India: lingue, dighe e rivoluzioni

di Sunil Deepak

Ho conosciuto Daniele Barbieri 7-8 anni fa durante un corso di scrittura creativa a Bologna dove lui era uno degli insegnanti. Ogni volta che esce un nuovo articolo sull’India sul blog “La Bottega del Barbieri” ricevo una sua email. Così qualche giorno fa ho avuto il link di un articolo di Gianni Sartori intitolato, India: popoli e lingue minacciati dal “progresso”. (*)

In questo scritto voglio approfondire alcune questioni sollevate da Sartori nel suo articolo.

Le lingue che scompaiono nel mondo

Sartori accenna alle difficoltà di scegliere tra lo sviluppo e la salvaguardia delle lingue parlate da piccoli gruppi che stanno scomparendo. La costruzione delle strade nelle aree rurali e tribali, l’educazione scolastica, tutto contribuisce alla scomparsa delle lingue minori. E come si fa a scegliere tra lo sviluppo e la salvaguardia della propria cultura?

Penso che imparare nuove lingue e conoscere nuove culture è un arricchimento personale. Allo stesso momento, nuove lingue e nuove conoscenze inevitabilmente ci cambiano – cambiano il nostro modo di pensare, le nostre lingue e le nostre culture. Come si fa ad essere aperti al nuovo e mantenere invariato il vecchio? Ogni persona che ha traslocato, anche nel proprio Paese, lo sa. Ma forse non serve neanche traslocare, perché con le ferie all’estero, con la TV e con l’internet, è impossibile non incontrare l’altro e il diverso, e nel processo, non essere cambiato?

In India, il predominio di Bollywood insieme alle sue canzoni e la popolarità delle soap-opere della TV indiana sono forze importanti che influiscono sul nostro mondo linguistico. Il fascino di Bollywood e della TV indiana, arrivano in Nepal, Bangladesh, Pakistan e Afghanistan. Qualche anno fa, in un villaggio circondato dalle montagne in Nepal, avevo incontrato un insegnante, il quale si era lamentato dell’influenza dei telefilm indiani sulla lingua parlata degli studenti. Dall’altra parte i film di Hollywood e la musica americana influiscono sulle persone che vivono nelle metropoli, non solo in India ma in tutto il mondo.

Sartori nel suo articolo non parla dell’impatto delle religioni nella scomparsa delle lingue e delle culture, ma anche questo ha un suo ruolo, non solo in India ma in tutto il mondo. La costruzione delle nuove strade nelle aree abitate dalle tribù, portano gli autobus, i commercianti, le idee esterne e anche le religioni.

Qualche anno fa, mentre visitavo alcune aree interne di Madhya Pradesh, abitate dalle tribù isolate, nella parte centrale dell’India, gli amici mi raccontavano che i ragazzi che frequentano le scuole superiori e le università portano le feste e i costumi dedicati agli dei indù nelle proprie comunità, mentre con il tempo gradualmente le feste tribali come quelle dedicate agli dei locali diventano meno importanti.

Nel nord-est dell’India, negli Stati di Meghalaya e Nagaland, l’opera dei missionari ha convertito la stragrande maggioranza della popolazione al cristianesimo, con la quasi scomparsa delle lingue, dei costumi e delle mitologie indigene di queste tribù.

Invece nello stato di Assam, la diffusione dei predicatori islamici sta cambiando i costumi dei gruppi musulami che vivono da secoli in queste aree, compresi alcuni cambiamenti linguistici. Il numero delle donne e delle ragazze che portano il velo integrale è in aumento, e alcuni aspetti sincretici della religione vengono scoraggiati. Si scoraggia anche l’uso di parole della lingua urdu “perché non abbastanza islamiche”, sostituendole con le parole in arabo.

Cosa possiamo fare per fermare questi cambiamenti?

Secondo la filosofia Buddista, il cambiamento è l’unico costante della vita. Allora perché piangiamo se le nostre culture e le nostre lingue scompaiono? Forse noi – i figli cresciuti nella transizione dal mondo delle culture che restavano immutate per secoli al mondo dei villaggi globalizzati che cambiano continuamente – sentiamo questo dolore e magari i nostri figli e nipoti, non lo sentiranno?

Le minacce alle lingue indiane

Come scritto da Sartori, l’istruzione scolastica in India può avvenire soltanto in inglese e/o in una delle 22 lingue ufficiali indiane. Ogni lingua indiana ha un suo alfabeto diverso da quello delle altre. Ognuna di queste 22 lingue è parlata da milioni di persone, ma esse hanno anche molte variazioni al loro interno.

Per esempio, secondo i dati del 2008, 528 milioni di indiani parlavano hindi. L’hindi ha molte varianti, con differenze al loro interno paragonabili a quelle fra italiano e spagnolo. Per esempio, tra questi 528 milioni, vi erano 13,6 milioni che parlavano la variante maithili, 150 milioni parlavano bhojpuri, 38 milioni avadhi e 1,5 milioni braj-bhasha. Anche se uno capisce l’hindi, non è detto che riuscirà a capire queste varianti. Qualche anno fa, in un ospedale di Lucknow, dove si parla la variante avadhi, che capisco, facevo fatica a comprendere la lingua di alcuni malati venuti dalle aree interne.

Tutte queste varianti “minori” di hindi sono minacciate dall’hindi-ufficiale, un po’ come i dialetti in Italia rischiano di essere sopraffatti dall’italiano.

Le persone che parlano le varianti di hindi sono sparse in territori vasti e esistono diverse versioni locali di ciascuna di queste varianti, talvolta così diverse che si fanno fatica a capire tra di loro. Per esempio, la variante bhojpuri ha diverse sotto-varianti come gorakhpuri, sarnami, nepali, nagpuria e molte altre. Tutte queste varianti di bhojpuri sono minacciate sia dal bhojpuri ufficiale che dall’hindi.

Cosa possiamo fare per assicurare la sopravvivenza di questa diversità linguistica?

Il predominio dell’inglese

A sua volta, la situazione di hindi non è molto migliore. Nelle città c’è la moda di parlare hinglish, una miscela di hindi e inglese. Diversi giornali e TV indiane usano sempre più spesso l’hinglish.

In molte scuole delle grandi città, tutto l’insegnamento avviene soltanto in inglese e l’hindi si studia per pochi anni. Le scuole più ambite sono quelle gestite dai missionari cristiani perché “insegnano l’inglese vero” ma costano molto e non sono accessibili agli studenti non-cristiani poveri.

Nelle scuole frequentate da gruppi più poveri, soprattutto nelle scuole elementari e medie governative, la lingua di istruzione è hindi o un’altra lingua indiana ufficiale. I gruppi benestanti guardano con disprezzo queste scuole.

Inoltre, spesso nelle scuole superiori e soprattutto nelle università, se uno vuole studiare scienze e le materie tecniche, trova tutti i libri e i corsi solo in inglese. Se uno non sa esprimersi in inglese non può accedere agli studi professionali. È un ostacolo in più, e forse quello più difficile da superare, per accedere all’università per i ragazzi provenienti dalle fasce più basse.

In questo modo, le lingue indiane ufficiali sono a loro volta minacciate dall’inglese. Per questo motivo, spuntano da tutte le parti, anche nelle città indiane piccole e periferiche, le scuole private dove la lingua di istruzione è inglese anche se gli insegnanti non la parlano bene.

Tutte le maggiori lingue indiane sono basate sul sanscrito o hanno una componente significativa di parole in sanscrito. Al posto dell’inglese, forse il sanscrito poteva essere la lingua per unificare l’India. Ma il sanscrito è la lingua dei testi sacri dell’induismo per cui qualunque tentativo in suo favore è visto da una parte dei media come un tentativo di favorire l’induismo e dunque essi gridano al complotto di voler imporre la religione della maggioranza. Alcuni mesi fa, la decisione del governo di sostituire lo studio di tedesco alle scuole superiori con quello di sanscrito, come terza lingua, aveva suscitato proteste degli attivisti “liberali”.

Le persone che parlano inglese costituiscono la burocrazia e la borghesia urbana. Qualunque discussione sulla promozione dello studio nelle lingue indiane viene spesso definito come un “tentativo della destra nazionalista che vuole portare l’India al medioevo”. La perpetuazione dell’inglese nei documenti ufficiali, nelle università e nei tribunali, parlata da circa il 10% della popolazione, comporta l’esclusione delle fasce basse dai processi di sviluppo. Le elite indiane difendono l’inglese come la lingua moderna adatta ai tempi odierni, che apre le porte del mondo.

La rimonta delle lingue locali

Se le spiegazioni sopra vi fanno pensare che oramai la scomparsa delle lingue indiane è vicina, bisogna guardare alla questione da un altro angolo.

Nell’ultimo decennio, l’India ha visto una diffusione enorme di telefoni cellulari. Il numero delle persone con telefoni cellulari è salito da 524 milioni (2013) a circa 775 milioni nel 2018.

Inoltre, da qualche anno, è iniziata la rivoluzione dell’internet e il costo di accesso alla rete si è notevolmente abbassato. Per esempio, si può arrivare ad avere 40-50 giga di dati per soltanto 2-3 euro al mese. Da una parte ciò significa che i consumatori indiani hanno maggiore accesso ai programmi della TV indiana, ai film e telefilm di Bollywood e Hollywood, per cui vi è un maggiore rischio di perdere le proprie lingue locali. Dall’altra parte, questa mutazione ha innescato un’esplosione di iniziative nelle lingue locali tramite blog, facebook, youtube e whatsapp.

Quel 90% di indiani che non parla l’inglese ha improvvisamente trovato un modo per imporsi nelle culture locali. Per esempio, i video su Youtube delle canzoni in lingua bhojpuri di una giovane di nome Maithili Thakur sono seguite da milioni di persone. Altri nuovi cantanti, comici, poeti, scrittori e guru che si esprimono nelle lingue locali, trovando milioni di seguaci, stanno emergendo ogni giorno, innescando una rinascita culturale delle lingue e dialetti che sembravano moribonde fino a qualche anno fa.

Negli ultimi 2-3 anni, i giganti mondiali come Google, Apple e Amazon hanno lanciato diverse iniziative indirizzate a raggiungere questi gruppi che non parlano l’inglese. Quale sarà l’impatto di questa democratizzazione del controllo dell’informazione nei prossimi 5-10 anni?

Penso che la partita delle lingue indiane non è ancora finita.

L’articolo di Sartori tocca alcune altre questioni come quella delle dighe e della rivoluzione dei maoisti. Voglio toccarle brevemente.

Le proteste di Medha Patkar

Riguardo le dighe, Sartori cita la lotta pluridecennale dell’attivista indiana Medha Patkar. Avevo conosciuto Patkar circa due decenni fa e una volta, avevo fatto da traduttore per il suo intervento in un comizio in Italia.

Mentre Medha è ancora celebrata in Occidente, in India oramai il numero delle persone che la seguono si è ridimensionato. Molti la vedono come una persona contro il progresso e il benessere. Qualche anno fa si era candidata alle elezioni ma aveva preso solo l’8% di voti. Il suo movimento ha perso una parte del sostegno popolare e negli ultimi anni, più di una volta, i suoi comizi nelle aree urbane sono stati contestati ferocemente dai cittadini locali.

Penso che la sconfitta di Medha sia legata anche alla sua incapacità di coinvolgere e far capire ai giovani nelle città che la costruzione di grandi dighe non è soltanto un problema dei poveri che perdono le loro case e terreni, ma è un problema della salvaguardia dell’ambiente che porta alle alluvioni e ai grandi disastri in territori sempre più vasti.

Negli ultimi anni, le frequenti inondazioni e i relativi gravi danni in diverse parti del Paese hanno risollevato la questione delle grandi dighe, ma non vi sono nuove figure trainanti capaci di far nascere movimenti popolari intorno a questi temi, come Medha era riuscita a fare per più di un decennio. Negli ultimi anni, lo scrittore Amitabh Ghosh, ha sollevato la questione ambientale, ma neanche lui ha un seguito popolare.

Penso che l’India abbia bisogno di nuovi attivisti ambientali, capaci di raggiungere le grandi masse indiane, e che non siano visti come “contro lo sviluppo e benessere”.

I maoisti e le tribù

Questa è la parte dell’articolo di Sartori con la quale mi sento in leggero disaccordo. Dalle parole di Sartori emerge una visione romantica della lotta dei maoisti accanto ai poveri delle tribù sfruttati e calpestati dalle multinazionali con il benestare del governo. Anche Arundhati Roy aveva scritto alcuni articoli su questo tema, che lui ha citato. In un articolo lei aveva descritto i maoisti come gli eredi di Mahatma Gandhi. Ammiro molto Arundhati Roy ma non concordo con queste sue parole.

Ho avuto 3 occasioni di entrare nei territori controllati dai maoisti, 2 volte in India e una volta nel Nepal. Penso che siano persone accecate dalla ideologia, brutali e violente, sicuramente non migliori e forse peggiori dal sistema che dichiarano di voler cambiare. Il loro controllo sulle tribù nelle aree occupate era ferreo e spietato. Penso che chiamarli eredi o seguaci di Mahatma Gandhi vuol dire non capire la filosofia di Gandhi.

L’India delle caste, degli esclusi e dei sfruttati deve cambiare, ma non con una rivoluzione violenta che vuole sostituire il sistema democratico con un sistema totalitario basato sulle idee di Stalin o di Mao.

Conclusione

È difficile parlare delle questioni legate all’India perché è un Paese enorme e per ogni situazione esistono innumerevoli variazioni e complessità, come si vede dalla questione delle lingue indiane.

Le nuove tecnologie, i cellulari e l’accesso all’internet stanno cambiando questa India e penso che la modificheranno molto di più nei prossimi anni. Non sarà un cambiamento deciso da gruppi di attivisti ma deciso dalle masse. Per cui avrà i suoi risvolti negativi, ma penso e spero che salvaguarderà le incredibili diversità indiane in un mondo che è sempre più un villaggio globale omogenizzato.

(*) cfr India: popoli – e lingue – minacciati dal “progresso”

 

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