Intervista ai braccianti messicani della Baja California…

… dalla solidarietà all’organizzazione

tratto da ClashCityWorkers

É il 17 marzo del 2015 e nella valle di San Quintin i lavoratori agricoli dicono ‘basta!’ Migliaia di braccianti bloccano compatti l’unica strada che percorre longitudinalmente tutta la penisola e danno vita ad uno sciopero che durerà oltre due mesi, impedendo non solo la produzione ma anche la circolazione dei prodotti di tutta la valle.

Ne avevamo già parlato qui. Ad oltre un anno dello sciopero abbiamo intervistato Ottavio, figlio di braccianti e giovane attivista della valle, per capire come procede la lotta dei braccianti di San Quintín e come poterla supportare concretamente.

Siamo in bassa California, dove una polverosa valle messicana é stata trasformata in una delle zone agricole piú produttive al mondo. Piantagioni intensive monocolturali, consumo eccessivo di acqua, abuso di pesticidi e sfruttamento del lavoro bracciantile sono la base economica e ambientale di una competitivissima agricoltura d’esportazione.
Lo sciopero dei lavoratori agricoli, quasi tutti provenienti dagli stati più poveri ed insicuri del Messico, nasce da un processo organizzativo comunitario, che inizialmente riguarda le condizioni di vita in generale, come l’accesso ad insediamenti abitativi dignitosi e stabili o la gestione dell’acqua nel territorio. Il grado crescente di organizzazione della comunità dei lavoratori immigrati li ha portati inevitabilmente a focalizzarsi anche sulle condizioni di sfruttamento del lavoro. É cosi che i braccianti di San Quintín, una volta presa coscienza della propria forza collettiva, decidono di bloccare tutto e pretendere diritti e migliori condizioni di lavoro. Come ci spiega l’intervistato, da una organizzazione sociale, come la Alianza De Organizaciones Por La Justicia Social, i lavoratori arrivano a creare un sindacato di base indipendente, il Sindicato Independiente Nacional Democrático de Jornaleros Agrícolas.
Visto il mancato rispetto degli accordi presi con istituzioni e rappresentati patronali, le organizzazioni di San Quintin hanno deciso di procedere sviluppando un boicottagggio binazionale, che colpisca i prodotti Driscoll’s in Messico e Stati Uniti. Gli aspetti che ci sembrano particolarmente interessanti di questa lotta ed in parte riproducibili nei territori italiani sono principalmente due.

Innanzitutto il boicottaggio é legato a doppio filo con le conquiste del sindacato bracciantile storico degli Stati Uniti (UFW). Oggi viene ripreso dai braccianti di San Quintin come strumento di supporto ad una lotta concreta contro lo sfruttamento del proprio lavoro. Viene interpretato ed usato come reale strumento di lotta, complementare a scioperi, cortei e picchetti, per spingere le imprese a stipulare contratti collettivi che prevedano sicurezza sociale, sanitaria e aumenti salariali. In Italia il boicottaggio non ha una storia politica e sindacale altrettanto celebre, ma l’intervista ci suggerisce la possibilità di affiancare questo strumento alle tante lotte in atto nel settore agroalimentare: dai braccianti agricoli, agli operai impiegati nelle piattaforme logistiche della grande distribuzione organizzata, ai commessi nei vari punti vendita dei supermercati.

Per di più l’intervista ci racconta di come le organizzazioni in lotta abbiano avuto la capacita di ricondurre buona parte delle responsabilità alle compagnie commerciali e della grande distribuzione, al di la’ dello sfruttamento operato dalle aziende agricole locali. Il boicottaggio mira a colpire Driscoll’s, una multinazionale nordamericana leader nel commercio mondiale di fragole e altri frutti rossi, a cui grandi e piccole imprese agricole consegnano buona parte del prodotto locale dello sfruttamento. Sono i grandi marchi che determinano tempi, quantitativi e prezzi lungo tutta la filiera agroalimentare, subappaltando costi e rischi, ma appropriandosi direttamente delle maggiori quote di profitto. L’intervista c’invita non solo a solidarizzare con la lotta dei braccianti di San Quintín, diffondendo informazioni e supportando il boicottaggio, ma suggerisce anche una riflessione più ampia sul metodo e sui possibili strumenti di lotta applicabili nel settore agroalimentare italiano.

 

Quali sono le condizioni di vita e di lavoro dei raccoglitori nella valle di San Quintín?

Sono molto complicate e riguardano più di 80.000 lavoratori, che lavorano nei campi più di 8 ore al giorno, sfruttati in maniera disumana dalle imprese agricole. Per di più le condizioni di vita, come l’accesso alla salute e alla casa, son totalmente deplorabili. Alcuni lavoratori vivono in case di plastica e cartone e oltretutto questa situazione non permette ai loro figli di avere accesso facile all’educazione.

Quanto è il salario medio di un raccoglitore nella valle?

Parlare di statistiche in questa situazione è difficile, perché possiamo incontrare anziani, madri di famiglia e lavoro infantile…tutto dipende dalle loro abilità fisiche e dalle condizioni di salute, perché la paga spesso è in base alla quantità raccolta. In generale possiamo parlare di un salario medio che va dai 110 ai 120 pesos messicani (corrispondenti a circa 5-6 euro) prima dello sciopero. Dopo lo sciopero si è incrementato minimamente, però più o meno questo è il salario medio giornaliero nella raccolta di fragole…anche se vengono raccolti vari prodotti nella valle, come cipolle, carote, pomodori, lattuga, broccoli e altro.

Quali son le imprese che più si approfittano dei lavoratori nella valle?

frutti rossi sfruttamento

L’impresa agricola più grande è BerryMex. Ci sono anche altre imprese, come Los Pinos, che è della famiglia Rodriguez e che sfrutta i lavoratori con salari medi di 110-115 pesos. Sia prima che dopo lo sciopero, continua a pagare lo stesso. Oltretutto in questa impresa ci sono lavoratori che vivono dentro ad insediamenti con stanzette di tre metri per tre metri, in cui ci entrano fino a 5 lavoratori, fino ad una famiglia intera di raccoglitori e non gli permettono di uscire. Stanno chiusi lì dentro come se fosse un carcere, nell’insediamento ‘El vergel’, cosí si chiama. Sono moltissimi immigrati che vengono dagli stati di Oaxaca, Guerrero, Chapas o Veracruz. Vengono dagli stati più emarginati del paese e arrivano lì, all’impresa Los Pinos o in altre imprese, e stanno in accampamenti che non hanno le condizioni per poter vivere degnamente.

Puoi raccontarci a grandi linee quali sono state le conquiste e gli errori dello sciopero dello scorso anno?

Diciamo che con la rivolta di migliaia di braccianti di San Quintín e con la partecipazione de la Alianza de Organizaciones, una alleanza di persone e organizzazioni solidali con i lavoratori del territorio, sono stati firmati alcuni accordi. Hanno firmato le imprese agricole e la Segreteria del Lavoro e della Previdenza Sociale, però fino ad ora gli accordi non sono stati rispettati. Successivamente abbiamo lanciato una lista di rivendicazioni, il 17 marzo dell’anno passato, con alcuni aspetti basici come l’iscrizione dei lavoratori al sistema di sicurezza sociale, perché ora i lavoratori non sono protetti da alcuna assicurazione medica e sociale, abbiamo richiesto anche un salario base di 300 pesos…tutte richieste che finora non sono state soddisfatte. Pero possiamo citare alcune conquiste, come la creazione del sindacato, il Sindicato Independiente Nacionál Democratico de los Jornaleros Agricolas (SINDJA). Un sindacato che nasce dalla terra, che inizialmente è stato gestito dall’Alianza. Nella valle di San Quintín, per fare un po di chiarezza, la Alianza de Organizaiones è la realtà che organizzò i lavoratori in ogni comunità su temi differenti e riguardanti le condizioni di vita nella valle, come l’accesso a case dignitose o all’acqua. Questo processo ha portato ad una progressiva presa di coscienza dei lavoratori fino all’esplosione dello sciopero. L’Alianza di fatto ha gestito il processo di creazione del sindacato indipendente e quindi è l’organizzazione che ha fatto sì che tutto ciò accadesse. C’è una differenza tra l’Alianza e il sindacato, anche se lavoriamo in collaborazione, perché sappiamo che l’interesse per il tema del lavoro e dello sfruttamento riguarda entrambe. Dentro a questo sindacato ci sono gli stessi lavoratori, che sono i veri protagonisti, quelli che conoscono direttamente lo sfruttamento, che lavorano anche più di 10 ore nel campo e che vivono in condizioni disumane. Sono gli stessi che vengono sfruttati dalle imprese del territorio e dalle multinazionali come Driscoll’s che esporta fragole in tutto il mondo.

C’è stata repressione durante e dopo lo sciopero?

Possiamo dire che qui non abbiamo praticamente libertà di espressione, perché il 9 maggio dello scorso anno la polizia dei tre livelli di governo, federale, statale e municipale, sono entrati nelle case a reprimere i lavoratori, solo per aver rivendicato migliori condizioni di vita e un salario degno. Sono entrati a reprimere perfino madri e figli, ci sono stati più di 500 feriti, fra gravi e lievi, hanno sparato pallottole di gomma ai lavoratori in sciopero. C’è stata una repressione brutale, capeggiata dal governatore dello stato della bassa California, Francisco Vega de Lamadrid.

Quanto è durato lo sciopero? E come hanno reagito le imprese padronali?

sciopero braccianti messicoù

Il blocco è durato un po’ più di due mesi. I lavoratori di san Quintín vivono alla giornata e quindi sapevamo che lo sciopero non avrebbe potuto estendersi per un tempo molto più lungo. Se già di per sé stanno guadagnando salari insufficienti, tra i 110 e i 120 pesos al giorno, resistere più di due mesi non era fattibile. Ovviamente le imprese non hanno avuto una reazione positiva di fronte a questa situazione. Di fatto nessuna impresa ha voluto negoziare direttamente con i lavoratori. Solamente inviavano i loro rappresentanti e lo stesso governo, perché sono complici del governo federale, e quindi ai tavoli di trattativa non si è seduto nessun impresario agricolo in persona fino ad oggi. Hanno partecipato solo la Segreteria del Lavoro e Previdenza Sociale e alcuni rappresentanti degli impresari, però loro direttamente non si sono mai interessati ai problemi che stavano vivendo i loro lavoratori.

Come sono le condizioni di lavoro e di vita oggi, ad oltre un anno dallo sciopero?

Sono migliorate sotto alcuni aspetti. Dopo lo sciopero c’è stato un aumento salariale nella impresa BerryMex, della famiglia Reiter, socia di Driscoll’s. Prima stavano pagando tra 140 e 150 pesos, dopo lo sciopero hanno aumentato a 180 pesos e questo è stato un piccolo avanzamento. Però parliamo solo della impresa BerryMex, perché ci sono altre imprese che sono indipendenti da Driscoll’s nel territorio. Con BerryMex siamo riusciti ad arrivare fino a 180 pesos, ma così come è aumentato il salario è aumentato anche il carico di lavoro.

Avete fatto una marcia questo marzo, chiamata ‘Marcha del las dos Californias’.
Puoi raccontarci di questa manifestazione? Quali erano gli obiettivi e le parole d’ordine?

Abbiamo fatto un duro lavoro per organizzare questa marcia, a cui hanno partecipato organizzazioni della bassa California, in Messico, e dell’alta California, negli Stati Uniti. Ci siamo incontrati alla frontiera, a Playas de Tijuana. Abbiamo marciato per 4 giorni da San Quintín a Tijuana dove ci siamo incontrati con le organizzazioni che hanno appoggiato la lotta di San Quintín negli Stati Uniti e che hanno solidarizzato con i lavoratori agricoli. Abbiamo fatto un accordo a livello binazionale per boicottare l’impresa multinazionale Driscoll’s che sta sfruttando i raccoglitori che lavorano per salari miserabili, non solo nel nostro paese ma anche dall’altro lato della frontiera negli Stati Uniti, dove gli stagionali sono sfruttati dalla stessa impresa multinazionale. È vero che li stanno pagando in dollari e che stanno guadagnando molto di più che a San Quintín, però le condizioni di lavoro che vivono sono le stesse, sono condizioni di forte sfruttamento! Il proposito della marcia delle due Californie era commemorare un anno dallo sciopero di San Quintín. Non celebrare, perché non c’è niente da celebrare visto che gli accordi non sono mai diventati effettivi, pero abbiamo marciato per continuare a protestare e per esigere che migliorino le condizioni occupazionali a un anno dallo sciopero. Oltre a ciò volevamo valorizzare la formazione del sindacato indipendente nazionale dei giornalieri agricoli (SINDJA), che, mano per la mano con l’Alianza de las Organizaciones, ha rappresentato una conquista storica per la valle di San Quintín e non solo per la valle, ma per tutto il paese perché e un sindacato di carattere nazionale.

Avete avviato anche una campagna di boicottaggio di frutti rossi (fragole, more, lamponi e mirtilli) commercializzati da una delle più grandi multinazionali del settore, Driscoll’s.
Puoi spiegarci come funziona questa campagna, quali sono gli obiettivi e dove si sta svolgendo?

boicottaggio

Il boicottaggio lavora soprattutto sul piano della presa di coscienza. Cerchiamo di stimolare tutti quelli che stanno comprando i prodotti che esporta la compagnia Driscoll’s e organizziamo proteste in varie zone. Si stanno creando comitati di base negli Stati Uniti principalmente. Dal 10 aprile dello scorso anno vari compagni hanno messo in piedi azioni in differenti supermercati dove si vendono questi prodotti, come la catena di Costco, Walmart, Whole Foods, Safeway e altri. Parliamo con i consumatori e organizziamo proteste dentro e fuori ai supermercati. Condividiamo informazioni con volantini, striscioni, cartelloni sulle condizioni di lavoro che stanno vivendo i braccianti a San Quintín, invitando la gente a boicottare la marca Driscoll’s. Negli Stati Uniti sono state fatte azioni nella città di San Diego, a Watsonville, San Francisco, Sacramento, Oakland, Oxnard e prossimamente a Santa Maria. Naturalmente da questo lato della frontiera ci sono stati boicottaggi a Tijuana e stiamo spingendo lo sviluppo della campagna anche a Città del Messico.

Il boicottaggio e’ uno strumento che storicamente il sindacato dei lavoratori agricoli ha usato negli Stati Uniti per spingere le imprese a stipulare contratti collettivi. Puoi raccontarci ora come stanno reagendo le imprese al vostro boicottaggio tra Messico e Stati Uniti?

Abbiamo raggiunto un risultato piuttosto positivo, specialmente con l’impresa BerryMex. Prima della marcia delle due Californie c’era già stato un incremento salariale dai 140-150 pesos a 180 pesos. Dopo aver fatto azioni di boicottaggio negli Stati Uniti e in bassa California c’è stato un ulteriore aumento salariale da parte di questa impresa, da 180 pesos a 225 pesos. Quindi ora questa grande impresa sta pagando un salario un po’ più alto e questo risultato e frutto dello sciopero, della campagna di boicottaggio e di altre campagne di solidarietà con i lavoratori sviluppate negli Stati Uniti. Ora abbiamo cominciato anche in Messico, soprattutto a Citta del Messico, e continueremo ad aumentare la pressione sulle imprese finché non decidono di firmare contratti collettivi con il sindacato che abbiamo creato, che finalmente ha ottenuto l’ufficialità e ha quindi il potere legale di firmare contratti collettivi qui in Messico.

Credo sia molto interessante che i lavoratori e le organizzazioni solidali abbiano cominciato a colpire l’impresa multinazionale che commercializza il prodotto, in modo da far pressione anche sulle imprese agricole locali.
Come siete arrivati ad individuare la responsabilità dello sfruttamento in Driscoll’s?

Abbiamo fatto riferimento al modello storico usato dalla unione sindacale dei lavoratori agricoli negli Stati Uniti (United Farm Workers), capeggiata da Cézar Chavez durante gli anni ’60 e ’70. Anche loro vivevano la stessa situazione critica, con migliaia di braccianti impiegati in alta California, e decisero di fare il boicottaggio dopo aver passato più di due anni a fare scioperi senza riuscire ad ottenere contratti collettivi con le aziende. Decisero di provare con il boicottaggio e si resero conto che era necessario individuare una marca principale, perché non era possibile fare un boicottaggio generale di tutte le imprese. Scelsero una marca tra quelle che più di tutte dominavano il mercato, Vinos Vittores, e cosi organizzarono un boicottaggio. Cominciarono a Delano boicottando l’uva, con l’obiettivo di ottenere contratti collettivi per i lavoratori agricoli. Riuscirono a colpire bene il mercato, perché fecero un lungo lavoro di comunicazione in solidarietà alla lotta dei lavoratori. É simile a quello che stiamo facendo qui in supporto ai lavoratori di San Quintín. Abbiamo fatto lo sciopero e ora facciamo anche il boicottaggio. Lo facciamo contro Driscoll’s perché è l’impresa che si sta accaparrando la maggior parte del prodotto nella valle e oltretutto sta associando tutti i piccoli produttori. Sia i piccoli che i grandi produttori di San Quintín consegnano il prodotto a Driscoll’s, che s’incarica di esportare in vari paesi. Quindi Driscoll’s è l’impresa più grande che domina la produzione agricola in San Quintín e quella che domina il mercato a livello mondiale, perché è un’impresa multinazionale molto potente. Per questo abbiamo deciso di focalizzare la lotta e il boicottaggio contro questa specifica marca.

Quali sono i prossimi passi di questa lotta?

Continuiamo ad esigere, spingendo il boicottaggio, il rispetto della lista di rivendicazioni che abbiamo lanciato l’anno scorso con lo sciopero. Continueremo a percorrere tutte le zone della Repubblica Messicana dove c’è Driscoll’s, lo faremo! Stiamo identificando in quali luoghi del paese vende molto Driscoll’s e in quali aree sta sfruttando i lavoratori…e lì è dove ci focalizzeremo di più. Non cercheremo solo qui, perché sappiamo che produce e vende anche in Europa e in Asia. Per esempio sappiamo che sta esportando le prime more di gennaio in Cina. Per questo stiamo cercando di entrare in relazione con più organizzazioni possibile, che siano in lotta sul tema del lavoro. Naturalmente stiamo cercando anche l’unità nazionale, perché sappiamo che non siamo sfruttati solo a San Quintín ma in varie parti del Messico, e di raggiungere a livello internazionale gli emigrati che arrivano negli Stati Uniti o in Canada e che sono sfruttati nella stessa maniera.

Per terminare vorrei chiederti se hai qualcosa da dire ai compagni in Italia e in Europa.
Come possono conoscere e seguire la vostra lotta e come supportare concretamente i braccianti di San Quintín?

Oggi abbiamo uno strumento molto importante, che se lo avesse avuto il sindacato con Cézar Chavez quando ottennero i contratti con il boicottaggio, probabilmente avrebbero vinto in molto meno tempo. La comunicazione ci sostiene molto e crediamo che attraverso internet e le reti sociali possiamo condividere molte informazioni. Questo ci ha permesso anche di creare legami con organizzazioni di altri paesi e quindi io credo che la cosa più importante che possiamo fare fin da subito sia condividere informazioni sulla lotta di San Quintín. Abbiamo quattro pagine internet che sono relazionate direttamente con noi:

Credo che se fosse possibile condividere e diffondere anche in Italia e in Europa le informazioni sulla lotta di San Quintín, già sarebbe un primo passo, un modo di creare coscienza sul tema, come stiamo cercando di fare con il boicottaggio. Sul lungo periodo poi sarebbe importante cercare di creare dei contatti più solidi, in modo da costruire delle azioni coordinate anche in Europa. Proseguiamo con la lotta!

 

Redazione
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