Il triangolo del potere che strangola il Medio Oriente
di Antonella Selva
«Il triangolo vizioso – tiranni, terroristi e l’Occidente» (Laterza 2018) è un libro più che interessante; direi addirittura necessario, per almeno 3 motivi. Il primo e più evidente è senz’altro il fatto che finalmente ci propone il punto di vista delle popolazioni arabe stritolate nella morsa viziosa del triangolo di poteri che dà il titolo al libro. L’autore infatti è il quarantenne Iyad El Baghdadi: da non confondere, con il ben più vizioso quasi omonimo Abu Bakr capo dell’Isis (come è già successo, quando sono stati oscurati i suoi account social a causa di questo equivoco). Attivista di origine palestinese (nonno cacciato da Jaffa nel 1948) si autodefinisce musulmano libertario: è nato in Kuwait e cresciuto negli Emirati Arabi Uniti, da dove è stato espulso senza tanti complimenti quando nel 2011 la sua voce, che commentava e analizzava gli eventi della primavera araba, ha cominciato a riscuotere sempre più interesse sui social. L’espulsione e l’apolidia tuttavia gli hanno permesso di ottenere asilo politico in Norvegia, dove tutt’ora vive e dove ha potuto trovare condizioni più favorevoli per comunicare – con maggiore efficacia e senza dubbio maggiore sicurezza – le sue idee e le sue analisi. Il libro dunque raccoglie e sistematizza il pensiero politico elaborato in anni di mediattivismo, riflessione e partecipazione all’interno delle vicende della parte più tormentata del pianeta. Prima sorpresa: esiste un pensiero originale e attuale arabo su quanto sta succedendo; e no, non coincide affatto con la visione jihadista.
Il secondo motivo di interesse sta ovviamente nei contenuti del libro: la tesi dell’autore – elaborata in anni di osservazione ed esposta in modo convincente e ampiamente suffragato da esempi della storia recente – è che nei Paesi arabi, praticamente nessuno escluso, si è incrostato un sistema di potere dispotico talmente forte da apparire inattaccabile perché si appoggia su tre pilastri che si alimentano l’un l’altro (talvolta inconsapevolmente, talvolta con cinica e calcolata lucidità) rappresentati appunto dai tre corni del triangolo perverso: i despoti al governo, i terroristi che cercano di contenderne il potere e le potenze occidentali che si appoggiano ora agli uni ora agli altri a seconda degli equilibri geostrategici e degli interessi in gioco. In questo sistema perverso la popolazione rimane stritolata.
Come si regga il triangolo perverso (che mi sembra traduzione migliore dell’anglicismo vizioso) Baghdadi lo spiega bene presentando alcuni case study paradigmatici.
A esempio come il tiranno siriano sia riuscito a resistere allo scossone che veniva dalla società civile polarizzando consapevolmente e cinicamente lo scontro, avviandolo verso la guerra civile e lasciando spazio solo all’opposizione jihadista, in modo da restringere la scelta fra lui e loro; nello stesso modo i jihadisti si sono imposti proprio in quanto unico fronte capace di reggere lo scontro armato con la dittatura.
La stessa cosa, su scala meno sanguinaria per fortuna, è avvenuta in Egitto: più il governo issato al potere dal golpe militare si fa dispotico (a esempio con l’eccidio di agosto 2013) e più si fa strada il sentimento che un’opposizione non violenta non abbia spazio e più si alimenta l’opposizione jihadista, che a sua volta regala su un piatto d’argento al governo la giustificazione per agire in modo ancora più dispotico, dato che afferma di farlo “per la sicurezza”.
Il caso dell’Iraq illustra molto chiaramente come sia stato proprio il dittatore più antimperialista di tutti i Paesi arabi ad attirarsi in casa la più devastante invasione della storia recente, mentre lo studio comparato della prima e della seconda intifada palestinese suggerisce che opposizione violenta e risposta armata della potenza straniera occupante (in questo caso Israele) tendono ad alimentarsi a vicenda dando fiato agli argomenti dei falchi più estremisti in ciascuno degli opposti schieramenti.
Dunque i tiranni hanno bisogno dei terroristi per giustificare il proprio autoritarismo come le organizzazioni jihadiste traggono legittimazione proprio dalla brutalità dei regimi a cui dicono di opporsi, mentre per le potenze occidentali è fin troppo facile prendere a pretesto ora i regimi brutali ora il terrorismo, a seconda della convenienza, per proseguire le loro politiche neocoloniali.
In mezzo a questo triangolo infernale vivono le popolazioni arabe. Spogliate di tutto, silenziate, represse e – oltre il danno la beffa – disprezzate in quanto descritte come arretrate e «incompatibili con la democrazia». E’ stata proprio la presa di parola da parte di queste popolazioni nel 2011, e in particolare della loro componente più giovane e istruita, a ribaltare questa visione e a indicare una possibile via d’uscita. E pur se la sinergia perversa del triangolo del potere è riuscita ancora una volta a prevalere (con costi altissimi in termini umani e sociali) la partita non è ancora conclusa, come dimostra in questi giorni il movimento in Algeria, e una nuova consapevolezza si va diffondendo anche grazie a giovani attivisti come El Baghdadi.
Vi è poi una terza ragione che rende interessante e originale questo libro, ed è che per una volta l’edizione italiana è stata la prima a vedere la luce per un testo, pensato in arabo e scritto in inglese, che sembra destinato a un’ampia diffusione nel mondo. E questo inconsueto primato lo dobbiamo alla sensibilità di uno studioso attento come Lorenzo Declich che l’ha curata.