Impianti di compostaggio senza fondi Pnrr

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dà fondi a chi non ne ha bisogno e li nega a chi ne ha.
Articolo ripreso da Associazione Marco Mascagna

L’Italia ha un gran bisogno di impianti di compostaggio, di biodigestione e di biodigestione-compostaggio, cioè di trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani.
Tra questi i più rispettosi dell’ambiente e i più convenienti economicamente sono gli impianti di biodigestione-compostaggio, perché non rilasciano metano e prodotti puzzolenti nell’aria (come avviene negli impianti di solo compostaggio) e producono oltre al compost (un terreno particolarmente fertile) anche metano, che può essere utilizzato per usi energetici (per autotrazione, per cucinare, per riscaldare, produrre energia elettrica) [1]. Negli impianti di biodigestione-compostaggio i rifiuti, in una prima fase, vengono trattati in un contenitore ermeticamente chiuso, che recupera tutto il metano e impedisce la dispersione di sostanze puzzolenti, e, successivamente, in una “camera di compostaggio” dove vengono trasformati in compost.
L’ “umido” è la frazione più abbondante nei rifiuti urbani (circa il 35%) ed è la tipologia di rifiuti che dà più problemi, perché velocemente marcisce e colliqua generando sostanze puzzolenti e anche pericolose. Quindi, se si vuole aumentare sempre più il riciclaggio dei rifiuti, bisogna assolutamente riciclare l’organico trasformandolo in metano e compost.
Dei 10,4 milioni di tonnellate di rifiuti organici presenti nella spazzatura ne sono trattati solo 6,8 milioni (cioè il 71%), quindi occorrerebbero impianti per trattare 3,6 milioni di tonnellate [2].
I fabbisogni di impianti non sono uguali al Nord, al Centro e al Sud Italia e nelle varie regioni. Infatti il Nord Italia produce circa 5 milioni di rifiuti organici e ne tratta il 92%, il Centro ricicla il 37% dei 2,2 milioni che produce e il Sud ricicla il 44% dei circa 3,2 milioni prodotti [2]. Addirittura vi sono regioni che hanno una capacità di trattamento dei rifiuti organici superiore alla quantità prodotta. Il Veneto, la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia sono in “surplus” di impianti (e questo può essere considerato uno spreco), il Trentino Alto Adige e la Val d’Aosta sono in pari e il Piemonte quasi in pari [2].
Le regioni che hanno meno impianti sono la Campania, il Lazio, la Sicilia, la Puglia e la Toscana, che, per questo, portano i rifiuti organici raccolti in impianti presenti in altre regioni, soprattutto in quelle che hanno un surplus di impianti (Veneto ecc.), ma non solo. La Campania porta fuori regione circa il 25% dei rifiuti organici prodotti, il Lazio il 14%, la Toscana l’11%, la Puglia il 7%, la Sicilia il 5% [2].
Ciò è contrario alla normativa sulla gestione dei rifiuti, che è basata sui criteri di autosufficienza (ogni Regione deve avere impianti tali da soddisfare le proprie esigenze) e prossimità (i rifiuti devono essere trattati il più vicino possibile a dove sono prodotti), criteri che, a loro volta, permettono di raggiungere il minore impatto ambientale e di evitare sprechi. Infatti è inquinante e costoso trasportare rifiuti della Campania o del Lazio, tramite camion o treni, fino in Veneto o in Lombardia.
Così, mentre i comuni del Nord Itali per la gestione dei rifiuti spendono in media 175 euro per abitante, quelli del Centro ne spendono 231 e quelli del Sud 202 [2].
Questi costi sono scaricati in parte sui cittadini tramite la TARI. Inoltre, se il comune spende molti soldi per trasportare i rifiuti, gliene rimangono meno per organizzare un’efficace raccolta differenziata o per mantenere vie e piazze pulite.
Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) si è posto l’obiettivo di creare una “rete omogenea di impianti di trattamento e riciclo dei rifiuti, colmando il divario esistente fra Nord e Centrosud”. Per fare ciò ha stanziato 450 milioni di euro e ha stabilito che il 40% delle risorse andranno al Nord e il 60% al Centrosud.
Ora, se il Nord ha una capacità di trattamento dell’organico del 92% e il Centro del 37% e il Sud del 44% e si vuole colmare il divario esistente, bisognerebbe dare il 100% delle risorse al Centro e a Sud perché con soli 450 milioni non si riescono a costruire tanti impianti da “colmare il divario”, lo si può, al massimo, ridurre. Se invece si dà il 40% delle risorse al Nord, cioè una quota molto vicina alla percentuale di abitanti sul totale della popolazione italiana (al Nord risiede il 45% degli abitanti) significa che non si vuole assolutamente “colmare il divario”, ma dare ulteriori risorse a chi non ne ha bisogno o addirittura ha un surplus di impianti. E infatti il 15% delle risorse stanziate sono andate a Veneto, Lombardia e Friuli, tre regioni in surplus di impianti. Una vera follia e uno schiaffo alla miseria [3].
L’altra assurdità è che ormai è di moda concepire tutto come una competizione, una gara, nella quale vince il migliore, chi merita di più. Cosi è successo che i tecnici del Ministero, dopo avere fatto la fatica di selezionare tra centinaia di progetti ricevuti gli idonei, hanno dovuto stilare una graduatoria tra i 480 ben progettati, in modo che si finanziassero solo i “migliori” (a fine gara, con la somma disponibile, se ne sono potuti finanziare meno di 30) [3]. E così è avvenuto che la Campania, la regione che ha più carenza di impianti di compostaggio e che ha presentato 44 progetti ritenuti idonei, avrà solo l’1% delle risorse e che Lazio (99 progetti ritenuti idonei), Puglia e Toscana, altre regioni che hanno una notevole carenza di impianti, non avranno neanche un euro [3]. E non perché non avevano presentato progetti idonei, ma perché i loro progetti hanno mancato, talvolta per un soffio, la “gara di bellezza”. Per un quid trascurato, per non avere pensato a un accessorio a cui altri hanno pensato, per non avere “infiocchettato” meglio la proposta progettuale.
A nostro giudizio non è un caso che le risorse del Centrosud siano andate soprattutto alla Sicilia e alla Sardegna, perché per presentare una serie di progetti cercando di avere il massimo punteggio su tutti i criteri ci vuole personale che si dedichi per giorni a pensarci, scriverli, verificarli, migliorarli e Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale, hanno più personale della Campania o della Puglia. Infatti la meritocrazia, il “diamo i soldi a chi fa meglio” è un gioco truccato, perché non si parte dalla stessa linea di partenza, perché ci sono regioni che hanno molti più dipendenti di altre o più soldi (da utilizzare, per esempio, per chiedere una consulenza a qualche esperto).
Invece non solo per il trattamento dei rifiuti organici, ma anche per gli asili nido, per la sanità, per i trasporti pubblici, per le biblioteche, per i centri anziani ecc. si usa questa iniqua metodologia di suddividere le risorse tra Nord, Centro e Sud (spesso in parti uguali o addirittura dando più risorse a chi ne ha meno bisogno) e poi si dà avvio al torneo e “vinca il migliore!”. Questa folle metodologia non fa che aumentare le disuguaglianze non solo tra Nord, Centro e Sud ma anche tra le diverse regioni di queste macroaree e tra i diversi comuni delle medesime regioni. Chi è forte e pasciuto vince la gara e riceve altre risorse, chi e debole e magro perde e non gli si danno che le briciole.
Tutto ciò sarà ancor più accentuato se si vara l’autonomia differenziata: essa infatti, comunque venga attuata, poiché si basa sul criterio di garantire “la spesa storica”, impedisce in eterno di cambiare questa metodologia e quindi i divari esistenti[4].
E’ ora che i cittadini del Sud Italia, delle aree interne, dei comuni più poveri prendano coscienza di questa decennale, macroscopica ingiustizia ai loro danni e reclamino affinché le risorse servano realmente, e non a chiacchiere, a “colmare i divari”.
Note:
1) Gli studi sono concordi in proposito. Si vedano per esempio: Rigamonti et al.: Life cycle assessment of sub-units composing a MSW management system. Journal of Cleaner Production, 2010;  Khoo et al.: Food waste conversion options in Singapore: Environmental impacts based on an LCA perspective. Science of the Total Environment, 2010; Blengini e Fantoni: Life cycle assessment di scenari alternativi per il trattamento della FORSU, XI Conferenza Nazionale sul Compostaggio: Produzione di compost e biogas da biomasse, 2009; 2) ISPRA: Rapporto rifiuti urbani 2022;  3) Cassa Depositi e Prestiti: Rifiuti e divari territoriali: quali prospettive per l’Italia?, 2023; 4) Le proposte avanzate per la legge quadro sull’autonomia differenziata presentano due sole possibilità: la spesa storica (cioè dare quanto attualmente lo Stato spende per quella regione che chiede di diventare autonoma) e “i costi dei fabbisogni standard”. Questa espressione non significa che viene dato di più a chi più ha bisogno, ma esattamente il contrario. Infatti nella pre-intesa siglata tra Governo e Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna è specificato che “le risorse nazionali da trasferire per le nuove competenze siano parametrate […] a fabbisogni standard […] fatto comunque salvo l’attuale livello dei servizi”. In soldoni ciò significa che le risorse che lo Stato darà alla Regione che ha chiesto l’autonomia non potranno essere inferiori alla spesa storica.
Redazione
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