In difesa di Alfredo Cospito

articoli di Giulia Abbate,Viola Hajagos,Davide Tutino,Elton Kalica,Sergio Brero,

CARISSIMO ALFREDO, GRAZIE

Carissimo Alfredo, grazie.
La lotta terribile che stai portando avanti è per noi tutti.
A questo punto ancora una volta ti preghiamo, ti imploriamo di accettare l’aiuto delle decine di cittadini che stanno digiunando al tuo fianco, delle migliaia di cittadini nel mondo che stanno manifestando in tuo nome, di accettare perfino l’aiuto di quei detentori di potere che, non potendoti più ignorare, ora chiedono giustizia per il “caso Cospito”, e sollevano sdegnati il sopracciglio di fronte al tabù della tortura carceraria e del 41 bis.
Non ti chiediamo di fermarti, ma di continuare con noi tutti, da vivo.
Accetta l’aiuto dei tuoi compagni di digiuno, accetta l’aiuto delle piazze, accetta l’aiuto di chi ti era stato avversario, torna a nutrirti per arrivare insieme al 7 marzo, di fronte alla Corte di Cassazione.
Accetta di vivere e di accompagnare il potere sul banco degli imputati, un potere colpevole di fronte alle sue stesse leggi, di fronte alla sua Costituzione, di fronte agli uomini, di fronte alla verità.
Camminiamo insieme, i tuoi amici in lotta e in digiuno,
Davide Tutino, Marianna Panico, Aligi Taschera, Giulia Abbate, Carlo Papalini, Domenico Spena, Lidio Maresca, Anna Ricci, Mario Marchitti, Maria Teresa de Carolis, Andrea Valcarenghi detto Majid, Kamaljeet Kaur, Umberto Baccolo, Elisa Torresin, Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti, Ugo Mattei, Gianpiero Cassarà, Mirko De Carli, Ciro Silvestri.
Seguono le firme dei digiunanti della staffetta di Resistenza Radicale
Antonella Garofalo, Antonia Esposito, Clara Reina, Barbara Cargiolli, Davide Di Napoli, Emanuele Fanesi, Eugenio Carugo, Gabriella Oliviero, Giovanni Bella, Giuliano Castellino, Grazia Fecchio, Ilham Menin, Luisella Zanchettin, Paolo Damian, Roberta Spaventa, Stefania De Marco, Marco Ricagno, Maria Orsini, Pierangela Bertolo, Francesca Contini, Nathassia Cucco, Clara Emanuela Curtotti, Brunella Brindisi, Paola Lorenzini, Pierluigi Polese, Michele Poccecai, Angela Fabiano, Michaela Vera, Maria Elvermann, Yuri De Letteriis, Silvana Taliero, Anna Maria La Nave, Alessandra Patella, Gina Bonafè, Francesca Romana Nascè

Per chi volesse sottoscrivere la lettera-appello per la Vita ad Alfredo può inviare una mail con nome, cognome e città a scrivi@resistenzaradicale.eu

da qui

 

CASO COSPITO: IMPORTANTE COMPRENDERE LA VIOLENZA DELLO STATO – Giulia Abbate

Dal 31 dicembre Resistenza Radicale è al fianco di Alfredo Cospito: detenuto in isolamento al 41 bis, è giunto quasi al novantesimo giorno di sciopero della fame, oltre il limite di guardia per la sua salute. Dopo i sette giorni di digiuno di Marianna Panico e i sette giorni di Davide Tutino, è iniziata lunedì 16 gennaio la staffetta del digiuno, portata avanti da militanti di Resistenza Radicale.

Con il nostro sciopero della fame intendiamo ottenere questi scopi:

  • Stare vicino ad Alfredo Cospito: nel buio quasi totale della sua prigionia, sapere che “fuori” esiste un sostegno di questo tipo può aiutare e fare sentire meno sola una persona che oggi fronteggia la morte.
  • Prendendo su di noi l’onere del digiuno, indurlo a interrompere il suo, evitandogli danni irreversibili alla salute.
  • Tenere aperto il dibattito sul “caso Cospito”: parallelamente alla “notizia” del digiuno a staffetta, ci impegniamo a divulgare le ragioni per le quali il “caso Cospito” è un segnale di allarme fortissimo per tutte e tutti noi.
  • Produrre una testimonianza di impegno civile, attraverso la pratica gandhiana, che ispiri chi si lascerà ispirare, e che possa farci sentinelle e presenze, se mai un giorno qualcuno voglia dire: come mai nessuno si oppose, né fece o disse nulla?

Essendo coinvolta nel coordinamento di questa iniziativa (ho redatto io stessa gli obiettivi appena espressi, insieme a Marianna Panico), sono stata particolarmente attenta alle reazioni che essa ha suscitato.

Ho considerato post e commenti social, in diverse bacheche Facebook e in chat di militanti del cosiddetto “dissenso”, in particolare in quelle del “CLN – Comitato di Liberazione Nazionale”, nel quale pure milito attivamente, della regione in cui vivo, la Lombardia.

Dopo lettura e riflessione e un paio di brevi confronti (i cui esiti non so misurare, essendo avvenuto nell’ambiente insterilito di una chat Telegram), ho deciso di scrivere questa nota per chiarire alcuni dei dubbi più spesso sollevati, e con più veemenza – segno questo che il tema è comunque sentito e coinvolge, cosa per me positiva.

Iniziamo: chi è Alfredo Cospito?

Alfredo Cospito è un militante anarchico, che si trova in prigione dal 2012.

Fu riconosciuto colpevole di:

  • aver posto, il 2 giugno 2006, due ordigni rudimentali in un cassonetto davanti alla scuola dei Carabinieri di Fossano (Cuneo). Il primo ordigno doveva esplodere per attirare l’attenzione, il secondo per colpire chi fosse accorso sul posto.
  • aver gambizzato un dirigente dell’Ansaldo, Roberto Adinolfi, nel 2012 a Genova.

Cospito ha rivendicato il secondo crimine, l’aggressione del 2012, per il quale gli sono stati comminati 10 anni nel 2013. Invece si dichiara totalmente estraneo alla doppia bomba: questo delitto gli è stato imputato quando Cospito era già in prigione per la gambizzazione, e per esso gli sono stati comminati vent’anni per strage, in base all’articolo 422 del Codice Penale; recentemente è stato rideterminato dalla Corte di Cassazione in “strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello stato”, che ricade sotto l’articolo 285 del Codice Penale e prevede l’ergastolo anche nel caso in cui non ci siano morti. Nel maggio scorso, Cospito è stato sottoposto al regime carcerario 41 bis, presumibilmente perché continuava a far pubblicare suoi articoli sulla stampa anarchica, articoli che incitavano a compiere altri atti violenti di ribellione.

Ricordiamo che il 41 bis prevede l’isolamento totale del detenuto, che non può più ricevere né notizie, né giornali, né libri dall’esterno; né può comunicare con l’esterno in nessun modo, con l’eccezione degli avvocati. Il detenuto al 41 bis viene relegato in un isolamento perpetuo e ha diritto ad una sola ora d’aria al giorno, da trascorrere isolato in un cubicolo di cemento coperto da una grata.

Ammesso che il 41 bis sia compatibile con la Costituzione della Repubblica italiana, va ricordato che tale regime era stato concepito per impedire ai capi mafia arrestati di avere modo di continuare a dirigere l’organizzazione mafiosa attraverso contatti con l’esterno. Cospito non è  “capo” di alcunché: come è noto, gli anarchici non hanno capi, altrimenti non sarebbero tali.

Dopo qualche mese al regime 41 bis, Cospito ha iniziato nell’ottobre scorso uno sciopero della fame a oltranza:

  • per protestare contro l’applicazione del 41 bis alla sua persona
  • per chiedere di ritornare al regime carcerario precedente.

Nel frattempo, la situazione si è aggravata, in quanto la Corte di Cassazione ha riqualificato il reato, sostenendo che non si tratta della fattispecie prevista dall’art. 422 (strage)  ma della fattispecie prevista dall’art. 285 (strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato). Questo reato non prevede alcuna pena diversa dall’ergastolo. Ciò ha aumentato la determinazione di Cospito di arrivare fino alle estreme conseguenze.

Dopo aver illustrato la situazione, vado ora a esprimere qualche valutazione.

La violenza delle azioni di Cospito non può certamente trovarci a loro difesa. Negli anni, inoltre, l’uomo ha ribadito in diverse interviste e scritti la convinzione verso ciò che ha fatto.

In particolare, da una intervista per il giornale anarchico Vetriolo del 2018, mi ha colpita questa considerazione: “Oggi la progettualità “informale” (basata sulla comunicazione senza intermediari tramite rivendicazioni di azioni distruttive indette da fluidi e caotici singoli e gruppi di affinità sparsi per il mondo) ci sta regalando la possibilità di rilanciare concretamente in maniera pericolosa per il sistema una “internazionale” che potrebbe innescare una reazione a catena inarrestabile. Certo, parliamo di infinitesimali minoranze, ma perché escludere a priori che come spesso avviene in natura un impercettibile virus iniettato magari da una insignificante puntura di una piccola zanzara possa uccidere il possente elefante?”

L’intervista è stata citata anche dai magistrati, nel 2021, per ribadire la pericolosità di Cospito.

Da parte mia penso che una pericolosità esista. Ma che non consista in un pericolo immediato per le persone, nonostante le parole chiaramente violente di Cospito, a causa della natura dei movimenti anarchici, che non prendono ordini, ma che tutt’al più si scambiano idee e si ispirano a vicenda. Da questo punto di vista, quindi, pericoloso sarà chi raccoglierà l’invito di Cospito alla violenza e lo metterà in atto.

Alfredo Cospito, piuttosto, è pericoloso per il sistema che combatte, e lo testimonia proprio la decisione di dargli il 41bis: di buttarlo in un buco, come ha detto efficacemente Davide Tutino, e di impedirgli di comunicare con il mondo esterno.

Da ciò si deduce anche che c’è un sistema di potere che ha paura del “mondo esterno”, ha paura cioè che le parole incendiarie di Cospito trovino sponda. Il mio personale parere è che le parole davvero pericolose di Cospito non siano (solo) quelle incendiarie, ma le molte altre che ha dedicato a elaborazioni teoriche e a denunce della profonda iniquità del sistema in cui viviamo.

E ancora di più: il pericolo rappresentato da Cospito sta nel fatto che questo criminale ha rivendicato i suoi crimini, ne ha parlato nei termini riportati da Vitriol quando era già in prigione, e ora si lascerà consapevolmente morire. Cospito, in sostanza, è un irriducibile, ed è difficile per il potere svalutare del tutto le convinzioni che portano un uomo a un tale limite, nonostante la sproporzione di mezzi.

Lo Stato ha la legge, le forze di ordine pubblico, i tribunali, le galere, e inoltre è oggi al servizio un sistema più grande, quello neoliberista delle multinazionali (definite “personalità psicopatiche” da un bellissimo documentario che consiglio di recuperare: The Corporation) le quali hanno mezzi ancora più enormi della coercizione: hanno la propaganda, la voce, le trombe, i privilegi, i sogni innestati artificialmente, il benessere somministrato a mo’ di narcotico huxleyano.

Alfredo Cospito, di fronte a tutto questo, non ha nulla, tranne la sua nuda vita. E ha messo sul piatto esattamente quella.

Quanti farebbero, quanti faranno lo stesso? Per il benessere, per il privilegio, per il potere… ma anche per la giustizia, per qualcosa in cui crediamo, per qualcuno che amiamo, saremmo noi disposti a fare lo stesso? Smettere di nutrirci, giorno dopo giorno, ora dopo ora, fino a deperire, e ancora bloccare eventuali soccorsi, rifiutare qualsiasi tipo di aiuto medico, in vista di una morte sopravveniente? Lo faremmo, lo faresti? Per l’Italia, per la tua parte politica, per tutti i regni del mondo, saresti disposto a morire e a ribadirlo ininterrottamente per novanta giorni di seguito?

Ecco la forza di Alfredo Cospito, ecco l’irriducibilità che fa paura. Significativo che questo combattente convintamente violento sia arrivato a forza di estremi verso l’estremo opposto, la nonviolenza e l’autoimmolazione dimostrativa. Perché è qui che il potere cessa di raggiungerti, è qui che esiste una esile prospettiva di prevalenza, oltre qualsiasi bomba e pistola.

Torniamo alla ricezione di tutto questo, alle discussioni che ho seguito nelle chat e che mi hanno convinta della necessità di scrivere il presente articolo.

Una delle opposizioni più forti che ho letto relativa alla nostra azione di sciopero della fame riguarda la persona di Cospito, come io l’ho descritta: un militante della violenza, convinto della sua utilità e necessità, che ha fatto del male direttamente, e che lo rifarebbe. Ovvero: “Vi dite nonviolenti e poi difendete uno così?”

La risposta più semplice che mi viene alle dita è: bella forza avremmo, se ci mettessimo a difendere un crocerossino. La forza di un principio si mette alla prova anche su questo piano: per chi vale? Fino a dove può spingersi?

Posso applicare la mia nonviolenza a una persona cattiva? Posso rivolgerla verso un assassino? La risposta è semplice da dare, seppur difficile da vivere nei fatti.

Essendo la nonviolenza (anche) un modo per gestire i conflitti, è nel conflitto che essa si forgia e si dispiega;  nel momento in cui essa si confronta con una persona perbene non ha ragion d’essere dal punto di vista politico e di lotta.

Non mi pare che Gesù, a cui Gandhi espressamente si ispira, dicesse: “Ama solo la gente perbene”. Alleggerendo il concetto, impegnativo e complesso, di amore cristiano, possiamo dirci “con la coscienza nonviolenta” a posto nel momento in cui difendiamo da un abuso un nemico, una persona che normalmente non stimeremmo, un uomo che ha fatto del male.

Restiamo ora nel presente e nella realtà italiana attuale. Senza volerci spingere su esempi evangelici, ci basti ricordare tre principi sui quali si regge il nostro ordinamento:

  • La funzione rieducativa della pena carceraria.

Qui l’intero 41bis è in questione, perché non è mirato a rieducare o a riabilitare, ma è espressamente pensato per spezzare i legami della persona con l’esterno, mettendola in uno stato di intensa deprivazione. Potrebbe essere chiamata tortura, e c’è chi lo ha fatto, servendosi di evidenze come lo stato di follia al quale l’isolamento fisiologicamente porta.

Chiaramente non è un argomento “facile”, e con lo sciopero della fame noi di Resistenza Radicale ci impegniamo anche a suscitare una necessaria discussione in merito, consapevoli che forse un accordo generale totale non ci può essere. Si tratta di decidere fino a che punto, nel contrasto ai criminali, ci si può spingere, e non è una decisione da prendere alla leggera, né in modo definitivo.

Qualcuno direbbe che chi ha sciolto nell’acido un bambino merita ben altre deprivazioni. A me, che percepisco una macchia raccapricciante in chi tortura ben più che in chi viene torturato, viene da chiedermi: se ciò che ci guida è il senso di vendetta e la disinvoltura nel macchiarci noi stessi di abuso, perché non ripristiniamo la pena di morte? Non è una domanda ironica. Per quale ragione manteniamo in vita, alimentiamo, teniamo al caldo e magari anche “curiamo” con un medico una persona che nel frattempo torturiamo, depriviamo e facciamo impazzire? Per anni! Che senso ha?

  • La proporzionalità della pena.

È stato ben evidenziato che il 41bis, regime usato per “sconfiggere la mafia”, non è attualmente comminato a chi stupra e uccide, a chi compie omicidi multipli e anche a chi si macchia di strage “comune” come era stata indicata l’azione di Cospito, azione che, lo ripeto, non provocò morti né feriti. Non li provocò perché andò male, d’accordo: ma allora contano le intenzioni? Se scambio lo zucchero con l’arsenico e non avveleno mio marito per un soffio, vado comunque in galera per omicidio? Non esisteva un “tentato” di fronte al delitto, proprio in virtù di una proporzionalità tra la pena e il crimine?

  • La legge è uguale per tutti.

La legge si applica solo ad alcune persone, a persone già “giuste”? O non è piuttosto una regola da seguire universalmente? Cospito è un ideologo controverso e incallito e non è facile concordare con quello che dice, scrive e fa. Questo autorizza lo Stato a fargli qualsiasi cosa?

Cosa forse ancora più importante, la questione si estende: dal caso “Stato contro Alfredo Cospito” diventa facilmente “Stato contro qualsiasi individuo”, “Stato contro chiunque”, “Stato contro tutti”.

Perché se la legge è uguale per tutti, la legge deve essere uguale anche per lo Stato.

Questo è un principio ben più antico della modernità, che in occidente è sancito dal XIII secolo, da quando nemmeno lo Stato esisteva: esisteva il re, e il re, che firmò la Magna Charta, si sottomise all’imperio della legge. La legge valeva anche per il re, e oggi vale anche per lo Stato. Non è certo un principio accettato pacificamente: nel XVIII secolo gli assolutismi hanno tentato di scardinarlo, è finita con la scure per Carlo I e la ghigliottina per Luigi XVI. Oggi questo principio è considerato alla base del nostro vivere associato, e lo Stato non può eluderlo sulla base di proprie considerazioni su minacciosità e pericolosità potenziale del soggetto.

Non può funzionare così, altrimenti possiamo tutti e tutte essere in pericolo. Una volta aperta la strada alla pericolosità potenziale decisa di volta in volta, chi sarà al sicuro?

Cospito è un apripista, un sopruso facile. E qui arrivo a una seconda critica che è mossa a chi oggi, nella cosiddetta “area del dissenso”, si sta occupando del suo caso. Ovvero: “Con tutti i guai che abbiamo, perché pensare a lui? Noi vogliamo lottare contro obbligo vaccinale e green pass, che c’entra Cospito?”

Bè, c’entra eccome, se valutiamo la cosa come una questione di metodo. Perché il metodo è un po’ lo stesso. Apripista, l’ho definito.

L’indignazione che proviamo verso le azioni di Cospito è esattamente la crepa che il potere usa per portarci dalla sua parte, contro il nostro stesso interesse. Come ha fatto con la paura verso il virus, il terrore del contagio, della morte intubati, delle bare sui camion, dei nipotini killer, dei giovani bastardi che ridono e si divertono mentre io sto paralizzata in casa, in ascolto della conta quotidiana dei morti. Quante cose abbiamo permesso, dominati da questa paura? Quanto spazio abbiamo dato al potere per rapinarci nella nostra quotidianità, nei nostri affetti, nei nostri legami, nel nostro lavoro, attraverso la falla della paura?

La ripugnanza verso i gesti violenti di Cospito rischia di portarci su questa stessa strada: a cedere terreno al sopruso del potere, e persino ad applaudire, mentre esso costruisce con metodo il precedente di base, che verrà poi rinforzato dalla prassi e dall’inazione generale.

Basta una falla. Basta una prima, piccola inoculazione. Basta un virus, “un impercettibile virus iniettato magari da una insignificante puntura”. Cospito lo ha capito. Lo Stato anche, perfettamente. Temo invece che noi, dopo tre anni di lotte e di dissenso, dobbiamo ancora impararlo davvero.

CON Aligi Taschera e Pasquale Valitutta detto Lello per la stesura della parte “legale” sul caso Cospito;
Marianna Panico per la revisione.

 

Resistenza Radicale – Azione Nonviolenta
resistenzaradicale.eu

da qui

 

Non un filo d’erba. La lotta di Alfredo Cospito per la dignità prosegue da oltre 90 giorni – Viola Hajagos

L’avvocato Flavio Rossi Albertini ad Adnkronos racconta:  “C’è una finestra nella cella di due metri e mezzo per tre metri e mezzo, una finestra schermata dal plexiglass che non si apre quasi mai e che si affaccia, al di là delle sbarre, su un cubicolo interno circondato da muri di cemento alti metri e metri, schiacciati da una rete metallica a chiudere il quadrato di cielo. Cospito vive in quella cella da solo, come impone il regime carcerario al quale è sottoposto, ci passa 21 ore della sua vita. Le restanti tre le divide tra socialità, un colloquio di un’ora con gli altri 3 detenuti del suo gruppo di socialità, e due ore d’aria in quella sorta di cubicolo di cemento dal quale non può vedere un albero, una siepe, un fiore o un filo d’erba, un colore, solo sbarre e cemento”.  

Le condizioni di salute di Alfredo possono precipitare da un momento all’altro. La dottoressa Angelica Milia che lo ha visitato in carcere ha dichiarato“Dopo 90 giorni di sciopero della fame Alfredo ha perso 40 kg, le condizioni sono stabili rispetto alla settimana scorsa, ma le riserve di grasso e zuccheri sono ormai esaurite e quindi è possibile che le condizioni di salute generale possano peggiorare da un momento all’altro”. 

Le iniziative di solidarietà alla lotta di Alfredo Cospito sono numerose in Italia e all’estero: in diverse città si sono tenuti presidi e cortei; domani, domenica 22 gennaio, ci sarà un nuovo presidio al carcere di Bancali a Sassari dove è detenuto.

Con Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Torino abbiamo parlato della repressione del dissenso e del processo di una progressiva deriva della democrazia.

La democrazia, come sosteneva Bobbio, non può esistere senza dissenso. La democrazia è conflitto. Oggi assistiamo ad una progressiva criminalizzazione del dissenso, come della solidarietà, e, in senso ampio, della conflittualità sociale. La repressione avviene attraverso l’introduzione di norme restrittive e punitive (penso al decreto sicurezza Salvini, come al precedente di Minniti, o al recente “decreto Piantedosi” sulle ONG), così come attraverso l’uso sproporzionato (alias abuso) di strumenti civili e penali (dalle richieste di risarcimento in sede civile al perseguimento di reati anche bagatellari[1] se compiuti da attivisti di un movimento sociale all’utilizzo dello strumento penale come diritto penale del nemico). Esemplare è il “trattamento” del movimento No TAV, nei cui confronti è stato fatto uso di richieste di risarcimenti in sede civile, un largo ricorso a misure di prevenzione e cautelari, qualificazioni penali “eccessive” (il terrorismo), …

La Costituzione nata in seguito alla sconfitta della dittatura fascista oggi sembra essere antagonista alle politiche dei governi.

La Costituzione oggi più che attuata dalle istituzioni, è praticata dai movimenti sociali; diviene una “alternativa antagonista” rispetto alle politiche di governi che ne hanno abbandonato il progetto di emancipazione sociale. Pensiamo al definanziamento della sanità rispetto alla garanzia del diritto alla salute, alla deregolamentazione del diritto del lavoro che non lo garantisce come strumento di dignità, ad un sistema fiscale sempre più lontano da un modello progressivo che assicuri redistribuzione e diritti sociali.

Seguendo questa traccia che ripercorre la relazione tra i governi e il dissenso proseguiamo la riflessione rispetto alla criminalizzazione delle lotte e i principi tutelati dalla Costituzione.

Il modello della Costituzione è una democrazia pluralista, conflittuale e sociale. L’art 3, c.  2, della Costituzione prevede un progetto di emancipazione sociale e di trasformazione della società nel senso di un pieno sviluppo della persona e della sua partecipazione alla vita del Paese. È un progetto controcorrente rispetto alle politiche neoliberiste che, dagli anni Ottanta, hanno veicolato una regressione nella tutela dei diritti sociali e processi di liberalizzazione e privatizzazione. A questo si aggiungono riforme costituzionali, come il principio del pareggio di bilancio, che inserisce una nota stonata rispetto al modello di democrazia sociale, nonché progetti di riforma della forma di governo, per fortuna bocciati nei referendum (ma stiamo di nuovo per affrontare una riforma in senso presidenziale), tesi a introdurre modelli di verticalizzazione del potere.

La democrazia, come sociale e politica è svuotata, e inclina verso una deriva autoritaria. Si inserisce qui il discorso, dal quale siamo partite, della repressione del dissenso, che si estende e si fa sempre più penetrante. Pensiamo alla disobbedienza civile di movimenti come Ultima Generazione, Extinction Rebellion, rispetto alla quale la reazione delle istituzioni è eccessiva, “violenta” a fronte di azioni non violente, di cui gli attivisti si assumono la responsabilità.

La voracità del neoliberismo lo porta ad accantonare ogni progetto di redistribuzione, di giustizia sociale, così come di giustizia ambientale (per non parlare del suo sfociare nella guerra), e, di fronte alla loro rivendicazione, a chiudersi in una cittadella sempre più autoritaria.

La deriva di criminalizzazione progressiva e generale del dissenso ha riguardato anche i fatti legati al processo Scripta Manent con la qualificazione di strage politica da parte della Cassazione.

Senza entrare nel merito del diritto penale approfondiamo la questione del 41 bis comminato ad Alfredo Cospito, primo anarchico cui è stato applicato questo regime carcerario.

L’articolo 41 bis nasce con un carattere temporaneo e ristretto a fattispecie specifiche, quindi, nel tempo, viene “normalizzata” la sua presenza ed estesa la sua applicabilità; in questo senso è un esempio di quella che viene definita la normalizzazione dell’emergenza.

È un trattamento, quello del 41-bis, che impatta pesantemente sulla dignità della persona, tutelata in ogni circostanza, sempre e ovunque. Mi limito a ricordare l’art. 13, “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” e l’art.27, “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” della Costituzione. Ma, oltre la Costituzione, possiamo citare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e le pronunce della Corte europea proprio riguardo al 41-bis e alla sua (in)compatibilità con l’art. 3 della Convenzione che stabilisce il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti.

La dignità della persona deve sempre essere tutelata e garantita. Lo Stato non può essere “vendicativo” nei confronti di una persona detenuta, ma garantire in ogni caso la dignità e tendere, dice la Costituzione, alla rieducazione, ovvero a garantire la partecipazione alla società.

Come sottolineato da più parti e recentemente da Mario Palma, garante dei diritti dei detenuti, si tratta di un uso forzato del 41 bis che “si traduce nell’accentuazione dell’afflizione non motivata e non motivabile come volontà di interrompere i collegamenti (ndr con altri associati all’organizzazione criminale), ma semplicemente come regola di carcere duro, non ha più alcuna legittimità costituzionale.”

All’interno della campagna di mobilitazione per far uscire dal silenzio la lotta di Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, il 7 gennaio è stato lanciato un appello firmato da diverse persone del mondo accademico, culturale, sociale e giuridico dal titolo “Alfredo Cospito non deve morire”.

Alessandra Algostino è tra le firmatarie e firmatari dell’appello che ha raccolto oltre 5.000 firme. Che cosa chiedete?

Vorremmo che le istituzioni, in primo luogo, intervenissero a proposito della situazione personale di Alfredo Cospito, a partire dalla revoca del regime del 41 bis, e, insieme, sollevare la questione del rispetto della dignità di tutte le persone detenute.

Lo sciopero di Alfredo Cospito riguarda anche l’ostatività: la cancellazione della possibilità di qualsiasi beneficio per i detenuti che hanno questa ulteriore restrizione.

La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte a tal riguardo (ord. 97/2021 e 122/2022), rinviando per consentire un intervento del legislatore, sino all’ultima ordinanza, 227/2022, con la quale ha rinviato gli atti di Cassazione essendo nel frattempo intervenuto il decreto legge 162 del 2022.

Una riforma dell’ostatività (l’intervento legislativo intercorso non è sufficiente) è necessaria per evitare che la scelta di non collaborare con la giustizia si riveli punitiva, in termini di benefici (nel caso, la liberazione condizionale), per il detenuto; in gioco sono la dignità della persona, il senso della pena (e la sua proporzionalità).

 Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento dell’utilizzo delle applicazioni di regimi carcerari speciali (As2 e 41 bis) e il ricorso a misure restrittive della libertà di movimento, obblighi di dimora, fogli di via, sorveglianze speciali.

 La legislazione d’emergenza è diventata normale. A partire dall’attentato alle Torri gemelle a New York si è assistito all’introduzione di nuovi reati (come, nel Regno Unito, l’incitamento indiretto al terrorismo, che, per intenderci, avrebbe portato ad incriminare Nelson Mandela per i suoi discorsi) e nuove misure limitative della libertà di manifestazione del pensiero (ad esempio maggiori possibilità di prevedere intercettazioni).

Assistiamo, con un ossimoro, alla normalizzazione dell’emergenza e questo porta ad una restrizione degli spazi politici, dei diritti.

Questo processo non riguarda esclusivamente la repressione delle lotte.

La tendenza a costruire un nemico per criminalizzare il dissenso propone uno schema binario: la dicotomia tra amico e nemico. Ad esempio, chi è contrario all’invio delle armi in Ucraina viene etichettato come putiniano e quindi nemico; lo stesso è avvenuto nei confronti di chiunque abbia espresso posizioni critiche durante la gestione della pandemia. Si compatta la società, l’opinione pubblica, contro un nemico e così si occulta il conflitto sociale, nella prospettiva del thatcheriano TINA[2] e del pensiero unico.

[1] il termine bagatella indica una cosa di nessun conto. I reati bagatellari sono quelli che, per la loro minima lesività, hanno minore rilevanza sociale e possono quindi essere repressi con sanzioni più lievi.

[2] There is no alternative, (T.I.N.A) era una delle formule più spesso usate da Margaret Thatcher per esprimere una linea di pensiero che considera il neoliberismo come la sola ideologia restante valida. Nell’economia, nella politica e nell’economia politica questa frase ha preso il significato della mancanza di alternative al sistema neoliberista: il libero mercato, il capitalismo e la globalizzazione sono l’unica strada percorribile per lo sviluppo di una società moderna.

da qui

In difesa di Cospito e di tutte le persone segregate in un regime che non ha più ragione di esistere – Elton Kalica

Venezia è forse l’unica città dove camminare di notte nel freddo non mi mette tristezza. La pioviggine si deposita silenziosamente sullo schermo del cellulare mentre seguo il google maps verso la Calle dei bari.

Dopo l’ultima svolta nell’oscurità, le sagome di alcuni ragazzi che fumano sotto la luce sbiadita di una lampadina mi rassicurano di aver trovato l’indirizzo. Saluto e spingo la porticina. Entro. Il locale è caldo. Una ventina di sedie disposte in quattro file. Di fronte un piccolo podio dove stanno conversando alcuni ragazzi. Li raggiungo e mi presento.

Da quando ho pubblicato la mia tesi di dottorato sul 41 bis sono stato invitato a presentare il mio lavoro in giro per l’Italia da molti circoli, associazioni e collettivi universitari. Ma il recente sciopero della fame di Alfredo Cospito ha suscitato in particolare l’interesse di alcuni circoli anarchici. Tra i quali anche questo gruppo veneziano che mi ha invitato a parlare della mia ricerca. Quasi tutti studenti universitari provenienti da varie facoltà. Sono indignati del trattamento inumano riservato ad un militante, e vogliono che spieghi al gruppo le ragioni teoriche dell’esistenza di un dispositivo di tortura come si può definire il 41-bis. Si tratta di un discorso tanto giuridico e filosofico quanto politico. E non è sempre facile spiegare in pochi minuti.

Ma credo che il caso di Cospito mi faciliti in qualche modo la spiegazione del diritto penale del nemico: un diritto non scritto che si rivolge a coloro (come Cospito appunto) che non riconoscono l’ordinamento giuridico dello Stato e, pertanto, devono essere messi in condizione di non nuocere. Ecco perché lo Stato ricorre ad un sistema repressivo diverso da quello predisposto dal diritto penale “normale”. Si tratta di una logica politica dell’amico/nemico: è amico quando una persona si giudica solo per il reato commesso; è nemico quando si giudica per quello che rappresenta, per quello che fa, per quello che è, per quello che pensa e per quello che scrive. Il 41-bis fa parte di un dispositivo più complesso costruito con una logica di guerra al quale lo Stato non intende rinunciare. Creare la figura del nemico serve proprio per giustificare l’utilizzo di un “diritto penale della pericolosità” che si manifesta sospendendo per alcuni soggetti le garanzie previste per tutti gli altri nel processo penale e nell’esecuzione della pena.

La mia dissertazione è seguita immancabilmente dal dibattito dei presenti sul caso concreto. Non conoscendo tanto della storia politica e processuale di Cospito, mi limito ad ascoltare. E mi immergo in lontani ricordi scolastici che affiorano improvvisamente. Cresciuto nell’Albania del socialismo reale, la mia infanzia è stata plasmata dalla letteratura russa e quando sento parlare di anarchia evoco irrazionalmente San Pietroburgo con i suoi demoni di Dostoevskij e le incitazioni sovversive di Bakunin rivolte ai contadini e penso a Pugaçev, il bandito rivoluzionario raccontato da Pushkin così come alle povertà sociali e morali raccontate da Gogol e Lermentov. In questo ritorno mentale ai banchi di scuola mi torna in mente anche il principe Andrej ferito ad Austerlitz e penso alla religiosità anarchica di Tolstoj, che considera Cristo ribelle e riformatore sociale, per cui gli ultimi saranno i primi in questa vita.

Tutti elementi che appartengono ad un’idea romantica di lotta dove la narrazione accosta l’impotenza e la tragedia di singoli sognatori al potere istituzionale organizzato e determinato nella repressione e nella vendetta. Certamente, è impensabile tracciare qualche relazione tra i demoni di Dostoevskij con gli idealisti odierni che non devono lottare per liberare i servi della gleba, mentre è più facile trovare analogie nel potere punitivo, capace di annientare chi gli è ostile con estrema violenza.

Alla fine saluto gli organizzatori e ripercorro le calli fredde e silenziose verso la stazione. Mentre sono in treno mi assale il desiderio di tornare in carcere e parlare di questo con i detenuti, quelli che forse non hanno mai voluto sovvertire l’ordine sociale, ma che hanno comunque vissuto la sofferenza delle repressioni draconiane.

La mattina successiva il carcere di Padova mi accoglie con un’aria quasi familiare. Ogni volta che ritorno, ripercorro il lungo corridoi che porta nella redazione di Ristretti Orizzonti con la stessa serenità di undici anni fa, quando ci andavo da detenuto. Intorno al tavolo una decina di persone. Vedo diverse persone nuove ma anche alcune vecchie conoscenze, che sono entrate in carcere prima di me e che sono ancora lì. Racconto subito del mio desiderio di analizzare con loro la questione Cospito. Hanno letto i giornali. Sanno tutto. Mentre cominciano a commentare io annoto sul taccuino: “Va bene che si mobilitano così tante persone per l’anarchico, però dovrebbero farlo anche quando ci finiamo noi altri! Il 41-bis è una tortura per tutti, non solo per i detenuti politici”.

“Quella persona forse è stata messa in 41 perché ha tanto seguito tra i giovani. Hanno voluto colpire il simbolo per dare un messaggio”.

“Voi pensate che quello di Cospito sia un caso isolato, ma quando ero al 41-bis ho visto arrivare ragazzi di vent’anni che poi sono stati assolti, ho visto arrivare anche albanesi che portavano l’erba con i gommoni che non appartenevano a nessuna grande organizzazione criminale, ho visto arrivare gente arrestata per estorsione con “metodo mafioso. In 41-bis ora ci mettono di tutto. Hanno bisogno di riempirlo”.

“Quello che mi fa specie è che per Cospito sono tutti disposti ad esporsi perché non è mafioso e non ha reati di sangue. Invece, se credono che il 41-bis sia una barbarie devono trovare il coraggio di esporsi anche per noi, indipendentemente dal reato.”

A parlare sono principalmente persone che hanno vissuto il 41-bis in prima persona anche per periodi lunghissimi. Mentre scrivo penso a quando lavoravo sulla mia tesi di dottorato e mi sentivo dire che non dovevo difendere i mafiosi e che il 41-bis era una vittoria sulla criminalità organizzata. “Sei diventato amico dei mafiosi?” hanno chiesto anche a qualche parlamentare che manifestava contrarietà al carcere duro. Perché chi tocca il 41-bis si ritrova tutti contro, sempre.

Chi studia la criminalità organizzata sostiene che la mafia è cambiata, che non spara più, che ormai si confonde con la criminalità dei colletti bianchi, e che non fa più paura per le strade. Chi studia i movimenti sostiene che l’anarchismo ormai non solo non pratica più il terrorismo, ma non ha più la presa che aveva sui giovani durante le proteste studentesche e operaie del ‘68. Ciò nonostante le leggi emergenziali sono diventate permanenti. È chiaro che mandare Cospito al 41-bis è stato un errore: certo, potevano impedirgli di pubblicare le sue lettere sugli opuscoli anarchici semplicemente mettendo la censura sulla posta anche tenendolo in Alta Sicurezza, dove stava prima; sospendergli i diritti penitenziari è diventato un boomerang tale da rimettere in discussione (giustamente) l’esistenza stessa del 41-bis. Ora che tanti capimafia sono morti è chiaro a tanti che il 41-bis non ha più motivo di esistere. E non è allargando la sua applicazione agli anarchici che si possa tenere in vita un dispositivo di tortura che sarebbe dovuto uscire di scena insieme a Riina e Provenzano.

Finita la riunione con i detenuti torno a casa e mi metto al computer per leggere gli ultimi articoli e l’appello del Manifesto che chiede al Ministro di revocare il 41-bis a Cospito. Scorro la lista, forse centinaia, di firmatari costituita da giuristi, accademici, politici, scrittori, artisti e altre categorie di spicco della società civile. Forse Cospito nella sua cella non sa cosa sta succedendo fuori, ma io sento di dovergli riconoscere il merito di aver fatto nascere una campagna che va oltre la difesa del suo diritto di espiare la pena in condizioni umane; una campagna che sta mettendo finalmente in discussione l’esistenza stessa del carcere duro e che esige il ripristino dei diritti penitenziari per tutti i detenuti seppelliti al 41-bis.

Di fronte a questo drammatico sacrificio di Cospito penso alla scena in cui il dottor Zivago, che viaggia sul treno per la Siberia, incontra un anarchico in catene che urla “Io sono l’unico uomo libero su questo treno”. Ecco spero tanto che, dopo più di cento anni dalla repressione bolscevica degli anarchici, i magistrati si rendano conto che non c’è più nessuna guerra da combattere e che non è più tempo di neutralizzazione del nemico, e che non ha più senso colpire le persone per quello che sono oltre che per quello che hanno fatto.

Elton Kalica è un ricercatore all’Università di Padova.

L’articolo è stato pubblicato da Ristretti Orizzonti.

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Cospito, per lui lo Stato ha previsto il ‘fine vendetta mai’. Come mai tutto questo zelo? – Sergio Brero

Che Alfredo Cospito non sia un assassino ce lo dice la sua stessa storia processuale, infatti rivendica di aver teso nel 2012 un’imboscata a Claudio Adinolfi, allora ad di Ansaldo Nucleare, e di avergli sparato alle gambe. Se avesse avuto l’attitudine ad uccidere, probabilmente Adinolfi, invece di avere problemi di deambulazione, sarebbe in qualche camposanto. Ma Alfredo Cospito ed Anna Beniamino sono attualmente due detenuti delle carceri italiane a cui è stato contestato il reato di strage “allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato”, art. 285, che è un delitto contro la personalità dello Stato, probabilmente il più grave dell’ordinamento.

Le pene richieste sono ergastolo ostativo per lui e 29 anni per lei.

Viene contestato loro questo articolo a seguito dello scoppio di due ordigni a basso potenziale, la notte tra il 2 e il 3 giugno 2006, nei dintorni della scuola per carabinieri di Fossano in provincia di Cuneo. In questa occasione non ci furono feriti, né gravi danni, nessuna ombra di vittime. Quando Cospito ne parla dice: “…l’assurda accusa di aver commesso una ‘strage politica’, per due attentati dimostrativi in piena notte, in luoghi deserti, che non dovevano e non potevano ferire o uccidere nessuno e che di fatto non hanno ferito e ucciso nessuno.” Tra l’altro sia Alfredo Cospito sia Anna Beniamino non rivendicano l’azione e ne disconoscono la paternità, notando giustamente che “…nell’anarchia c’è un rincorrersi di sigle dietro alle quali di fatto può esserci chiunque”.

Questi a grandi linee i fatti.

A tutta prima viene il dubbio che i giudici della Cassazione, quelli che a suo tempo decisero per la riqualificazione del reato, ne abbiano letto soltanto il primo paragrafo, che in precedenza recitava: “Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con la morte”. Perché mi sono dimenticato di dire che Alfredo Cospito, torinese, la sua pena la sta scontando in regime di “carcere duro” o 41bis ormai da diversi mesi. Quindi non può uscire all’aria come gli altri detenuti, gli è negata qualsiasi attività o socialità all’interno del carcere, ha un solo colloquio mensile e la sua corrispondenza viene censurata.

Il 41bis, che diversi esponenti della società civile hanno denunciato come lesivo dei diritti per boss mafiosi con decine di omicidi al passivo, è stato applicato a Cospito perché continuava ad intrattenere rapporti di corrispondenza con riviste di area anarchica. La tesi dell’accusa è che con questa corrispondenza Cospito impartisse istruzioni operative per le colonne anarchiche armate ai suoi ordini. Cioè dopo un paio di secoli di processi ad anarchici di tutti i tipi, la procura di Torino ha finalmente individuato il capo degli anarchici, visto che si sa, gli anarchici hanno capi e strutture gerarchiche…

Se non fosse che si sono presi sul serio, e che in ballo ci sono i diritti e le vite di persone reali, farebbe sorridere.

E qui veniamo a quello che secondo me è il succo della questione: ad Alfredo Cospito non è rimasto altro modo per contestare questa situazione estrema che metterne in discussione la sostenibilità. Ovvero, dichiarare che vivere in una situazione di deprivazione sensoriale, oltre che di privazione della libertà, senza orizzonti di speranza, all’interno di una galera italiana, è una vita che può non valer la pena affrontare. Questa dichiarazione l’ha fatta entrando in sciopero della fame, ormai mesi fa, perdendo nel frattempo più di 30 kg.

Come rapportarsi a questa vicenda? Ha senso che persone come Alfredo Cospito espiino la loro pena in regime di 41bis? Cosa pensare di chi stravolge la mitica “funzione riabilitativa” della pena e trasforma la carcerazione di alcuni detenuti quasi in una vendetta quotidiana dello Stato – fine vendetta mai?

Da appassionato di storia dei servizi segreti, so che dietro alle strategie delle forze di sicurezza e degli apparati repressivi c’è un verminaio di strumentalizzazioni, macchinazioni, situazioni indicibili che ne informano le vicende e ne rendono opachi e inaccessibili i percorsi. Basta leggere Fasanella, Giannulli e gli altri giornalisti/storici che si occupano di rendere conoscibili al pubblico i documenti segreti mano a mano che vengono desecretati per rendersi conto di quello che realmente accade ad un certo livello dei nostri apparati statali. Tra stragi di Stato, omicidi eccellenti, vendette incomprensibili e protezioni scandalose, i colpevoli restano misteriosi, i mandanti inafferrabili, ma gli effetti sull’opinione pubblica reali e duraturi. E adesso abbiamo Alfredo Cospito che potrebbe prendersi un ergastolo ostativo, si trova già al 41bis, ed è in sciopero della fame; Anna Beniamino potrebbe vedersi condannata a 29 anni di prigione per una vicenda in cui non ci sono vittime.

Come mai tutto questo zelo? E’ perché sono senza protezioni varie? Sono gli unici che la magistratura riesce a condannare a piacimento e gli scarica addosso la frustrazione accumulata? E’ perché Alfredo Cospito ed Anna Beniamino fanno talmente paura allo Stato da dovergli tappare la bocca a qualsiasi costo, altrimenti chissà cosa potrebbe succedere? E’ perché con un trattamento iniquo ed estremo vogliono spingere all’azione eventuali sodali degli imputati in modo da poterli castigare?

Chi ricorda la storia dei suicidi in carcere degli anarchici torinesi Maria Soledad Rosas ed Edoardo Massari nel 1998? A fronte di accuse ingigantite e montate ad arte si tolsero la vita, per accuse relative alla Tav e alla val di Susa. E’ perché si vuole un replay di quanto successo allora?

L’articolo Cospito, per lui lo Stato ha previsto il ‘fine vendetta mai’. Come mai tutto questo zelo? proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Il digiuno di Cospito è il nostro digiuno – Davide Tutino

Cos’è un anarchico? Non è nulla se viene rinchiuso in un buco di cemento, se viene isolato dalla società e dal mondo, impossibilitato a contattare chiunque e perfino a leggere un libro; ma questo nulla ha un nome e cognome, Alfredo Cospito. Il nome e cognome, pur essendo un abito di suoni e di segni, alle volte ti sottrae all’annullamento, ti permette di entrare in un dia-logo, uno scambio di racconti, di ragioni e di ragione. È grazie al suo nome che noi possiamo parlare di Alfredo Cospito, perché di lui ci è tolto tutto il resto: ci sono tolte le sue parole, il volto, il corpo, in violazione del principio costituzionale della proporzionalità tra pena e reato.

Alfredo Cospito era già in galera dal 2016, per aver sparato alla gamba di un industriale, ed era sotto processo per una bomba carta esplosa senza vittime di fronte a una caserma. Era in prigione quando il suo reato è stato riqualificato in “strage”, e gli è stato comminato l’ergastolo ostativo, con impedimento di qualunque contatto col mondo esterno. Che cosa sono l’ergastolo ostativo e il famigerato 41 bis per il quale l’Italia è già stata censurata da organismi internazionali? È isolamento e tortura, fino alla follia o fino alla morte, e Alfredo sta per uscirne con la morte. Nel giorno di pubblicazione di questo articolo egli, se ancora vivo, si avvicina al novantesimo giorno di sciopero della fame. La gran parte della gente ignora il suo nome, ma finalmente una parte del mondo intellettuale si sta accorgendo di questo peso sulla coscienza del paese. Decine tra professori, magistrati, giuristi, avvocati, nell’omertà quasi completa della classe politica, chiedono l’interruzione della tortura e dell’isolamento, e la restituzione di Alfredo a un regime carcerario rispettoso della sua dignità umana, dei suoi diritti e della sua salute.

Chiedevamo che cos’è un anarchico, e ricordiamo tristemente cosa è stato nella storia. Quando non è più possibile nascondere gli abusi del potere sul suo corpo, un anarchico appare nella nudità della sua condizione di fronte al potere: è un esperimento, è il corpo inerme su cui si esercita di volta in volta un nuovo slittamento del diritto, delle procedure e dei significati. Sull’anarchico il potere sperimenta volentieri fin dove può arrivare, se noi non ci opponiamo, se noi non lo fermiamo. Noi chi? Noi che sappiamo, noi che sapendo non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo tacere. Sta a noi che non si proceda oltre questo pericoloso slittamento giuridico: il 41 bis, procedimento già discutibile concepito per isolare i mafiosi, viene esteso al vasto mondo dei reati politici, in un momento storico in cui il dissenso e la libertà di opinione sono già in serio pericolo. È la Procura di Torino ad aver chiesto la riqualificazione del reato per cui Cospito stava già scontando la pena dal 2016, la stessa procura che si sta rendendo protagonista della criminalizzazione del dissenso politico.

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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