«Il vento e il vortice»: parlando a Mantova con Agnes Heller

di Riccardo Mazzeo (*)

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Bellissimo parlare di utopie e distopie all’Università della Terza Età a Mantova, un’esperienza di quelle che restano nel cuore. C’erano tante persone giovani e non più giovani ma tutte quante vive, curiose, accese dal desiderio di espandere i confini del pensiero e delle emozioni, cuori pulsanti, vigili, protesi e generosi.

Ho sempre creduto nella potenza generativa e trasformativa del confronto e dell’interscambio, e con un pubblico del genere ho optato per una rassegna piuttosto veloce del libro scritto con la grande filosofa Agnes Heller che dovevo presentare, «Il vento e il vortice», per introdurre invece riflessioni nuove, offrire stimoli per riceverne a mia volta e rielaborarli tutti insieme.

Agnes Heller descrive le utopie come «creazioni dell’immaginazione che combinano alcune credenze della loro epoca con la passione della speranza». L’utopia è il vento che ci sospinge alla ricerca di un mondo migliore di quello in cui viviamo: talvolta volgendo lo sguardo al passato, cullandoci nell’illusione che sia esistito davvero, a un passato recente o remoto, un modus vivendi ideale da recuperare, da far riemergere dagli sterpi e dal fango morale in cui ci sembra di vivere adesso. Questa è una tendenza che si manifesta con forza crescente oggigiorno a causa dello sperdimento e dell’orizzonte piombato indotti dalla globalizzazione, dalla liquefazione dei legami sempre più virtuali e dei posti di lavoro sempre più precari o semplicemente cancellati. In proposito, basta confrontare la percentuale di dipendenti di un’azienda della Silicon Valley con quella di un’azienda qualunque della modernità “solida” del passato: il rapporto è di 1 a 100. Pagare persone per svolgere un lavoro con competenza non è più conveniente nel nostro “mondo nuovo” immateriale governato da algoritmi e in misura crescente da robot; i risultati sono pessimi ma verniciati di un politically correct levigato e formalmente inappuntabile. Un esempio da brividi della cancellazione non solo del lavoro ma anche della dignità umana ce lo fornisce l’ultimo magnifico e straziante film di Ken Loach «Io, Daniel Blake»: un carpentiere che dopo un attacco di cuore non può più lavorare e si deve scontrare con il muro di gomma di operatori asettici quanto insensibili che non gli concedono l’indennità che gli servirebbe per sopravvivere: né a lui né ad altre persone in difficoltà. Il film ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes, e sul serio vedendolo o guardando «Due giorni, una notte» dei Fratelli Dardenne è difficile non rimpiangere un passato che, per quanto allora potesse risultare ruvido, viene percepito adesso come “l’età dell’oro” di Ovidio di cui parla Agnes Heller.

Bauman ha dedicato alla nostalgia utopica del passato il suo ultimo libro che uscirà per Polity nel gennaio 2017, «Retrotopia», in cui spiega come il “Back to …”, il vagheggiare il ritorno a Hobbes, alla tribalità, all’ineguaglianza e perfino al ventre materno siano spinte fortissime che vediamo all’opera principalmente nell’Est europeo ma anche da noi con la Lega o il Front National di Marine Le Pen, per non parlare del fenomeno Trump negli Usa. Tutto questo però è sterile visto che lo scenario è mutato e va ripensato integralmente, come è vano prefigurare utopie future di uno Stato perfettamente giusto come quelle di Tommaso Moro, Campanella o dello stesso Marx da cui sarebbero scaturiti i 25 milioni di morti sotto Stalin. Ecco perché il vento fertile, irrinunciabile delle utopie, così suscettibile di avere come risultato il suo contraltare infernale che è il vortice delle distopie, va vissuto con lo spirito critico che ci viene instillato dalla letteratura, dalla sociologia, dalla psicoanalisi, dalle pop culture e soprattutto dalla consapevolezza della nostra imperfezione, del “punto di notte” che tutti ci abita e con cui dobbiamo fare i conti se vogliamo svegliarci dal torpore di una presunta infinità dell’insensatezza e contribuire, con i nostri limiti, a un paesaggio umano e sociale più degno e gratificante.

(*) pubblicato su «Nuova Cronaca Mantovana»

 

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