«Il vento conservatore»

Gian Marco Martignoni sul libro di Giorgia Serughetti

Risale ai primi anni 80 l’affermazione di un insieme di forze conservatrici e reazionarie che hanno segnato gli equilibri politici, sociali e culturali sul piano internazionale, in coincidenza con il dispiegarsi a livello dell’economia mondiale di quella “razionalità neoliberale” che ha avuto in Ronald Reagan e Margaret Thatcher i suoi massimi e brutali interpreti. Di quest’ultima rimarrà alla storia la lapidaria espressione «la società non esiste» poiché – stante l’incapacità della sinistra di contrapporre una visione alternativa alla svolta conservatrice – il primato dell’impresa e della competitività hanno talmente egemonizzato il discorso pubblico che ogni individuo, per realizzarsi, avrebbe dovuto immaginarsi come imprenditore di sé stesso. Cosicchè lo Stato e qualsiasi idea di solidarietà sono diventati i facili bersagli di questa dilagante egemonia, in quanto il destino della società e degli individui inevitabilmente doveva essere consegnato alla forza straripante e dirimente del mercato. Senonchè le contraddizioni provocate dalle crisi ricorrenti che hanno perturbato il corso della globalizzazione capitalistica – generando profonde diseguaglianze e ingiustizie sociali – hanno prodotto la pericolosa ascesa delle tendenze di destra populista e sovranista, come nei casi eclatanti di Trump, Bolsonaro, Modi, Erdogan, Orban, Meloni ecc..Con tutte le ricadute che ne conseguono per la tenuta degli equilibri democratici, poiché è evidente che l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021 si configura come un imitabile caso di negazione totale della normale dialettica democratica. Per approfondire le cause di queste tendenze che hanno catturato il consenso crescente e aggressivo di ampi settori della società – le elezioni del 30 ottobre in Brasile hanno dimostrato ancora una volta l’imponenza del bolsonarismo come movimento reazionario di massa – è assai utile il libro di Giorgia Serughetti «Il vento conservatore» (Laterza: 166 pagine, 18 euro) perché da un lato si misura con l’appassionato dibattito che da tempo si è sviluppato a livello internazionale, mentre dall’altro lato coglie puntualmente i legami esistenti fra i fattori economici e culturali che le determinano; sottolineando però una maggiore rilevanza di questi ultimi. Per la Serughetti – ricercatrice in Filosofia politica della Università Bicocca di Milano – non vi è assolutamente confliggenza, semmai affinità, tra il neoliberismo e le forze populiste di destra radicale, che al di là dei proclami contro le elites mondialiste, ben si guardano dal criticarne la logica distruttiva (in particolare sui rapporti di lavoro e sui legami sociali, nonché per l’ambiente con le sue catastrofi indotte).

Altresì è da tempo un dato acquisito che la globalizzazione abbia in sé una dinamica disgregante sul piano delle identità, a partire dalle costanti minacce che ledono la sicurezza dello status raggiunto e della mancanza di un riconoscimento sociale. Solo che il disagio identitario viene compensato attraverso la rivitalizzazione di alcuni temi o valori – l’ordine e la difesa dei confini, la famiglia tradizionale, la religione – che il mondo progressista ritiene “divisivi” rispetto all’evoluzione storica. Una divaricazione valoriale che per Giorgia Serughetti si riproduce anche rispetto a una diversa concezione del popolo, della cittadinanza, di eguaglianza e diseguaglianza, palesando un conflitto acceso tra ancoraggio alla tradizione di stampo gerarchico e spirito innovatore ed emancipatorio. Tanto che un sociologo come Colin Crouch sostiene che in forme nuove si ripropone lo scontro secolare tra i valori dell’ancien regime e quelli dell’illuminismo. Al contempo si tratta di comprendere perché i cosiddetti perdenti della globalizzazione – includendo consistenti fasce di ceto medio sulla strada del declassamento sociale – scaglino il loro risentimento contro i migranti e le politiche dell’accoglienza mentre acclamano il leader forte da votare, manifestando un senso di appartenenza in antitesi a quello “classista” (avrebbe detto Karl Marx).

Una identità di classe drammaticamente frantumata e indebolita dal passaggio dalla sicurezza del lavoro a tempo indeterminato dei “trent’anni gloriosi” alla condizione post-moderna della precarietà selvaggia, bene analizzata nell’imponente volume collettaneo «Homo Instabilis» pubblicato nel 2007 per le edizioni Jaca Book a cura del sociologo Mario Aldo Toscano.

Pertanto, se è vero che le formazioni populiste e sovraniste di destra tendono ad esaltare un comunitarismo escludente, che contrasta l’accesso ai diritti di cittadinanza delle popolazioni migranti – mettendole anche in contrapposizione con le fasce più impoverite e disagiate della società – vi è qualcosa di più profondo che ha permesso la penetrazione del loro discorso reazionario. Nel recente dibattito post-elettorale due intellettuali come Tonino Perna e Giovanni Orsina hanno individuato nella mercificazione di tutte le relazioni sociali e nell’incertezza del futuro gli elementi scatenanti di quegli orientamenti. Vale la pena di riflettere sui loro messaggi, per disporre di ulteriori chiavi di lettura della realtà . Per il sociologo Perna «il capitalismo ha tolto qualsiasi senso alla vita della maggioranza della popolazione che lavora per sopravvivere, se ci riesce. Scomparsa la coscienza di classe, si è aperto un vuoto identitario, che è stato riempito dall’immaginario della destra» (cfr il quotidiano «il manifesto» del 29 ottobre).

Diversamente per lo storico Orsina «la concezione progressista della storia non regge più, per cui molti non credono la storia abbia una logica e una direzione… spaesati e angosciati dal futuro gli elettori votano a destra» (sul quotidiano «La stampa del 23 ottobre).

 

 

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Un commento

  • Aggiungerei che sono riusciti anche ad appropriarsi di alcuni discorsi e “valori” propri storicamente della sinistra (fino in alcuni casi a risciacquarsi la bocca con Gramsci e persino con lo stesso Marx…). Cosa del resto non nuova, se pensiamo per es. che lo stesso Mussolini all’inizio si spacciava per pseudo socialista… Favoriti dai tempi (e dal “tradimento” degli istituti storici della sinistra, partiti, sindacati ecc..) hanno reso più’ moderna ed efficace sul piano culturale la loro capacita’ di mimesi, in attesa (ormai ci siamo) di mostrare il loro vero volto.
    Grazie per l’ottima recensione/segnalazione…

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