In America latina tira un brutto clima

Alla recente Cop 26 di Glasgow sono cadute nel vuoto le richieste di maggiori aiuti economici per affrontare il riscaldamento globale da parte dei paesi latinoamericani nei confronti degli stati più ricchi del pianeta, mentre cresce il numero dei difensori ambientali uccisi a causa di Stati assenti e conniventi con le imprese legate all’estrazione mineraria, alla costruzione delle dighe e all’agrobusiness.

di David Lifodi

Última línea de defensa”, l’ultimo rapporto della ong inglese Global Witness, informa che, almeno un terzo degli attacchi mortali di cui sono vittime gli ambientalisti in America latina, è legato allo sfruttamento intensivo delle foreste, all’estrazione mineraria, alla costruzione di nuove centrali idroelettriche e all’agroindustria. Ne sanno qualcosa le organizzazioni contadine e le comunità indigene, dal Brasile al Cile, dalla Colombia al Messico, fino all’Honduras e al Caribe.

Gli scarsi risultati raggiunti in occasione della recente Cop 26 di Glasgow avranno un impatto negativo anche sui paesi dell’America latina. In Brasile, Bolsonaro ha apertamente incentivato la deforestazione e il suo vicepresidente, il generale in pensione Hamilton Mourao, pochi giorni fa ha annunciato il lancio del programma significativamente denominato “deforestazione illegale zero” entro il 2030.

Secondo Sergio Leitao, direttore dell’Instituto Escolhas, che si occupa di studiare l’impatto economico predatorio sull’Amazzonia, il Brasile ha risorse sufficienti per appoggiare economicamente le imprese che fanno capo alla bancada ruralista e, proprio per questo motivo, le comunità indigene chiedono a gran voce che il presidente Bolsonaro venga destituito dalla sua carica.

A Glasgow il Messico si è comunque fatto portavoce di una posizione condivisa da gran parte dei paesi latinoamericani, quella che chiede aiuto ai paesi più ricchi allo scopo di ottenere un sostegno economico per rallentare il riscaldamento globale.

Il Messico è uno dei paesi più vulnerabili di fronte ai mutamenti climatici a causa della sua posizione geografica. Ad esempio, nello stato di Veracruz, si stima che, a fronte della perdita di gran parte dei boschi, i fenomeni metereologici estremi, a partire dalle inondazioni, ogni volta di più metteranno in maggiore difficoltà le fasce sociali più povere del paese, lasciandole indifese di fronte agli effetti del cambiamento climatico.

Storicamente, America latina e Caribe non hanno mai contribuito in maniera significativa alle politiche legate ai cambiamenti climatici, divenendo, al contrario, tra le regioni più vulnerabili di fronte alle conseguenza del riscaldamento globale, ancora di più in questo periodo storico in cui la pandemia ha ulteriormente indebolito le economie di questi paesi.

L’America latina resta il paese più pericoloso per i difensori dell’ambiente, a partire dalla Colombia, dove a morire sono indigeni, afrodiscendenti e i contadini che vivono dell’agricoltura familiare su piccola scala.

Nel 2020, informa Global Witness, in America latina sono state assassinate 227 persone impegnate a difendere l’ambiente, di cui 65 solo in Colombia e 30 in Messico (dove il 95% dei crimini avviene nella più totale impunità) , senza contare i casi di detenzione arbitraria, le minacce di tutti i tipi, le campagne di diffamazione ed una costante persecuzione giudiziaria.

Anche in Brasile, Guatemala e Honduras la situazione è molto critica, come dimostra l’omicidio di Berta Cáceres, assassinata il 2 marzo 2016 per essersi opposta alla costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Gualcarque. In questo contesto, a giocare un ruolo criminale sono le imprese, spesso sostenute dagli stati che rifiutano di indagare sui mandanti morali degli omicidi, aldilà delle indagini, spesso poco credibili, sugli autori materiali.

Ad esempio in Honduras, nei confronti dei difensori del fiume Guapinol, mobilitati per scongiurare la costruzione di un progetto minerario, è stata scatenata una persecuzione giudiziaria promossa dagli apparati politico-istituzionali dello Stato.

È in questo contesto che la Comunidad del Caribe – Caricom (composta da Antigua e Barbuda, Barbados, Belize, Dominica, Granada, Guyana, Haiti, Giamaica, Montserrat, San Cristóbal e Nieves, Santa Lucía, San Vicente e Granadinas, Suriname e Trinidad e Tobago) alla vigilia della Cop 26 si era appellata alla “giustizia climatica” per far fronte al riscaldamento globale ed ottenere aiuti dai paesi più ricchi, sull’esempio di quanto richiesto, 30 anni fa, dai cosiddetti Pequeños Estados Insulares en Desarrollo. Almeno 100mila milioni di dollari all’anno è stata la richiesta della Caricom ai paesi più sviluppati fino al 2025 per affrontare l’emergenza climatica e garantire la sopravvivenza dei paesi del Caribe.

Considerando l’accordo al ribasso al termine della Cop 26, difficilmente i paesi dell’America latina e del Caribe vedranno esaudite le loro richieste e, al tempo stesso, per gli ambientalisti si preannuncia un futuro ulteriormente pieno di difficoltà.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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