Intermezzo letterario nicaraguense

Duro attacco dell’orteguismo contro la cultura.

di Bái Qiú’ēn

I

Lo dobbiamo confessare: dal 2018 a oggi abbiamo perso il conto. Il conto di quante associazioni, fondazioni e ONG in Nicaragua sono state soppresse con cavilli più o meno legali che non reggerebbero in uno Stato di diritto. Essenzialmente con la generica accusa di attentare contro la sicurezza dello Stato, senza addurre alcuna prova. Dai gruppi femministi a quelli professionali (soprattutto medici), fino ai Cavalieri di Malta e al Rotary Club di León.

Secondo alcuni calcoli, per quanto approssimati, sono oltre 400. Nella patria di Rubén Darío, non solo sono state colpite dai provvedimenti inesorabili e inappellabili alcune voci dell’opposizione politica e sociale, il che sarebbe comprensibile per quanto non condivisibile, pure la cultura ha subito duri colpi. L’elenco sarebbe forse troppo lungo, per cui ci limitiamo ai più significativi.

Nel febbraio del 2021, dopo oltre venti anni di attività, la poetessa e scrittrice Gioconda Belli annunciò la chiusura volontaria della sezione nicaraguense di «PEN Internacional» (acronimo di Poets, Essayists, Novelists), a causa delle normative sempre più draconiane contro la società civile. Fondata a Londra nel 1921, da cento anni questa associazione internazionale pone la difesa della libertà di parola contro ogni tipo di censura e autocensura al centro delle proprie attività. Alla metà di febbraio del 2022 è stata soppressa, come pure la «Fundación iberoamericana de las culturas». Negli stessi giorni, su richiesta della presidenza della Repubblica, l’Asamblea Nacional ha deciso la drastica chiusura e l’immediata confisca di una quindicina di università private, registrate come ONG.

Nell’aprile 2022 è stata annullata la personería jurídica alla «Fundación Luisa Mercado», fondata e presieduta da Sergio Ramírez per la promozione dello sviluppo culturale ed educativo a beneficio dei giovani.

A metà maggio è stata soppressa la «Fundación Festival internacional de poesía», uno dei più importanti del mondo che si svolgeva da quasi venti anni a Granada ogni febbraio, con molte centinaia di poeti che arrivavano da ogni continente.

Il 31 maggio è stata soppressa l’Accademia nicaraguense della lingua, creata l’8 agosto 1928 per volere del Parlamento, con un decreto esecutivo. Il successivo 20 dicembre fu approvata la legge relativa al suo funzionamento, la quale all’articolo 1 stabilisce che «avrà il carattere di Organo consultivo del Governo per tutto ciò che riguarda la conservazione e il miglioramento della lingua nazionale».

A queste, possiamo aggiungere l’eliminazione di: «Fundación Mejía Godoy», «Asociación de cantautores nicaragüenses», «Asociación espacio para la investigación y reflexión artística», «Fundación para el rescate, promoción y divulgación de la cultura nicaragüense». E l’elenco potrebbe proseguire.

II

Il frate mercedario Francisco de Bobadilla fu incaricato dal governatore Pedrarias Dávila di evangelizzare il Nicaragua. Secondo lo stesso Bobadilla, in una lettera raccolta dallo storico Gonzalo Fernández de Oviedo, in soli 186 giorni tra il settembre del1528 e il marzo del 1529 riuscì a battezzare ben 52.558 indigeni. Con il suo zelo, fece abbattere i templi per trasformarli in chiese e confiscò tutte le pergamene conservate dai capi e dagli anziani delle comunità native, nelle quali conservavano le immagini delle loro divinità e delle loro cosmogonie. Ordinò di bruciarli sul rogo in quanto contenenti eresie contrarie al cristianesimo, perdendo così una parte importante dell’eredità culturale e religiosa dei popoli indigeni locali.

III

Rubén Darío viaggiò in Costa Rica soltanto una volta, ma la sua permanenza nel Paese confinante durò nove mesi, dal 24 agosto 1891 al 15 maggio 1892. Il 17 marzo 1892 il quotidiano El Heraldo de Costa Rica pubblicò un suo testo che vale la pena far conoscere al lettore italiano.

A parlare in un quasi monologo che solo al termine diviene dialogo, è un personaggio del popolo che incarna le sue disgrazie, privazioni e mancanze, dovute a una classe dirigente che sperpera opulenza e privilegi che la gente comune neppure osa sognare. Detto personaggio senza tempo inneggia alla rivoluzione prossima ventura come atto di ribellione contro lo statu quo.

Perché?

– Oh, signore! Il mondo va assai male. La società si scardina. Il prossimo secolo vedrà la più grande delle rivoluzioni che hanno insanguinato la terra. Il pesce grande mangia quello piccolo? Così sia; presto, però, avremo la nostra rivincita. Il pauperismo regna e l’operaio porta sulle proprie spalle la montagna di una maledizione. Nulla ha valore adesso, se non il miserabile oro. I diseredati sono l’eterno gregge per l’eterno mattatoio. Non vede questi ricconi nelle loro camicie come se fossero di porcellana, e tante impettite signorine agghindate in seta e pizzo? Intanto, le figlie dei poveri dall’età di quattordici anni devono prostituirsi. Sono del primo che le compra. I banditi possiedono banche e magazzini. Le officine sono il martirio dell’onore; si pagano soltanto gli stipendi che piacciono ai magnati, e mentre l’infelice riesce a mangiare il suo pane duro, nei palazzi e nelle case ricche i fortunati si rimpinzano di tartufi e fagiani. Ogni carrozza che passa per le strade schiaccia sotto le sue ruote il cuore dei poveri. Questi signorini che sembrano gru, questi redditieri in cachemire e questi mietitori panciuti sono i meschini martirizzatori. Io vorrei una tempesta di sangue; vorrei che suonasse l’ora della riabilitazione, della giustizia sociale. Non si chiama forse democrazia quell’enigma politico del quale i poeti cantano e gli oratori lodano? Allora, sia maledetta questa democrazia. Questa non è democrazia, bensì disgrazia e rovina. L’infelice soffre una pioggia di piaghe; il ricco si diverte. La stampa, sempre venale e corrotta, non canta altro che l’invariabile salmo dell’oro. Gli scrittori sono i violini suonati dai grandi potentati. Al popolo non si fa caso. E il popolo è infangato e putrefatto per colpa di coloro che stanno in alto: nell’uomo il crimine e l’alcolismo; nella donna, sia la madre sia la figlia e sia la coperta che le avvolge. Quindi, faccia Lei i conti! Il centesimo che si ottiene, a cosa dovrebbe servire se non per l’aguardiente? I padroni sono spietati con coloro che li servono. I padroni, in città e in campagna, sono tiranni. Qui gli stringono il collo; nei campi insultano il bracciante, gli lesinano il suo salario, lo nutrono con fango e per finire gli violentano le figlie. Tutto va in questo modo. Non so come la mina che minaccia il mondo non sia ancora esplosa, perché avrebbe dovuto già scoppiare. In ogni dove brucia la stessa febbre. Lo spirito delle classi inferiori si incarnerà in uno spietato futuro vendicatore. L’onda del basso farà crollare la massa dell’alto. La Comune, l’Internazionale, il nichilismo son poca cosa; manca l’enorme e vittoriosa coalizione! Tutte le tirannie crolleranno: la tirannia politica, la tirannia economica, la tirannia religiosa. Perché anche il prete è un alleato dei carnefici del popolo. Egli canta il suo tedeum e recita il suo paternoster, più per il milionario che per il disgraziato. Gli annunci del cataclisma, però, sono già sotto gli occhi dell’umanità, ma l’umanità non li vede; ciò che vedrà bene sarà il terrore e l’orrore del giorno dell’ira. Non esisterà forza che possa contenere il torrente della fatale vendetta. Sarà necessario cantare una nuova marsigliese che, come le trombe di Gerico, distrugga la dimora degli infami. L’incendio illuminerà le rovine. Il coltello popolare taglierà colli e ventri odiati; le donne del popolino strapperanno i capelli biondi delle vergini superbe; il piede dell’uomo scalzo macchierà il tappeto dell’opulento; le statue dei banditi che opprimevano gli umili saranno spezzate; e il cielo vedrà con paurosa allegria, in mezzo al ruggito della catastrofe redentrice, il castigo degli arroganti malfattori, la suprema e terribile vendetta della miseria ubriaca!

– Ma chi sei, tu? Perché urli così?

– Mi chiamo Juan Lanas e non ho un centesimo.

ECCOLO IN LINGUA ORIGINALE

¿Por qué?

¡Oh, señor! el mundo anda muy mal. La sociedad se desquicia. El siglo que viene verá la mayor de las revoluciones que han ensangrentado la tierra. ¿El pez grande se come al chico? Sea; pero pronto tendremos el desquite. El pauperismo reina, y el trabajador lleva sobre sus hombros la montaña de una maldición. Nada vale ya sino el oro miserable. La gente desheredada es el rebaño eterno para el eterno matadero. ¿No ve usted tanto ricachón con la camisa como si fuese de porcelana, y tanta señorita estirada envuelta en seda y encaje? Entre tanto las hijas de los pobres desde los catorce años tienen que ser prostitutas. Son del primero que las compra. Los bandidos están posesionados de los bancos y de los almacenes. Los talleres son el martirio de la honradez; no se pagan sino los salarios que se les antoja a los magnates, y mientras el infeliz logra comer su pan duro, en los palacios y casas ricas los dichosos se atracan de trufas y faisanes. Cada carruaje que pasa por las calles va apretando bajo sus ruedas el corazón del pobre. Esos señoritos que parecen grullas, esos rentistas cacoquimios y esos cosecheros ventrudos son los ruines martirizadores. Yo quisiera una tempestad de sangre; yo quisiera que sonara ya la hora de la rehabilitación, de la justicia social. ¿No se llama democracia a esa quisicosa política que cantan los poetas y alaban los oradores? Pues maldita sea esa democracia. Eso no es democracia, sino baldón y ruina. El infeliz sufre la lluvia de plagas; el rico goza. La prensa, siempre venal y corrompida, no canta sino el invariable salmo del oro. Los escritores son los violines que tocan los grandes potentados. Al pueblo no se le hace caso. Y el pueblo está enfangado y pudriéndose por culpa de los de arriba: en el hombre el crimen y el alcoholismo; en la mujer, así la madre, así la hija y así la manta que las cobija. ¡Conque calcule usted! El centavo que se logra ¿para qué debe ser sino para el aguardiente? Los patrones son ásperos con los que les sirven. Los patrones, en la ciudad y en el campo, son tiranos. Aquí le aprietan a uno el cuello; en el campo insultan al jornalero, le escatiman el jornal, le dan a comer lodo y por remate le violan a sus hijas. Todo anda de esta manera. Yo no sé cómo no ha reventado ya la mina que amenaza al mundo, porque ya debía haber reventado. En todas partes arde la misma fiebre. El espíritu de las clases bajas se encarnará en un implacable y futuro vengador. La onda de abajo derrocará la masa de arriba. La Commune, la Internacional, el nihilismo, eso es poco; ¡falta la enorme y vencedora coalición! Todas las tiranías se vendrán al suelo: la tiranía política, la tiranía económica, la tiranía religiosa. Porque el cura es también aliado de los verdugos del pueblo. El canta su tedeum y reza su paternóster, más por el millonario que por el desgraciado. Pero los anuncios del cataclismo están ya a la vista de la humanidad y la humanidad no los ve; lo que verá bien será el espanto y el horror del día de la ira. No habrá fuerza que pueda contener el torrente de la fatal venganza. Habrá que cantar una nueva marsellesa que como los clarines de Jericó destruya la morada de los infames. El incendio alumbrará las ruinas. El cuchillo popular cortará cuellos y vientres odiados; las mujeres del populacho arrancarán a puños los cabellos rubios de las vírgenes orgullosas; la pata del hombre descalzo manchará la alfombra del opulento; se romperán las estatuas de los bandidos que oprimieron a los humildes; y el cielo verá con temerosa alegría, entre el estruendo de la catástrofe redentora, el castigo de los altivos malhechores, la venganza suprema y terrible de la miseria borracha!

¿Pero quién eres tú? ¿Por qué gritas así?

Yo me llamo Juan Lanas y no tengo un centavo.

Nell’immagine El grito de Juan Lanas realizzato nel 1993 dall’amico muralista colombiano Daniel Pulido nei locali della biblioteca municipale di León.

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