Il volo di un castello errante…

in una città nella valle del vento: alcune considerazioni sul cinema d’animazione di Hayao Miyazaki alla notizia del suo ritiro

di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia   

«Questo porta all’idea che il mondo non è solo per gli uomini, ma per ogni forma di vita, e agli uomini è concesso di vivere in una parte del mondo. Non è che possiamo convivere con la natura fintanto che viviamo in modo rispettoso, e che la distruggiamo perché diventiamo avidi. Quando ci accorgiamo che anche vivere in modo rispettoso distrugge la natura, non sappiamo che fare. E credo che se non ci mettiamo nella posizione di non sapere cosa fare e partire da lì, non possiamo risolvere i problemi ambientali o i problemi che coinvolgono la natura»: così Hayao Miyazaki.

Purtroppo la notizia che molti attendevano con trepidazione è arrivata. A darla è stato Hayao Miyazaki in persona, durante la 70esima mostra del cinema di Venezia, dove era in concorso la sua ultima fatica, «S’alza il vento», ispirato alla vita del creatore del motore dei temibili aerei da guerra Zero.

Miyazaki si ritira. I suoi film, per la complessità e i tempi di lavorazione, facendo poco uso della computer grafica, gli richiedono in media dai 6 ai 7 anni di tempo, quindi – non pensando di vivere ancora per così tanto tempo – lascia il mondo dell’animazione.

Ci ha regalato un patrimonio immenso, non solo in opere: tra film personali, sceneggiature, disegni e manga, ma anche con lo Studio Ghibli, una realtà che conta al suo attivo circa 150 dipendenti. Lo si trova a una delle fermate della metropolitana di Tokyo, un luogo magico ed etereo, molto lontano dal gusto americano di Disneyland.

La fantasia in quel luogo sembra mescolarsi senza stridori con la realtà, sembra quasi di assaporare con i sensi quell’irreale realtà; come se la mente, alla fine, potesse tranquillamente scavalcare la percezione, per ritrovare un terreno diverso di conoscenza.

O meglio, un bagnasciuga dove le creature della terra possano incontrare senza difficoltà la fauna e la flora marina, non quindi un’irrealtà che si intromette a forza nel reale, ma due mondi paralleli che si toccano su un’altra dimensione dove entrambi possono coesistere.

Tutto ciò è stato reso possibile dall’opera di questo simpatico ometto che risponde al nome di Hayao Miyazaki.

Nato a Tokyo il 5 gennaio 1941, passa l’infanzia a contatto da un lato con la tremenda esperienza della guerra e dall’altro con l’azienda di famiglia, una fabbrica che produceva componenti per aerei, proprio i famosi Zero che torneranno prepotentemente nelle sue storie come la tematica costante del volo.

Fin dall’adolescenza, Miyazaki dimostra una forte predisposizione e passione per il disegno, ma ciò non gli impedirà di laurearsi in scienze politiche e in economia nel 1963, entrando a far parte poco tempo dopo della squadra di disegnatori della TOEI Animation, dove incontrerà la futura moglie.

Si distinse non molto tempo dopo, proponendo un miglior finale per l’opera «Gariba no uchu ryoko» («Gulliver’s travels beyond the moon», qui in Europa uscito solo in inglese) per poi essere preso sotto l’ala protettrice del maestro Yasuo Ōtsuka, che lo vorrà fortemente come animatore chiave e scenografo nel lungometraggio animato «Taiyō no Ōji – Horusu no daiboken», (edito in Italia dapprima con il titolo «La grande avventura del piccolo principe Valiant» quindi come «Il segreto della spada del sole») film animato diretto da Isao Takahata: una collaborazione che non solo era destinata a durare nel tempo, ma che avrebbe donato veri e propri capolavori al mondo dell’animazione e del cinema tout court.

Non dimenticando la sua vocazione di fumettista, Miyazaki riuscì a far pubblicare il suo manga «La tribù del deserto» (1969-70), da cui avrebbe tratto ispirazione per alcuni suoi lavori futuri.

Il gruppetto formato da Miyazaki, Yasuo Ōtsuka e Isao Takahata volle provare a mettere insieme le proprie forze per un’avventura comune, per questo emigrarono pieni di entusiasmo presso la “A Production”, dove diedero alla luce alcuni episodi della prima serie di «Lupin III», amatissima e censuratissima in Italia, tratta dal manga per ragazzi di Monkey Punch.

Nel 1971 tentarono di realizzare una riduzione del romanzo «Pippi Calzelunghe» ma Astrid Lindgren non concesse i diritti; i disegni preparatori furono riutilizzati per il personaggio di una bambina con le treccine nel film animato «Il circo sotto la pioggia», secondo capitolo dell’opera «Panda! Go, Panda!», («Panda kopanda»).

Nel 1973 Miyazaki e Takahata iniziarono la collaborazione con la Zuiyo Pictures (poi Nippon Animation) lavorando ad alcune serie animate relative al famoso progetto «World Masterpiece Theater», una serie animata creata ogni anno traendo spunto dai più famosi libri per ragazzi di tutto il mondo.

Furono affidati a lui il progetto e l’organizzazione di scena (spesso con Takahata quale regista) in «Heidi» («Alps no shōjo Heidi», 1974, da un racconto svizzero), «Marco» («Haha o Tazunete Sanzen-ri», del 1975, tratto dal racconto «Dagli Appennini alle Ande» nel libro «Cuore»), «Anna dai capelli rossi» («Akage no Anne» del 1979, serie canadese tratta dall’omonimo romanzo di Lucy Maud Montgomery).

Fu anche animatore chiave di «Rascal, il mio amico orsetto» (“Araiguma Rasukaru” del 1977, tratto da un racconto statunitense).

Tutte opere che sarebbero entrate prepotentemente nell’immaginario dei bambini italiani, i quali avrebbero conosciuto Miyazaki poco dopo l’avvento di Goldrake cioè nel 1978.

L’opera che lo avrebbe definitivamente consacrato nel cuore dei piccoli spettatori, e di cui ho già parlato ampiamente qui in blog è «Conan, il ragazzo del futuro», serie animata post-apocalittica tratta dal romanzo «The incredible tide» di Alexander Key, in cui Hayao Miyazaki rivestiva il ruolo di regista e di animatore insieme a Yasuo Ōtsuka, oltre a character designer (creatore grafico dei personaggi) e scenografo.

Furono le prove generali per il suo esordio al fulmicotone con il lungometraggio – tratto sempre dalla serie «Lupin III» –«Il castello di Cagliostro» («Rupan Sansei – Kariosutoro no shiro», 1979) animato con 80000 disegni realizzati a mano, sempre insieme a Ōtsuka e Takahata. Narra le vicende di Lupin III alla ricerca di un tesoro nascosto nel castello della famiglia Cagliostro, ispirandosi proprio ai racconti di Maurice LeBlanc.

Nel 1982, Miyazaki diede un volto canino all’impareggiabile investigatore di Baker Street, realizzando, su cofinanziamento RAI, la serie animata «Il fiuto di Sherlock Holmes» («Meitantei Holmes»), in collaborazione con lo Studio Pagot, creatore tra gli altri del pulcino Calimero.

Anche in questa serie è possibile ravvisare alcune tematiche care a Miyazaki, quali i macchinari disegnati fin nei minimi dettagli e la cura per l’ambientazione e la dinamicità dei movimenti, in cui assistiamo a rocambolesche fughe di Moriarty inseguito da Holmes, che tanto sembrano sequenze di volo portate alle iperboliche conseguenze.

Nel 1982, uscì nelle sale quello che sarebbe stato considerato il film debutto dello studio Ghibli, la pietra miliare dell’animazione nipponica, «Nausicaa della valle del vento» («Kaze no tani no Naushika»).

Le vicende si svolgono mille anni dopo i “sette giorni del fuoco”, il periodo di una spaventosa guerra termonucleare portata avanti da giganteschi ordigni senzienti noti come i Guerrieri Invincibili, i quali annientarono la razza umana e distrussero completamente l’ecosistema terrestre, tranne alcune zone rimaste miracolosamente intatte.

La fauna terrestre, come prima era conosciuta, scomparve lasciando il posto a giganteschi mostri-insetto giganti, meglio conosciuti come “mostro-tarli”, i quali vivono principalmente nella gigantesca giungla tossica che ricopre gran parte del pianeta, composta da piante che emettono spore velenose.

Le poche aree ancora non contaminate costituiscono i blocchi contrapposti dei rispettivi imperi di Tolmechia e Pejite, in rapporti particolarmente bellicosi, tanto per cambiare.

La giungla tossica si sta espandendo sempre più, minacciando ormai concretamente le oasi incontaminate, come la Valle del Vento, ancora risparmiata poiché appunto sottovento e quindi al riparo dal depositarsi delle spore velenose.

La società è regredita al medioevo anche se sopravvivono alcuni aspetti tecnologici della civiltà precedente, quali le navi volanti e le armi da fuoco.

Nella Valle del Vento vive Nausicaä, una ragazza determinata e coraggiosa, unica figlia del sovrano della Valle del Vento, amata e venerata dal suo popolo. Mentre gran parte degli uomini sopravvissuti alla catastrofe vive un rapporto conflittuale con la nuova natura minacciosa, Nausicaä, forte del suo amore per ogni forma di vita, cerca di capire le cause del mutamento e la vera essenza della Giungla Tossica.

Al contrario di chi ritiene che la Giungla possa essere combattuta e distrutta col fuoco, Nausicaä comprende che è possibile convivere con essa e che le piante sono rese velenose dall’inquinamento lasciato dall’uomo secoli prima con la guerra nucleare. In un suo studio-laboratorio segreto, Nausicaä è riuscita a coltivare piante e funghi della Giungla del tutto inoffensivi per l’uomo, alimentandoli con acqua pura.

Purtroppo la guerra torna a minacciare l’umanità, i Tolmechiani attaccano la Valle del Vento, uccidendo il padre di Nausicaa e facendola poi prigioniera.

Gli abitanti saranno costretti a partire alla ricerca di uno strano ordigno, che si rivelerà essere il cuore dell’ultimo Guerriero Invincibile sopravvissuto alla catastrofe di mille anni prima, una macchina da guerra che potrebbe rovesciare le sorti del conflitto con l’impero di Pejite.

La regina di Tolmechia, Sashana, è stata mutilata da giovane da un mostro-tarlo, per questo nutre un odio profondo verso la giungla tossica. Non appena avrà conquistato Pejite, distruggerà la giungla tossica con le armi termonucleari del Guerriero Invincibile.

Nausicaa si oppone strenuamente a questo piano suicida, affermando che i luoghi devastati da tali armi non faranno altro che alimentare l’inquinamento di cui si nutrono le piante tossiche.

La regina non vuole ascoltarla, sferra attacchi tremendi, arrivando anche a usare i mostro-tarli come carri armati per la definitiva offensiva, usando i loro cuccioli come esca.

Nausicaa riesce a fuggire durante uno scontro fra un drappello di tolmechiani e un caccia d’attacco di Pejite, precipitando però nella giungla tossica insieme al suddetto veicolo, priva della maschera per respirare.

Risvegliandosi, Nausicaa è soccorsa da Asbel, il pilota del caccia, insieme scopriranno un’incredibile verità: gli esperimenti della ragazza erano corretti, al di sotto degli strati più alti della giungla tossica, le piante filtrano l’aria e l’acqua, rendendo l’ecosistema nuovamente pulito. La natura ancora una volta ha curato se stessa.

Forti di questa scoperta i due tornano indietro per scongiurare il rischio che il Guerriero Invincibile venga usato per bruciare la Giungla – con la conseguenza di vedere le sue spore diffuse in tutto il mondo dalle fiamme – ma devono constatare che Pejite, ridotta alla disperazione sotto l’attacco di Tolmechia, sta usando gli insetti come arma finale. E che un’orda di mostri-tarlo è stata indirizzata contro la Valle del Vento perché spazzi via il cantiere dove il Guerriero Invincibile sta lentamente rigenerando dal suo nucleo.

Nausicaä riesce a fermare i mostri-tarlo sacrificando la vita, mentre il Guerriero Invincibile fallisce: usato troppo presto da Kushana, muore nello sforzo di distruggere con le sue armi termonucleari l’orda di insetti. Nausicaä si rivela così essere il condottiero vestito di azzurro (la sua veste viene infatti tinta di blu dal sangue del cucciolo di mostro-tarlo, che lei salva) del mito, che cammina su un cielo d’oro: i tentacoli dei mostri-tarlo che le restituiscono la vita e la portano in trionfo, indicando all’umanità la via della pace, della comprensione reciproca e della convivenza con la natura.

Grazie al successo di questo film, Hayao Miyazaki fu in grado di compiere il salto definitivo e fondare uno studio in proprio, chiamato Ghibli non tanto per il forte vento del Sahara, ma in riferimento a un aereo italiano degli anni 30.

Il primo lungometraggio dello studio vide la luce nel 1986: è «Laputa – Castello nel cielo» («Tenkū no Shiro Laputa») che narra dell’avventura di due ragazzi, sulle tracce di una misteriosa e magica isola fluttuante nel cielo (lo spunto fu la città di Laputa, descritta da Jonathan Swift ne «I viaggi di Gulliver»).

La storia inizia con una bambina, Sheeta, che per scappare da un gruppo di pirati dell’aria intenzionati a catturarla scivola dall’aeronave su cui stava viaggiando e cade dal cielo su un villaggio. Durante la caduta una misteriosa luce avvolge la piccola, che improvvisamente inizia a galleggiare nell’aria, fino ad atterrare dolcemente nelle braccia di un ragazzo orfano, Pazu, di ritorno alla fine del suo turno in miniera.

Dopo averla soccorsa, Pazu la porta nella sua casa. La mattina, appena svegli i due fanno subito amicizia e durante la conversazione Pazu scopre che Sheeta è una discendente del popolo di Laputa, abitanti di una leggendaria città-castello volante che viaggia nel cielo da centinaia di anni nascosta dalle nuvole. In pochi credono alla esistenza del castello, ma Pazu ne è convinto grazie al fatto che suo padre, anni addietro, riuscì a fotografare parte della imponente struttura. Pazu racconta che persino nel romanzo «I viaggi di Gulliver» Swift vi è una descrizione del castello. Il ragazzo decide quindi di aiutare Sheeta a ritornare nella sua città e insieme intraprendono una lunga avventura, costantemente inseguiti dai pirati e dall’esercito.

Nel 1988, mentre Takahata portava a termine «Una tomba per le lucciole», Miyazaki presentò «Tonari no Totoro» («Il mio vicino Totoro»), poetica favola moderna sull’incontro di due bambine con un essere magico chiamato Totoro, uno spirito buono della natura (la cui sagoma fu poi scelta come logo dello Studio) premiata come miglior film dell’anno in Giappone.

Ambientata nella Tokyo degli anni ’50 è un’avventura sospesa fra il sogno e la veglia, quello dell’incontro fra le due bambine e lo spirito Totoro, che le accompagna alla scoperta della natura e dei segreti della vita. Le sorelline Satsuki e Mei sono costrette a trasferirsi in una casa in campagna per permettere al loro papà di essere più vicino alla madre ricoverata in un sanatorio.

La casa sembra immersa in un’atmosfera irreale. Mei, esplorando la sua nuova casa e seguendo delle tracce di ghiande, s’imbatte in due spiritelli, uno piccolissimo dal pelo bianco e uno più grande e azzurro. Li segue fin dentro al grande albero di canfora che domina sulla zona, incontrando Totoro, uno spirito buono dall’aspetto un po’ pittoresco: un incrocio fra una talpa, un orso e un procione. È un personaggio che Mei ha già visto in un libro di fiabe, un troll, in giapponese tororu, ma la bambina avendo solo quattro anni ne storpia il nome in totoro.

Ma solo ai bambini è concesso vederli, infatti suo padre, ritrovata al figlia, non riuscirà a scorgere il gigantesco e paffuto troll, ma ne è consapevole, tanto da raccomandare alle figlie di tenere gli occhi aperti.

Una sera, le due bambine vanno incontro al padre alla fermata dell’autobus, sotto la pioggia, e incontrano Totoro, che aspetta un autobus molto speciale, il “Gattobus” (Nekobus), un autobus peloso con muso di gatto e 12 zampe che si muove a grande velocità superando qualunque ostacolo, assecondato dagli alberi che si scostano al suo passaggio, visibile solo a chi ha ancora la fantasia di un bambino.

Nell’attesa, Satsuki offre un ombrello a Totoro, che le regala dei semi da piantare nel giardino della casa.

Forse è stato solo un sogno, si dice la bambina, ma è inequivocabile che al mattino i germogli sono veramente spuntati fuori in giardino dove aveva piantato i semi regalati da Totoro.

La mamma peggiora e Mei, preoccupata, decide di andare a trovarla, portandole una pannocchia di granoturco.

Si perde ma viene aiutata da Totoro e dal Gattobus, trasportata di volata dalla madre.

Forse anche questo è stato solo un sogno, ma al mattino la donna trova sul davanzale proprio la pannocchia in questione e le sembra di aver visto attraverso il vetro la figlia Mei e il suo vicino Totoro.

Nel 1989 esce «Kiki consegne a domicilio», primo successo al botteghino dello Studio Ghibli, che approfitterà dell’evento per ingrandirsi.

Altro capolavoro di Miyazaki, narra le vicende di una bambina dotata di poteri magici che deve iniziare il proprio noviziato da strega in un’altra città una volta compiuti i tredici anni.

Lo scontro fra Kiki e la vita è tremendo: la ragazza si sente davvero spaesata e senza un riparo, solo grazie all’intervento della gentile fornaia Osona riesce a trovare asilo.

Kiki decide di mettere a frutto l’unico talento magico di cui sembra dotata, quello di far volare la scopa, e apre un’azienda in proprio per la consegna a domicilio di pacchi.

Finalmente Kiki comincia a integrarsi alla città, impara a maturare e a riconoscere ciò che di buono c’è in tutte le persone. Durante questa sua lenta maturazione, Kiki è talvolta euforica e talvolta depressa con repentini sbalzi di umore, e ne fa le spese il povero Tombo, un ragazzo di città affascinato dal volo, suo coetaneo e suo primo vero amico, che non sempre riesce a capire il carattere difficile della ragazza.

Un giorno però accade un evento apparentemente inspiegabile: la capacità di volare che Kiki possedeva fin da bambina sembra svanire. Kiki è disperata e solo allora comincia a rendersi conto di cosa veramente rappresenti l’anno di noviziato: riuscire a trasformare le proprie attitudini e il proprio talento di bambina nell’attività da svolgere da adulti. Qualora avesse fallito, lei non avrebbe avuto più alcun valore. Con l’aiuto di Ursula, una sua amica pittrice, capisce però che la perdita dell’ispirazione o la paura di non essere in grado di svolgere il proprio compito, è una cosa naturale e che solo riuscendo a superare questi momenti di sconforto si può crescere e maturare.

«Il sangue della strega, il sangue del pittore, il sangue del panettiere… Come dei poteri donatici da Dio o chi per lui, ma per questi doni possiamo anche soffrire», le spiega Ursula.

Improvvisamente per televisione viene trasmesso un servizio in diretta: un dirigibile ancorato presso la cittadina ha rotto gli ormeggi a causa del forte vento ed è in balia della tempesta.

Kiki si rende conto che il suo amico Tombo era salito proprio su quel dirigibile e ora si trova aggrappato a una fune fuoribordo.

Mentre il dirigibile viaggia senza controllo sui tetti della città, Kiki riesce a superare il blocco psicologico che non le permetteva più di volare e a cavallo di uno spazzolone si libra nell’aria per salvare il suo amico.

Finalmente Kiki ha raggiunto l’età adulta e può prendersi cura dello stralunato appassionato del volo, che ricorda molto da vicino proprio Miyazaki.

«Credo che le anime dei bambini siano gli eredi della memoria storica delle generazioni precedenti»: così Hayao Miyazaki.

Su questa linea di pensiero, vede la luce «Porco rosso», nel 1992.

Marco Pagot è un asso della Regia Aeronautica che in seguito a un misterioso incidente (occorsogli durante la prima guerra mondiale e al quale è miracolosamente sopravvissuto) ha assunto inspiegabilmente l’aspetto di un maiale antropomorfo.

Abbandonata l’aeronautica e la vita mondana (compreso l’amore per Gina, la bella cantante di un night club allestito su un’isoletta dell’Adriatico e frequentato da contrabbandieri) si ritira sulla costa dalmata, guadagnandosi da vivere con le taglie poste sui pirati dell’aria che combatte con il suo idrovolante monoplano dipinto di rosso (da cui il soprannome “Porco Rosso”).

I pirati dell’aria, per toglierlo di mezzo, ingaggiano un asso dell’aviazione americana, tale Donald Curtis, il quale si confronta duramente con Porco Rosso, riuscendo alla fine ad abbatterlo.

In realtà, Marco Pagot è sopravvissuto e con quello che rimane del suo aereo, si dirige a Milano, alla ditta Piccolo SPA, per farlo riparare.

Tutti sono però andati via in seguito all’avvento del fascismo, è rimasta solo la figlia piccola Fio, la quale è molto coraggiosa e determinata, particolarmente competente.

Fio ripara giorno e notte l’aereo di Porco Rosso, che rimane in attesa, andando in giro per Milano, dove incontra il suo ex-commilitone Arturo Ferrarin, il quale gli consiglia di diventare fascista e di entrare nella Regia Aeronautica del Regno d’Italia.

«Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale» risponde Marco Pagot, il quale deve poi fuggire poiché ricercato proprio dal Fascio insieme alla piccola Fio, che lo convince a portarla con sé.

Nel frattempo Curtis, donnaiolo e narcisista, cerca di conquistare Gina, dicendole che a Hollywood sono interessati a lei come aspirante attrice, ma la donna risponde che anni addietro ha scommesso con se stessa di aspettare una certa persona nel suo giardino privato anche per tutta la vita, e che se quella persona dovesse un giorno presentarsi a lei alla luce del sole lei lo avrebbe amato.

Porco Rosso e Fio fanno ritorno all’isola rifugio di Marco nell’adriatico, ma vengono assaliti dai Pirati dell’Aria. Fio si frappone a muso duro contro di loro, arrivando a deriderli e a rimproverarli di aver tradito l’antico onore dell’aviazione e di essersi fatti leccapiedi dello straniero americano. Curtis e Porco Rosso si sfidano a duello aereo proprio per dirimere la questione: se Curtis perde salderà di tasca sua i conti di Porco Rosso, in caso contrario Curtis potrà sposare la giovane Fio.

Il duello richiama una grande folla ed è senza esclusione di colpi, ma al momento decisivo la mitragliatrice di Porco Rosso si inceppa e quella di Curtis si scarica. I due a quel punto decidono di concludere lo scontro a suon di pugni, e alla fine a vincere è Marco.

L’arrivo improvviso della Regia Aeronautica costringe i pirati e gli altri spettatori ad andarsene in tutta fretta; Marco affida Fio a Gina perché la riporti «nel mondo della gente rispettabile» mentre lui e Curtis (che sembra aver notato qualcosa nella faccia del suo avversario dopo un bacio di Fio) si offrono di fare da esca agli inseguitori per permettere agli altri di scappare.

Passano gli anni. Gina e Fio diventano grandi amiche, e superano insieme gli anni del ventennio fascista e della seconda guerra mondiale. L’hotel Adriano gestito da Gina continua a essere una rinomata meta turistica, frequentato anche dagli ormai anziani Pirati dell’Aria; Curtis, tornato in America è diventato un attore, ma ricorda con nostalgia quell’estate sull’Adriatico. E su come si sia conclusa la scommessa di Gina, la ragazza risponde agli spettatori che «è un segreto soltanto nostro».

Dopo alcuni anni di lavorazione uscì nel 1997, «Princess Mononoke» («Mononoke-hime») che batté ogni record di incassi in Giappone e collezionò numerosi premi. Era ambientato in Giappone nel Periodo Muromachi (1333-1568) e inscenava il difficile rapporto fra l’uomo e la natura (e fra gli uomini stessi), il suo lato violento e quello armonioso, all’interno di un’atmosfera mistica popolata di dèi.

In quest’occasione Miyazaki affermò di volersi dedicare ad altri ruoli all’interno dello Studio Ghibli, lasciando la regia ai giovani autori nel frattempo cresciuti alla sua scuola. Ritornò però presto dietro la macchina da presa e nel 2001 usciva «La città incantata» («Sen to Chihiro no kamikakushi») che in patria ripeté l’ormai consueto rituale di successi presso la critica e il pubblico; lo stesso avvenne nel resto del mondo (fra i premi vinti l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e l’Oscar 2003 per il migliore lungometraggio di animazione, premio per altro non ritirato personalmente in segno di protesta contro la guerra in Iraq).

Nel 2004, Miyazaki partecipa alla 64esima Mostra del Cinema di Venezia con il lungometraggio «Il castello errante di Howl», superba opera steampunk.

Sophie è una ragazza semplice, appassionata del suo lavoro, che a soli 18 anni gestisce il negozio di cappelli del padre defunto, passando così l’intera giornata fra il negozio e la casa. Mentre va in panetteria a trovare la sorella minore, Lettie, viene importunata da due gendarmi, presenti in città per l’imminente guerra, ma è salvata da un avvenente ragazzo, il misterioso mago Howl, il quale prova subito simpatia per la ragazza. Tornata in negozio, Sophie riceve una visita della Strega delle Lande Desolate: la strega da tempo ricerca il cuore di Howl per averlo tutto per sé, e scaglia una maledizione sulla ragazza, trasformandola in un’anziana donna e impedendole di rivelare la verità sulla propria condizione. Impaurita dal nuovo aspetto e temendo la reazione dei suoi familiari, Sophie scappa via.

Con la scusa di andare a trovare la minore delle sue sorelle si incammina e, stanca per la sua nuova forma fisica, cerca un bastone che possa darle aiuto nello scalare le montagne: cerca così di prendere un bastone di legno in una siepe, che scopre essere di uno spaventapasseri animato dalla testa di rapa, salvandolo. Chiede allora ironicamente a “Testa di Rapa”, il nome che dà allo strano bastone, un rifugio per la notte, e lui la conduce alla dimora di Howl, un castello in grado di spostarsi da un posto all’altro.

Una volta dentro, Sophie incontra il demone del fuoco Calcifer, il quale alimenta il castello; essendo un demone molto potente, si accorge che Sophie porta addosso una maledizione ingarbugliata di cui ella non può fare parola. Calcifer rivela che nel momento in cui Sophie scioglierà la maledizione che lo lega al castello e ad Howl, immediatamente lui scioglierà la maledizione che rende Sophie una nonnina.

Al calore del fuoco Sophie si addormenta e viene svegliata la mattina successiva dal bussare di gente alla porta del castello. Markl, un giovane apprendista di Howl, arrivato al piano terra, riceve un invito da parte del re e, perplesso per la presenza di Sophie, chiede chi essa sia, ma senza buttarla fuori. Nel corso della storia il loro rapporto diventerà sempre più forte, come quello di due fratelli. Intanto, mentre Sophie si adatta alla vita del castello, scopre che la porta d’ingresso è un portale magico che conduce in quattro luoghi diversi,tutti distinguibili da diversi colori situati in un cerchio diviso in quattro parti sul pomello della porta e sul muro d’entrata (rosso, giallo, verde e nero) dal mare alla montagna. Inoltre, in ognuno di questi luoghi Howl è conosciuto con un nome diverso.

Quando appare Howl, Sophie si presenta come la donna delle pulizie del castello, assunta da Calcifer. Howl capisce subito che la nonnina è in realtà la giovane incontrata tempo prima, ma non lo vuol far notare. Inizialmente, Sophie vive tra la città di mare lontana dalla guerra (che ricorda proprio la prima guerra mondiale), la capitale in cui la misteriosa scomparsa del principe ereditario Justin fa sì che la guerra si insinui e una splendida campagna, incontaminata.

Il re convoca Howl per combattere in guerra, sia come Jenkins sia come Pendragon, e Sophie scopre che l’uso delle molteplici identità lo aiuta a esser libero. Tuttavia Howl teme Madame Suliman, maga di corte reale e sua ex mentore, e chiede a Sophie di andare a parlarle al suo posto, presentandosi come la madre di Pendragon e dichiarando quanto codardo sia il figlio, per convincere il re a non farlo andare in guerra.

A palazzo, Sophie si imbatte in un cane asmatico, Heen che inizialmente pensa essere Howl sotto copertura. Incontra anche la Strega delle Lande Desolate, che, dopo essere stata allontanata cinquant’anni prima, cerca di riconquistare il patrocinio della casa reale. Invece di accoglierla, la Maga Suliman punisce la Strega, scaricando tutta la sua potenza su di lei e facendole assumere la sua vera forma: un’innocua vecchietta, con pochi ricordi delle sue azioni passate, come la sua ossessione per il cuore di Howl. Suliman dice a Sophie che Howl incontrerà la stessa sorte se non contribuisce alla guerra. Sophie, prendendo le difese di Howl, protesta con veemenza, indebolendo per qualche istante l’incantesimo della Strega grazie all’amore nelle sue parole. Suliman, comprendendo i sentimenti di Sophie, realizza che proprio lei è il punto debole di Howl.

Howl, sotto i panni del Re, arriva per salvare Sophie, ma la sua copertura salta quando il vero Re entra nella sala. Suliman cerca di intrappolare Howl, ma i due riescono a fuggire, con la Strega delle Lande, ormai inerme, e il cane Heen. L’anello magico di Howl permette a Sophie di arrivare da Calcifer, mentre Suliman inizia il suo inseguimento per raggiungere Howl.

Sophie scopre che Howl si trasforma in un uccello capace di interferire nello svolgimento della guerra, ma a ogni trasformazione diventa più difficile tornare alla forma umana. Howl, per una maggiore copertura, apporta modifiche al castello: una delle entrate corrisponde a quella della vecchia casa di Sophie, mentre un’altra alla residenza d’infanzia di Howl, un dono che fa a Sophie.

Sophie cambia continuamente aspetto, da vecchia a giovane e viceversa, fino a che non si stabilizza temporaneamente su un aspetto giovane con i capelli color argento. Mentre passeggiano per il giardino donato a Sophie, una nave bombardiere vola sopra la casa di Howl e lui, inorridito dalla quantità di bombe al suo interno, ne provoca il malfunzionamento. Non solo la nave subisce i danni: anche il braccio sinistro di Howl si ricopre in parte di piume, mentre le dita si trasformano in lunghi artigli. I sottoposti di Suliman attaccano i due ed Howl è costretto a nascondere Sophie nel castello, mentre lui torna a combattere.

La madre di Sophie visita la casa e riconosce in qualche modo la figlia, nonostante il suo aspetto, ma dopo il felice ritrovarsi, sotto la minaccia di Suliman, lascia dietro di sé una borsa contenente un insetto spione. La Strega delle Lande lo scopre e lo distrugge buttandolo su Calcifer. Purtroppo, Calcifer si ammala dopo aver mangiato l’insetto, diventando incapace di proteggere il castello, e quando Markl apre le finestre per arieggiare l’ambiente in cui la Strega delle Lande ha fumato il sigaro trovato nella borsa lasciata dalla madre di Sophie, la copertura rischia di saltare.

Poche istanti dopo, la città subisce un bombardamento a tappeto da aerei nemici, mentre gli emissari di Suliman invadono il negozio di cappelli. Dopo essere arrivato al momento giusto per proteggere il negozio di cappelli dai bombardamenti, Howl riesce a fermare l’esplosione di una bomba, proprio nel cortile di casa. Poi risistema le protezioni del castello, aiutando Calcifer a riprendersi, e riparte per salvare la città dai bombardamenti, confidando a Sophie di non voler più scappare perché adesso ha trovato qualcuno da proteggere e difendere: lei. Per far perdere le loro tracce, Sophie convince Calcifer ad abbandonare il focolare e a distruggere così il castello. Distrutto tutto, Calcifer riprende possesso del vecchio posto, ma grazie alla treccia che gli dona Sophie recupera le forze perse e con i resti del castello crea una versione più piccola del castello errante, così da andare in aiuto ad Howl.

In tutto questo, la strega intuisce che il cuore di Howl è custodito dalle fiamme di Calcifer (il quale ha bisogno di una parte di qualcuno per contribuire nella magia potente) e lo afferra. Prendendo il cuore di Howl, la strega prende anche Calcifer, che – grazie all’effetto della treccia di Sophie – diventa molto più forte; il fuoco che ne consegue, rischia di uccidere la strega. Per salvarla dalla combustione, Sophie butta addosso alla strega e a Calcifer dell’acqua. Con Calcifer quasi estinto, ciò che resta del castello si rompe in due parti: una in cui si trovano Sophie e Heen, che cadono all’interno di un dirupo, un’altra in cui si trovano Markl e la strega, con l’ormai debole Calcifer ancora nelle sue mani (in tutto questo Sophie mantiene le sembianze giovanili).

Sophie cade in lacrime, credendo di aver ucciso sia Calcifer sia Howl, visto che le loro vite sono collegate. Mentre singhiozza, l’anello che le ha dato Howl emette una luce che indica una porta del castello. La ragazza cammina attraverso essa, e Heen la segue con riluttanza: si ritrovano nel passato di Howl. Sophie vede la casa d’infanzia di Howl e il momento in cui Howl ha catturato Calcifer, una giovane stella cadente, stipulando un contratto con lui. A un tratto Sophie viene risucchiata indietro nel tempo presente, ma prima di partire riesce a urlare ad Howl e a Calcifer che lei sa come aiutarli, e che se la aspetteranno lei darà loro una mano in futuro. Sophie segue poi la strada indicata da Heen, che continua a sollecitarla perché faccia in fretta, prima che il passaggio fuori dal tempo e dallo spazio crolli.

Tornando al presente, Sophie trova Howl, ormai perso nella forma di uccello davanti alla porta, e proprio in quell’istante si rende conto che lui l’ha aspettata per tutto quel tempo. Quando raggiungono gli altri, Howl diventa di nuovo umano e Sophie supplica la strega di restituire il cuore, che mette di nuovo nel petto di Howl, con l’accordo di Calcifer.

Anche se Howl non ha ancora ripreso conoscenza, Calcifer torna nella sua forma originale e vola via. Con Calcifer lontano, i resti del castello scivolano giù per il pendio della montagna e Testa di Rapa si sacrifica frenando la caduta per salvare gli altri, spezzandosi. Come ricompensa delle sue azioni coraggiose, Sophie gli dà un bacio, trasformandolo di nuovo nel principe Justin, che era stato maledetto da una strega fino a che non avesse ricevuto un bacio dal suo vero amore.

Ormai Sophie è riuscita a tornare al suo aspetto giovanile (con l’eccezione dei suoi capelli d’argento) e Howl recupera le forze, grazie al suo cuore. Il principe Justin si rende conto che Sophie è innamorata di Howl, mentre Suliman che spia il gruppo utilizzando Heen (il cane infatti era stato inviato per seguire ogni movimento del gruppo, ma, fedele a Sophie, contatta Suliman solo alla fine per darle la notizia che tutto è finito bene) decide di porre fine alla guerra. La strega delle Lande capisce il suo amore non ricambiato, e per questo, rassicurandolo, gli dice di non preoccuparsi,e scherzosamente, aggiunge che ad aspettarlo c’era ancora lei.

Calcifer, rendendosi conto che non può sopportare di lasciare i suoi amici, torna da loro. Howl, Sophie e gli altri sono poi visti a bordo di un nuovo castello errante in volo, alimentato da Calcifer di sua spontanea volontà, mentre gli aerei bombardieri tornano a casa perché la guerra è finita. Il film termina con Markl e Heen che giocano su un prato del castello, la strega seduta come una nonna cordiale, mentre Howl e Sophie si baciano su un balcone del castello mentre vola nel cielo.

Discorso a parte merita «Ponyo sulla scogliera», graziosa parabola ecologista, in cui si narra di una specie di bambina-pesce fuggita dalla sua casa in fondo al mare a bordo di una medusa e finita su una spiaggia dove viene salvata da un bambino di nome Sōsuke, che la battezza Ponyo, senza sapere che il suo vero nome è invece Brunilde.

Fujimoto, il padre di Ponyo, la costringe a ritornare a casa, ma lei gli confessa che vuole diventare umana perché si è innamorata di Sōsuke.

In assenza del padre, Ponyo riesce a rubargli la magia, così da diventare umana e a usare molti altri poteri, ma in questo modo rompe l’equilibrio del mondo e causa un terribile tsunami che si abbatte sul luogo dove vive Sōsuke.

Ponyo e Sōsuke si ricongiungono, mentre Risa, la madre di Sōsuke, incontra Gran Mammare, la madre di Ponyo. Dopo altri sconvolgimenti, causati sempre dalla magia di Ponyo, Gran Mammare rivela a Risa che se i due bambini riusciranno a superare una prova, Ponyo, rinunciando ai suoi poteri, potrà restare umana e l’equilibrio del mondo verrà ristabilito.

Alla fine, l’incontro avviene davvero su un bagnasciuga, ma come Ponyo, dobbiamo essere in grado di andare oltre, proprio grazie all’amore, la forza che unisce tutto.

Un filosofo della natura: questo è Hayao Miyazaki, tenendo sempre presente come sia importante non perdere mai la vena di fantasia che ci permette di scorgere gli aspetti altrimenti nascosti della natura stessa e delle sue divinità basilari.

Come voleva il greco Empedocle, che riteneva che gli elementi fondamentali del mondo fossero animati dall’amore e dall’odio, ecco dunque come l’odio disperde e distrugge, mentre l’amore rende forti e invincibili.

L’essere umano segue continuamente le forze dell’odio, accecato dalla materia, dal denaro e dalla potenza che ne deriva.

Mosso dall’odio per ferite ricevute o per trame politiche velate, ecco l’essere umano apparire sempre come il depositario di un amore mancato, una sete d’affetto che lo porta a compiere le peggiori nefandezze.

Il cinema di Miyazaki – il quale partecipò in gioventù alle manifestazioni sindacali dentro alla TOEI e fu sempre di idee marxiste e socialiste – è un immenso e accorato apologo a portare l’amore nel mondo, rappresentato anche dalla difficoltà della maturazione. Tutto deve maturare e tutto ha il suo tempo. Ognuno di noi ha un talento che può donare agli altri, come Kiki. Può essere sofferenza, perché si scontrerà sempre con la parte di odio presente nel mondo, ma dopo l’amore sovrasterà tutto, arrivando a purificare persino la tremenda giungla tossica, senza per questo distruggerla con la potenza della tecnica e delle armi.

Pacifismo e impegno concreto contro la globalizzazione, la guerra e l’inquinamento.

«Ho creato un’eroina che è una bambina ordinaria, una con cui il pubblico possa identificarsi. Non è una storia in cui i personaggi crescono, ma una storia in cui attingono a qualcosa che è già dentro di loro, tirato fuori dalle particolari circostanze. Voglio che le mie giovani amiche vivano in questo modo, e credo che loro stesse abbiano questo desiderio»: Hayao Miyazaki, a proposito della protagonista di «La città incantata».

 

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