Incontri ravvicinati

di Mauro Antonio Miglieruolo
(i fatti ivi narrati sono veri; la loro combinazione li rende ancora più veri)

Cammino lungo la street (inizio l’articolo con l’atto di camminare perché costituisce uno dei più rari e degni di nota della mia autobiografia) quando un signore sorridente mi ferma con

la palese intenzione di chiedere qualcosa. Il pensiero immediato (e infastidito) è rivolto all’obolo: sarebbe il quarto dal momento in cui sono uscito di casa, una mezzoretta prima. Sono inoltre reduce da una recentissima analoga interruzione dell’infastidito mio procedere, che non sopporta ulteriori oneri, e faccio per tirare avanti. Lui però insiste, mi sfiora il braccio con le dita, quasi volesse arrestarmi con la costrizione. Cosicché la memoria torna al precedente, protagonista una signora, una tizia che prestamente si dichiara incinta, anche lei m’avvicina con una certa invadenza. Incinta forse lo è pure, anche se non mostra alcun indizio di pancione, ma molta determinazione. “Mi lasci, per favore” ero già pronto a dirle, se non che lei furba e forse veritiera, snocciola l’elenco completo delle sue determinazioni. Oltre che incinta è disoccupata, povera e con un vuoto nello stomaco, cioè bisognosa di fare colazione. Quindi che altro se non darle retta? Le do retta. Tanto più retta dopo che specifica che non desidera soldi (liquidi, contanti), solo le sia pagata la colazione.
15ottLa guardo bene in viso, nella speranza di individuare i suoi effettivi disegni. Se sta cercando di rimediare qualcosa in più del mezzo euro o dell’euro (anche due) che si dà in questi casi, o se il carburante suo è la verità, alimentata dal bisogno effettivo. Non mi riesce d’andare di là dall’apparenza. Non traspira altro che lo stesso delle tante trentenni che si aggirano per la via e nessuna percepibile intenzione di inganno in ognuna. Sfilo allora cinque euro dal borsellino e gliele porgo. Dovrebbero bastare per una prima colazione.
Lei però si schernisce, rifiuta. Non vuole l’elemosina. Ho solo bisogno di mangiare, ribadisce. Insisto, prendili dai… Ma anche lei sembra ferma sulla posizione assunta. Desidera che entri con lei in un bar e paghi quel che deciderà di mangiare. Classico cornetto e cappuccino, specifica a ogni buon conto. Mica ha intenzione di spogliare un bar! Niente transazioni economiche, tra noi. Solo l’offerta del cibo. Non vorrei pensasse… Mi dà del lei, la tipa. Mentre io maleducato, profittando della posizione di forza, subito del tu.
Che dovrei pensare? Che mi sta imbrogliando? Problema suo, il mio l’ho risolto utilizzando il foglio da cinque euro, atto che mi permette di non evadere il dovere di soccorrere il prossimo che lo chiede.
La donna esita, si decide. Prende il danaro. Punta il bar più vicino, si approssima, entra (una marziana, valuto. Un’accattona in vena di verità!). Io invece attraverso la strada per raggiungere l’edicola dove mi attende l’ultimo numero di Urania. Lo punto, il n umero di Urania, tutto bello bianco, promettente; l’acquisto, esco.
Fuori trovo il signore sorridente e un poco invadente del quale ho relato al principiare del pezzo.
– Olà! Olà! – gorgheggia tutto contento, tutto cordialità, tutto investito nella sua missione di angelo rivelatore. L’espressione perplessa che metto su, seguita dall’immediato tentativo di procedere oltre lo convincono della necessità di motivare e motivarsi un poco.
– Lei è il Signor Mauro, vero? – fa.
Al che io: – Ci conosciamo?
– Ma come, Professore (non sono professore), non si ricorda di me? Accompagnavo mia figlia Antonella a prendere lezioni di matematica… saranno… saranno… mi aiuti…
Il nome Antonella fa da apriti sesamo per la memoria. Ricordo. Lo aiuto: – Una trentina di anni fa, minimo, se non rammento male…
– Una cosa così. Ma lo sa che da allora Antonella non ha più avuto problemi con la matematica?
– Beata lei. Io invece sto cominciando a averli adesso…
Ride.
– A chi lo dice…
È ancora tutto cordiale. È grato, felice di essersi imbattuto nella mia augusta persona. Felice di poter indugiare per approfondire la conoscenza, come non poteva fare allora, trenta anni prima, preso dalla fretta i tanti impegni (ora è in pensione, che diavolo!), quando mi consegnava la pargoletta e via, avvisando che, trascorso un paio d’ore, sarebbe venuto qualcuno a ritirarla. Ma ecco che per mia (o sua) disgrazia si accorge del fascicolo che stringo contro il petto e fa le facce. Turbatissimo. Macomeunocomeleileggestaroba? Obietta. Domanda. O non so che cosa. Pronunciando tutto attaccato, proprio come è scritto. Stupefatto. Il suo sconcerto è tale da far agio sulle buone maniere (il mio uguale). E persino sulla gratitudine della quale si sente in debito.
– Trova non mi si confaccia? – replico iniziando a seccarmi. – Che non abbia anche io diritto a rilassarmi un paio di orette con una lettura amena e pure istruttiva?
Risponde raddoppiando le facce. Allo sconcerto si aggiunge lo stupore. E un principio d’indignazione.
– Istruttiva? Ma che dice? Sono tutte stupidaggini, favolette per bambini!
Neppure si rende conto di (implicitamente) offendermi.
– Dice? – dico indignandomi a mia volta. Ma cercando di non darlo a vedere.
– Lo dice la parola stessa: fantascemenza…
– Ommiodio…
– Tutte cose impossibili. Parla solo di cose impossibili.
– Tipo?
15ott014Ma lui qualcosa ha letto. Oppure ha letto ciò che altri ha scritto sulla fantascienza. E sciorina: – Piatti volanti, mostri, robot, marziani…
– Marziani? Non crede nei marziani, lei? Ma se ne ho appena incontrato uno!
– Signor Mauro, la prego non scherzi!
– Venga con me, – gli faccio. – Ho qualcosa da mostrarle.
Il bar è vicino. Dall’altra parte della strada, risalendo per una cinquantina di metri. lo guido, pur recalcitrante, verso il bar. Nel bar l’incinta un po’ marziana non c’è. Non può aver fatto colazione. Comincia a dubitare che tanto marziana poi non sia.
– È entrata per caso una Signora così e cosà, – chiedo al barista, un tipo sveglio, mi conosce e mi vuole bene. Mi vuole bene da quella volte che, ottenebrato da una Marilyn Monroe di passaggio, si è sbagliato a darmi il resto di cento euro (dieci dovevano essere e invece me ne ha date novanta: ho rivendicato i miei dieci) e da allora mi porta in palmo di mano.
– Una così e cosa? Sì, è entrata ed è subito uscita…
Ed io invece un fesso trascendentale. Altro che marziana. Una terrestre al 100%, ecco cosa.
– Ed è venuta a prenderla un disco volante, vero?
– No, macché. Ce n’era mica bisogno. Non appena sul marciapiedi è partita a razzo verso l’alto.
– Magari il tuo aiutante ha visto meglio…
Dà una voce a un tizio che armeggia con casse di bibite che impila una sull’altra.
– Hai visto dischi volanti tu?
– No, ho solo visto una tizia schizzare verso il settimo piano…
– Visto? – dissi rivolto al poveruomo che avevo costretto a seguirmi, probabilmente persuaso di essere in una gabbia di matti.
– Lei ha voglia di scherzare, Signor Mauro.
– No, solo voglia di rimettere in piedi ciò che è rovesciato. E di ben conoscere ciò che non è ben conosciuto.
Faccende varie. Quisquilie. O enormità, fatti trascendentali, immanenze varie. Cosucce del tipo specchio, specchio delle mie brame, chi è il più fesso del reame? Cercando di far fesso a mia volta qualcuno, per non essere proprio io l’ultimo. Ma anche di sciogliere enigmi intorno all’esistenza degli extraterrestri, e specificamente dei marziani. Esistevano o non esistevano? Più pedestremente, terra terra, ero io il marziano, o era la donna incinta (se era poi vero che fosse incinta. Un po’ di pancia l’aveva, non abbastanza da poterlo affermare con certezza?). Oppure di arrivare a dare soluzione all’antica questione, rimasta in sospeso, se la fantascienza faceva bene a parlare di alieni ed UFO o faceva malissimo. Questo e il tanto altro da cui fui immediatamente sommerso e travolto. Che immantinente (volontà di ritorsione? Per punirlo dell’eccessivo disincanto nei confronti della fantascienza?) girai all’incauto vecchio genitore che mi aveva fermato.
Il quale balbettò una sola volta, una sola “ma, Signor Mauro” e si tacque.
15ott28_18Poi, mentre gli dicevo di quella volta che ero stato palpeggiato su un autobus da un Uranide mutante, precisando “ignoro se fosse maschio o femmina”, diede un passo indietro; ed un altro quando lo invitai a far colazione sul terrazzo di casa mia, dove quotidianamente ricevevo uomini del futuro, trovavo gli sarebbe interessato conoscerne qualcuno; e un terzo quando il barista si affacciò per gridare “lo sa che sotto la gonna era come gli scozzesi in kilt? Dopodiché non resse più. Volse le spalle e se ne andò di corsa senza neppure accennare a un saluto.

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