In edicola «Coyote del cielo» di Kage Baker

La fantascienza dalle parti dei “nativi americani” … ma non dalla loro parte

Coyote-Urania

«Capirete meglio questa storia se inizio con un bella bugia». E’ chiaro che se questa è la prima riga di un romanzo ci si deve aspettare molto. «Coyote del cielo» – del 1999, traduzione di Cecilia Scerbanenco – di Kage Baker ovvero «La compagnia del tempo 2» torna in edicola con Urania: 260 pagine per 6,50 euri. Mi era scappato in precedenza e della Baker (ohibò) credo di non aver letto alcunché.

Il libro è divertente, in qualche punto molto, e ben scritto. Stop: non mi si venga a dire che affronta con «particolare originalità» questo tema o quell’altro, che «l’autrice ha rinnovato il concetto di viaggio nel tempo». Sul divertimento invece firmo. In particolare tutto il capitolo 22 dove, premessa la classica «sospensione di incredulità», si dipana la festa/storia – lunga una ventina di pagine – di un Coyote (umano ma con effetti speciali quasi come quello “celeste” del titolo) che picchia il suo pene fino a… Beh, ovviamente non lo svelo.

C’è molto cinema, una citazione dopo l’altra, a cascata. Perciò lo consiglio soprattutto a chi ama le molte facce di Hollywood.

Segnalo un clamoroso refuso a pag 9: ovvero un «1699 a. C.» che ovviamente è un «d. C.»… oppure «1699 era comune» come si preferisce dire da qualche parte.

Vittime, o se preferite protagonisti minori, della vicenda gli indiani (pellerossa? amerindi? nativi? Fate voi) Chumash che “vivono” nella California del 1699. Su di loro qualche pagina interessante – mi aspettavo assai di più – e un po’ troppe banalità. Per chi fosse alla ricerca di una bibliografia ragionata su «Science fiction e amerindi» segnalo qui in bottega Pellerossa, ritorno al futuro-1 e Pellerossa, ritorno al futuro-2 di Erremme Dibbì; non è stata aggiornata ma resta “ricca” e appassionata.

 

Redazione
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