Intervento “umanitario” in Venezuela?

Dietro la presenza dei caschi bianchi argentini al confine tra Venezuela e Colombia si cela un nuovo tentativo di destabilizzazione del paese bolivariano.

di David Lifodi

L’Argentina macrista non poteva certo restare fuori dalla gara a chi si mette più in luce per destabilizzare il Venezuela e, in questo contesto, va letto l’invio di caschi bianchi nelle città di frontiera di Cúcuta (dipartimento Norte de Santander) e Maicao (dipartimento La Guajira). Entrambe si trovano al confine con il Venezuela. La motivazione ufficiale della presenza dei caschi bianchi, fornita sia da Palacio Nariño sia dalla Casa Rosada, risiederebbe nell’arrivo in Colombia di tanti venezuelani in fuga da una supposta crisi umanitaria nel paese bolivariano.

Negli ultimi quindici mesi circa 819mila venezuelani sono entrati in Colombia e, di questi, almeno la metà sono irregolari: così si è espresso il Ministero degli esteri argentino, sottolineando la bontà delle missioni dei caschi bianchi, impegnati a portare assistenza umanitaria in gran parte del pianeta. Da Caracas però la presenza dei caschi bianchi è fortemente contestata, non per l’indubbia competenza in ambito umanitario, ma perché sotto la loro presenza si potrebbe celare altro e il fatto che questi ultimi siano liberi di rilasciare qualsiasi dichiarazione in cui avallano la presunta crisi umanitaria non fa altro che gettare benzina sul fuoco in un paese già costantemente sotto tiro. Solo per fare un esempio, al confine tra Venezuela e Colombia non si registra una situazione simile a quella di Haiti, dove disastri naturali come i terremoti hanno contribuito a rendere ancora più precaria la situazione di un paese poverissimo, a cui l’ambigua missione Minustah non ha peraltro giovato. Ricordate il caso dei militari brasiliani coinvolti in una serie di episodi poco edificanti?

A questo proposito, la giornalista Stella Calloni e Adriana Rossi, direttrice dell’Observatorio Geopolítico de los Conflictos, evidenziano che ai caschi bianchi presto potrebbero sostituirsi i militari argentini. Non è infatti un mistero che dall’arrivo di Mauricio Macri alla Casa Rosada l’Argentina abbia intrapreso una pericolosa corsa al riarmo, esplicitata dalla creazione, per volere del ministro della difesa Oscar Aguad, di una forza militare di attacco rapido composta da uomini dell’esercito, della marina e dell’aeronautica, per non parlare dell’acquisto di armi da parte di Israele.

Inoltre, l’insistenza con cui i paesi latinoamericani ostili a Caracas battono sul tasto della crisi umanitaria in Venezuela non può non far pensare, di nuovo, ad un intervento giustificato da presunte ragioni umanitarie, dopo che il cosiddetto desabastecimiento inducido, da cui deriva la mancanza di cibo, medicine e articoli di igiene personale, finora non è riuscito a far sollevare i venezuelani contro Maduro e il governo bolivariano. Eppure, nonostante da fuori si lavori quotidianamente per far si che il paese sprofondi in una reale crisi umanitaria, negata nel corso degli anni da Alicia Bárcenas, segretaria della Cepal (Comisión Económica para América Latina y el Caribe), Alfred de Zayas (esperto indipendente nominato dall’Onu) e Carissa Etienne, dell’Organización Panamericana de la Salud, aumentano le voci di coloro che esprimono la loro più “sincera” preoccupazione per quanto sta accadendo in Venezuela.

Certo, la guerra economica, il contrabbando e uno spietato blocco economico hanno favorito le condizioni da cui deriva la mancanza di gran parte dei generi di prima necessità, ma credere alla profonda preoccupazione del cosiddetto Gruppo di Lima significherebbe abboccare all’amo di quella propaganda a cui, inconsapevolmente o meno non è dato sapere, si prestano gli stessi caschi bianchi argentini. Il loro sgomento, di fronte a bambini malnutriti o a donne in stato di gravidanza con gravi problemi di salute a cui prestano assistenza, dopo viaggi disumani dal Venezuela alla Colombia, dove giungono in pessime condizioni, sorprende perché situazioni del genere sono purtroppo assai frequenti anche nelle stesse villas miserias di Buenos Aires, nelle favelas del Brasile e nelle baraccopoli di tutti gli altri paesi che aderiscono al Gruppo di Lima e inneggiano all’intervento in Venezuela in chiave umanitaria. In parole povere, i caschi bianchi argentini si trovano in un contesto non molto diverso da quello delle periferie urbane del loro paese e dell’intero continente latinoamericano.

E allora, siamo proprio sicuri che l’emergenza umanitaria non rappresenti un ulteriore tentativo alla ricerca di un casus belli che scateni un intervento militare in Venezuela?

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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