In memoria di Giacomo Turra

di GIANNI SARTORI

Nel 1995 un giovane studente padovano in Colombia veniva assassinato dalla polizia

L’assassinio dello studente padovano Giacomo Turra (con l’impunità per i responsabili) è una terribile “cartina di tornasole” per comprendere la reale natura delle violazioni dei diritti umani in Colombia. Come mi aveva spiegato Padre Javier Giraldo (un gesuita, non un guerrigliero) la percentuale di uccisioni, assassini, sparizioni – di civili, beninteso – imputabili a esercito, polizia e squadre della morte paramilitari (meglio: parastatali) era almeno il 90% del totale. Solo una parte del restante 10% poteva essere attribuito alle guerriglie (FARC, ELN…). Tanto per la Storia.
Nel 2000 ne avevo parlato con il giornalista Guido Piccoli, esperto di Colombia dove aveva soggiornato a lungo.
All’epoca due episodi, fra i tanti, avevano da poco nuovamente insanguinato la Colombia:

– sabato 5 febbraio 2000 otto campesinos erano stati uccisi a un posto di blocco dei paramilitari(Autodifese Unite della Colombia) presso Urao.
– venerdì 11 febbraio 2000 forze miste di polizia ed esercito (aviotrasportate) avevano attaccato la località di Canoas, presso Gibraltar, dove erano accampati circa 450 indigeni, donne, vecchi e bambini della comunità UWA. Utilizzando la violenza, i pestaggi e i gas lacrimogeni hanno costretto gli indios a lanciarsi nelle acque del fiume Cubujon. Come conseguenza si registrano numerosi bambini morti annegati, decine di donne e bambini feriti e numerosi
desaparecidos.

Questa era (e in parte lo è ancora, anzi i recenti accordi di pace sembrano aver riattivato le “guerra sporca a bassa intensità” operata dai gruppi paramilitari di destra al servizio di latifondisti, allevatori, proprietari di miniere…) la realtà quotidiana della Colombia dove le violazioni dei diritti umani si contano a centinaia. Paradossalmente un singolo episodio, l’uccisione di uno studente padovano nel 1995, era diventato per gli stessi colombiani l’occasione per denunciare all’opinione pubblica mondiale violenze e soprusi.

Avevo quindi incontrato Guido Piccoli, in occasione di un incontro organizzato nel marzo 2000 a Padova dall’Associazione Giacomo Turra con varie organizzazioni. Ed ecco l’intervista.

Le recenti sentenze che hanno assolto i poliziotti colombiani responsabili della morte di Giacomo hanno riportato sotto gli occhi dell’opinione pubblica il problema dell’impunità di cui godono militari e paramilitari in Colombia. Cosa può dirci della situazione attuale?

«La situazione è sempre più tragica. Alla fine di febbraio 2000 in una sola settimana, si sono registrate più di settanta vittime (la maggior parte è stata ritrovata decapitata per impedirne il riconoscimento) e la notizia è stata quasi completamente ignorata dalla stampa europea. Questi fatti vengono presentati come una conseguenza del narcotraffico, come regolamenti di conti tra bande rivali, ma si tratta di una colossale menzogna. La questione della droga viene usata quasi sempre (v. anche il caso di Giacomo che in un primo tempo hanno tentato di far passare per drogato) per coprire la realtà impresentabile nella sistematica violazione dei Diritti Umani».

Non le sembra che sul problema dell’informazione, almeno in Italia ci sia stata una piccola svolta dopo la testimonianza di padre Javier Giraldo, il gesuita Segretario esecutivo della Commissione Giustizia e pace delle congregazioni religiose della Colombia e attuale vicepresidente della Lega internazionale per i diritti dei popoli?

«Bisogna riconoscere che padre Giraldo, oltre al dono dell’immediatezza, ha quello di dire la verità anche se può essere scomoda. In gennaio abbiamo preso parte entrambi a un incontro organizzato a Roma con esponenti del governo italiano, di ONG, dei sindacati e della cooperazione internazionale. La sua relazione non è stata condivisa da tutti i presenti (per esempio dal responsabile esteri dei DS che ritiene esistano ancora spazi di collaborazione con lo Stato colombiano) ma tutti si sono trovati sostanzialmente d’accordo sulla necessità di una maggiore informazione (in Italia soltanto una decina di giornalisti si occupa saltuariamente della Colombia). Da questo punto di vista l’area del vostro Nord-Est mi sembra la più interessata, sia per la presenza della famiglia e degli amici di Giacomo, sia per il gran numero di gruppi già attivi in Colombia (vedi Udine e Padova)».

Parlava prima dell’equazione droga-violenza regolarmente evocata quando si parla della Colombia. Corrisponde alla realtà?

«Si finge di ignorare che la violenza in Colombia è esplosa molto tempo prima della questione del narcotraffico e che la lotta contro la droga è spesso un comodo paravento per la repressione. Di questo sono consapevoli anche alcuni settori della stampa colombiana. Alla morte del noto narcotrafficante Escobar uscì un significativo editoriale su La Semana “E adesso a chi daranno la colpa?”. Dovendo leggere ogni mattina i quotidiani colombiani (prima in loco, attualmente su Internet) posso confermare che lo stillicidio dei morti ammazzati e delle stragi è costante. Più che abbastanza per deprimersi per il resto della giornata. Purtroppo sulla stampa italiana arriva ben poco. Qualche trafiletto su il manifesto e, più recentemente, qualche articolo su Liberazione e La Repubblica, ma permane l’equivoco sulle vere cause della violenza».

Si era parlato del dramma dei “desplazados”, dei cosiddetti sfollati. In cosa consiste?

«Forse più che di sfollati bisognerebbe parlare di “profughi interni”. Sono persone, intere comunità costrette ad abbandonare tutto (i campi, le case, gli animali) e fuggire, incolonnati, verso le aree urbane. Fuggono dalle zone di conflitto che, guarda caso, spesso sono le più ricche per risorse naturali, quelle che fanno gola alle multinazionali. Finora solitamente si trattava di zone con giacimenti petroliferi o con minerali preziosi. Attualmente sono sotto tiro le zone con maggiore biodiversità. Probabilmente quello della biodiversità diventerà l’affare del millennio con le multinazionali che possono brevettare piante e animali geneticamente modificati da immettere poi sul mercato (oggi questo sta avvenendo nelle zone di foresta da cui si sono allontanati i guerriglieri delle FARC nda). Da questo punto di vista la Colombia è sicuramente una delle nazioni del pianeta più appetibili. Il desplazamiento serve appunto per allontanare gli indigeni dalle zone interessanti per le multinazionali. Quando le minacce non bastano intervengono i gruppi paramilitari che ultimamente compiono le loro stragi usando anche le motoseghe, per squartare e per terrorizzare ulteriormente le popolazioni. Ho potuto verificare come questo produca panico, vera e propria “malattia mentale” nei sopravvissuti che pensano solo a fuggire. A questo punto la terra – “liberata” dalla scomoda presenza degli indios – è pronta per le multinazionali. Attualmente su trentacinque milioni di abitanti vi sono almeno due milioni di desplazados, per la maggior parte confinati nelle periferie di Bogotà dove sono costretti a vivere di espedienti alimentando l’esercito di ladri, prostitute, mendicanti.
Il prossimo obiettivo dei gruppi paramilitari sembra dover essere la regione del Cauca, un’area della Cordigliera occidentale, verso il Pacifico. Secondo le dichiarazioni dei gesuiti di Justitia e Pax, vi operano elementi dell’esercito governativo travestiti da paramilitari. Altre zone interessate dal desplazamiento si trovano al centro del Paese (Cartagena) e nell’area denominata El Salado, dove sono state rinvenute le ultime vittime decapitate. Nelle prossime settimane sono previsti altri trecentomila sfollati. Ricordo che un documento dell’ONU di qualche tempo fa poneva la Colombia al terzo posto per violazioni dei Diritti Umani (dopo il Burundi e il Papua Nuova Guinea). Ma ormai, anche secondo l’ONU, l’emergenza Colombia sta approdando al primo posto».

Di fronte a tutto questo viene spontaneo chiedersi perché il caso di Giacomo Turra susciti tanta emozione. Non si tratta in fondo “soltanto” di un morto in più?

«Giacomo Turra, soprattutto per merito della famiglia, è diventato un simbolo anche in Colombia perché ci sono stati ben due processi. In un Paese in cui ci sono circa trentamila persone ammazzate all’anno (e dal 1978 in media un desaparecido al giorno) nessuna vittima ha avuto tanto, sebbene gli uccisori di Giacomo restino in libertà. Presto ci sarà anche il terzo processo della Corte Suprema (corrispondente alla nostra Cassazione). Questo in Colombia resta un fatto eccezionale, anche se dalle sentenze (ovviamente di assoluzione per gli uccisori di Giacomo) traspare con evidenza tutta l’arroganza dei militari, la loro sostanziale impunità».

Tra le poche voci di denuncia in Colombia ci sono quelle dei gesuiti e dei francescani. Qual è il loro atteggiamento nei confronti della giustizia colombiana?

«Non dimentichiamo che in Colombia la giustizia è poco più di una burla, non per incapacità ma per una precisa scelta politica. Per questo i Gesuiti, da un anno a questa parte, hanno deciso di non andare più dai giudici perché tutte le prove sono a carico dei testimoni che però non vengono tutelati. I giudici non si espongono, non fanno più inchieste e gli stessi famigliari delle vittime non testimoniano per paura di ritorsioni. In compenso talvolta vengono accusati di omertà dai giudici. Attualmente i Gesuiti si rivolgono alla giustizia internazionale chiedendo solidarietà per far conoscere agli altri Paesi (soprattutto USA ed Europa che con la Colombia hanno stretti rapporti commerciali, compreso il traffico di armi) quello che succede. Inoltre continuano a contabilizzare le violazioni dei Diritti Umani, da qualsiasi parte provengano. Si può calcolare che al 90% sono attribuibili all’esercito e ai paramilitari ma non vanno dimenticate quelle commesse dai guerriglieri. Fra queste vorrei ricordare l’uccisione di tre ecologisti americani (uno dei quali conoscevo personalmente) da parte delle Farc, dopo averli ingiustamente accusati di essere spie della Cia».

CHI ERA GIACOMO TURRA

Nel 1997 il Senato accademico dell’università di Padova ha votato all’unanimità di dedicare un’aula a Giacomo Turra, il giovane assassinato due anni prima in Colombia dove era andato per completare la tesi in antropologia. Un giusto riconoscimento sia per Giacomo che per il padre Sisto, docente di Ortopedia nel policlinico di Padova (scomparso qualche anno fa, dopo aver lottato a lungo per la preservare la memoria del figlio assassinato) e una spinta per continuare a lottare invocando giustizia.
Giacomo, studente padovano di 24 anni, era partito il 27 luglio del 1995 per trascorrere un periodo di vacanze a Cartagena, in Colombia. La sera del 3 settembre, pochi giorni prima del rientro, viene fermato dalla polizia all’interno di un ristorante cinese. Si era recato nel locale per chiedere aiuto. Avvertiva dolori allo stomaco e si trovava in evidente stato di malessere. I gestori del locale invece di dargli soccorso avvertirono la polizia. Senza alcun preavviso ilvigilante di un vicino residence lo colpì ripetutamente. All’arrivo della pattuglia di polizia Giacomo viene buttato a terra e massacrato di botte. Viene colpito alla testa e al torace (come dichiarano i testimoni) e poi trascinato nella camionetta.
All’ospedale arriva con mani e piedi legati. Dopo due iniezioni con sedativi viene riconsegnato ai poliziotti. Ritornerà all’ospedale dopo due ore, già cadavere. Il referto medico parla di morte dovuta a politraumatismo e trauma cranico encefalico. Si assiste successivamente a vari tentativi di insabbiamento da parte della polizia colombiana che, contro ogni evidenza, parla prima di morte per overdose e poi di suicidio. I colpevoli restano impuniti e i testimoni vengono minacciati di morte. Va ricordato per il suo coraggio nel testimoniare Julio Cesar Londono che quella notte del 3 settembre 1995 vide il massacro. Julio ha subìto un pestaggio ed è stato minacciato di morte con pistola alla tempia. Ha quindi dovuto rifugiarsi in Italia, dato che in Colombia la sua sorte sarebbe segnata.

Sempre nel 2000 la Lega Internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli” aveva dato parere affermativo alla richiesta di istituire un Tribunale internazionale di opinione sul caso Giacomo Turra, considerandolo il modo più pertinente per sollevare la questione dell’impunità degli uccisori di Giacomo e dell’impunità in generale in Colombia. Ricordo che nella sua riunione dell’8/9 gennaio 2000 il “Consiglio Internazionale della Lega” aveva posto l’impunità come una delle priorità, insieme all’autodeterminazione e alla globalizzazione.
L’obiettivo di un Tribunale di opinione è quello di supplire alla mancanza di giustizia portando all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale i casi di gravi violazioni dei diritti fondamentali in modo da creare le condizioni affinché cessino le violazioni e i responsabili siano deferiti alla giustizia ordinaria, nazionale o internazionale.

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