Insegnare vuol dire

Una lettera al ministro (che vuol “moralizzare” i concorsi) di Raffaele Mantegazza  

Gentilissimo signor Ministro,

leggo con immenso piacere che Lei ha intenzione di “moralizzare” i concorsi universitari. Io mi accontenterei di renderli adatti al ruolo per il quale sono previsti, che è quello di PROFESSORE. Lascio da parte i casi di corruzione e di irregolarità: sono reati e vanno perseguiti. Mi concentro invece sui concorsi “regolari” che credo siano la stragrande maggioranza (checché se ne dica). Siamo passati dal sistema delle terne (tre docenti in commissione per tre posti: e non aggiungo altro perché sappiamo tutti benissimo come ha funzionato il sistema) al sistema del concorso nazionale con successiva chiamata da parte dei Dipartimenti. Ora, signor Ministro, Lei avrà certamente letto con attenzione i criteri per l’abilitazione nazionale, ad esempio quelli per diventare professore di I o di II fascia in pedagogia (cioè una persona che dovrà insegnare a insegnare/educare). Non esiste UN criterio che valuti la capacità pedagogica o la metodologia didattica (a parte la supervisione di tesi di dottorato) che prenda in considerazione i precedenti didattici interni all’Università, che valuti le capacità di tenuta in aula del candidato: si pensa dunque di selezionare un professore sulla base delle sue competenze, delle sue pubblicazioni, dell’impatto delle sue ricerche nel contesto internazionale, del numero di comitati scientifici dei quali fa parte. Bene. Ma non è che poi, giusto per caso, quella persona dovrà andare in aula, lavorare con ragazzi e ragazze dai 19 ai 25 anni, programmare e svolgere una lezione, sapere come trattare uno studente all’esame, sapere come seguire un laureando che magari sta andando in crisi, sapere come rivolgersi a uno studente straniero, insomma sapere FARE il professore? L’abilitazione seleziona persone capace di fare ricerca (e di attirare fondi, un criterio veramente sconcertante); ma non dice una parola sulla capacità pedagogica e didattica. Come dire: che bello fare i professori universitari, peccato che ci siano gli studenti a dare fastidio. “Moralizzare” è una bella parola, molto mediatica: proviamo anche a fare un’altra operazione, magari più impopolare. Proviamo a dire ai professori universitari che PRIMA DI TUTTO essi sono PROFESSORI e devono PRIMA DI TUTTO saper trasmettere il loro sapere ai ragazzi e alle ragazze. Poi, per carità, hanno tutto il diritto e dovere di pubblicare ricerche internazionali o di costituire l’ennesimo comitato scientifico di una rivista che stampa 5 copie lette da 4 persone. Ma innanzitutto sono professori. Altrimenti, per onestà, cambiamo loro il nome, definiamoli uomini di scienza e attrattori di fondi; poi però mandiamo a casa gli studenti e le studentesse; perché questo modo di selezionare i docenti è prima di tutto un insulto a loro, alla loro sensibilità e ai loro diritti

Raffaele Mantegazza

Professore di II fascia di pedagogia

Università di Milano-Bicocca

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *