conseguenze sul lavoro della pandemia da covid. Il fenomeno è noto tra i ricervatori come “The Great Resignation”. Negli Usa, dalla primavera del 2021, quando l’economia ha iniziato a uscire dalla crisi pandemica, la richiesta di lavoratori è cresciuta tra le imprese mentre le dimissioni di chi il lavoro lo aveva sono arrivate ai massimi storici e i tassi di licenziamento sono scesi ai minimi storici. Il 44% di chi ha già un lavoro è alla ricerca di un lavoro diverso, ci dice l’annuale ricerca “Global Benefits Attitudes Survey 2022” di Willis Towers Watso (una multinazionale specializzata nella gestione del rischio). La metà della forza lavoro.

Al recente World Economic Forum di Davos la PricewaterhouseCoopers, un network multinazionale di consulenze per imprese, ha presentato il risultato di un sondaggio tra 52 mila lavoratori in 44 Paesi. La richiesta di una retribuzione più alta è al primo posto naturalmente, ma alla pari con la richiesta di una maggiore realizzazione e il desiderio di essere “veramente se stessi” anche al lavoro. I lavoratori della Generazione Z, quella tra i 18 e i 25 anni, ci dice la stessa ricerca, sono meno soddisfatti del proprio lavoro e hanno il doppio delle probabilità rispetto ai Baby Boomers, quelli tra i 58 e i 76 anni, di essere preoccupati che la tecnologia sostituisca i loro ruoli nei prossimi tre anni. Il 71% degli intervistati sostiene l’importanza di un aumento di stipendio, ma il 69% ha affermato che cambierebbe lavoro per una migliore realizzazione nella vita.

In estrema sintesi: l’utilizzo qualitativo del proprio tempo è ritenuto un valore di gran lunga superiore a una paga oraria anche adeguata al costo della vita, ma che toglie il tempo senza offrire in cambio nessuna qualità.

Mentre parliamo di queste tendenze in evoluzione non possiamo dimenticare che bambini di cinque anni continuano a cucire palloni in India e a scavare con le mani il coltan nelle miniere del Congo. Accanto al nuovo approccio al lavoro resta l’emergenza di stroncare alla base la criminalità organizzata delle stesse multinazionali che in giacca e cravatta ci presentano questi studi relativi al mondo occidentale dell’impiego, dove capitali delle società sono basati proprio su quello sfruttamento in origine. Ma la povertà del mondo del lavoro e la povertà da fame estrema svincolata dal lavoro salariato sono due fenomeni diversi tra loro, anche se collegati. Quel che è interessante sottolineare è il crescere a livello mondiale di una domanda che fino a poco tempo fa era patrimonio soltanto di quel “precariato cognitivo” sotto impiegato, costretto a lavorare ben al di sotto della propria competenza.

Salute mentale, orari flessibili, ricerca di un significato nella vita, divertimento, tempo da dedicare alla cura del proprio spirito e alle persone care. Sono richieste che vanno molto oltre il vecchio slogan “Lavorare meno lavorare tutti”, ma il problema è che al momento non esiste nessun sindacato o forza di opposizione al modello di produzione in grado di tessere il filo e organizzare questa nuova e vitale ricerca di liberazione del e dal lavoro. E, da sempre, i padroni sono molto più veloci dei loro nemici a creare mondi che assorbano queste istanze per controllarle. Una breccia però si è aperta, questo è innegabile, possiamo cominciare ad attraversare la crepa nel muro a uno a uno per il momento.

(*) articolo in origine pubblicato su https://diogeneonline.info/il-tempo-e-in-cerca-di-un-nuovo-spazio/

ciuoti

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