Io sono sempre IO

un racconto di Mauro Antonio Miglieruolo

1

Mi ero quasi addormentato, il mento reclinato sul petto, nella lontananza di un assopimento dal quale arrivò il sollievo dalla lunga attesa.

Mastrangelo, chi è Mastrangelo?”

Sollevai faticosamente il capo, lottando contro la pigrizia del corpo, già in quiescenza, nonostante fossero solo le undici del mattino. Guardai l’orologio. Ero lì dalle otto. Maledizione!

Mastrangelo, c’è Mastrangelo?”

Sono io” ammisi.

L’Equilibratore l’attende…”

Si fa presto a dire Equilibratore, difficile esserlo. Il mio personale non lo era mai stato. Equilibratore. E se lo era inclinava perigliosamente in direzione della declassazione.

Disgrazia mia. A me tutte capitano. Avevo cominciato con un Quindici, mi ritrovavo con un Dieci. Lo pagavo profumatamente, retta da miliardari, mi sarei aspettato uno dei migliori in circolazione (il migliore in città); invece avevo scoperto che mi affibbiavano il primo disponibile, buon parlatore, ma non in grado di risolvere. Avevo pazientato, ma il risultato era un ulteriore reiterato invito alla sopportazione.

Il mezzobusto che avrebbe dovuto accogliermi sorridente dietro la scrivania non era affatto un mezzobusto, ma un intero con, applicata sullo smoking, l’insegna di Ottava classe (addirittura!) sottoclasse Apprendista. Una mezza tacca di inserviente umano le cui prestazioni, per quanto accurate, non valevano il 10% dei Robot Comuni. Figuriamoci quelli specializzati ai quali mi ero rivolto.

Prima che iniziassi a snocciolare proteste, si alzò tendendomi la mano. Restai basito. Non una proiezione olografica ma una presenza reale, carne, ossa e cartilagini. Erano anni che il SSN non mi concedeva visite mediche in diretta. Pareva che i robot costassero troppo, quindi si ripiega sui vecchi, buoni, economicissimi umani.

Si accomodi” si affrettò a tentare di mettermi a mio agio l’Apprendista indicando una delle due sedie a disposizione dei pazienti.

Ottemperai. Sedetti e lo fissai incredulo. Il tizio, sorridendo, accettò paziente che completassi l’esame.

Quanto mi costerà questo giochetto?” chiesi infine rendendomi appena conto della grossolaneria con la quale affrontavo la questione. Una cosa però era avere a disposizione un Robot di Classe Somma, un Equilibratore in grado di gestire centinaia di casi nello stesso momento; ben altra un professionista, sia pure Apprendista, dedicato integralmente ai miei problemi. Per quanto economico, il cambio poteva contemplare il sacrificio di un occhio della testa.

Niente le costerà” rispose. “faccio parte di un programma governativo per la sperimentazione dell’Aleatorio quale cura per i disturbi di personalità refrattari ai trattamenti normali.”

Bene” dissi, quantunque non fosse per niente bene essere incluso tra i refrattari. “Io però non sono qui per disturbi di personalità, ma per avere accesso a una seconda personalità, una intermittente, da utilizzare alla bisogna…”

L’avrà, mi creda. Con il conseguente miglioramento dei rapporti interpersonali dei quali lamenta la scarsità.”

In che consiste il programma?”

Nel proporle una combinazione randomica di eventualità non psicotiche che sia in grado di venire incontro alle inquietudini che la guidano, da mesi ormai, verso questo ufficio. Una personalità confacente ai desideri e, perdoni, alle illusioni che La strutturano. Il tutto mediante la sua stessa guida personale. Autoguida, diciamo. Meglio, autodeterminazione del singolo, come si dice oggi.”

Fece scorrere la superfice della scrivania. Dal ripiano sottostante estrasse una sorta di cubo di Rubik di grandezza doppia di quella regolamentare.

Ecco” esclamò trionfante (aveva già vinto, secondo lui). “Ecco il suo personale proiettore di personalità. Se ben manovrato può emettere fino a centomila tipicità differenti, ricalcate su personaggi famosi. Funziona in questo modo. Lei individua la coppia di personalità che giudica confacenti ai suoi desiderata. Pigia il pulsante centrale superiore rosso per attivare la risultante. Le apparirà davanti una immagine olografica con la quale potrà interagire. Se il risultato non la soddisfa con il pulsante centrale inferiore nero la potrà cancellare. Fatte le debite prove, forniti all’Ufficio i parametri relativi, verrà condizionato per trasformarsi, ogni volta che ne ravvisi la necessità, nella persona prescelta. Questa è l’unica possibilità per realizzare l’equilibrio interiore a cui agogna: essere ciò che più intimamente, fortemente e idealmente desidera essere. Come vede tutto è affidato alle sue mani. Alla sua buona volontà.”

Ah!” feci. Riflettendo più rapidamente mi riuscisse. Cioè prima che l’Apprendista iniziasse a guardare nervosamente l’orologio. La cosa mi puzzava. Non era che, con quel cubo, giocavano d’illusionismo? Fregaroli al massimo questi del SSN.

Tenni per me i miei dubbi. Non avrei ottenuto altro che spiegazioni scempie travestite da tecnologia d’assalto. Mi limitai ad annuire, prendere il cubo e il foglietto illustrativo annesso e a dileguarmi.

2

Non appena a casa scorsi il libretto di istruzioni. Pigia questo, pigia quello, un giro a destra, due a sinistra, evidenzia l’immagine che più ti alletta, correggila con una seconda di riserva, tieni pigiato tre secondi il pulsante centrale di avvio e il gioco è fatto.

Feci il gioco. Scelsi. Per primo un nome fascinoso, Toros o Soros o Sorot, non ricordo bene, un tipo che il cubo definiva iperquattrinato; e l’accostai a quella di un cazzutissimo pieno di muscoli, elegantone esagerato (la mia negazione), ricoperto come la Madonna di Lourdes, un tizio del quale non mi viene il nome (anche io a volte sono prudente), un magnaccia probabilmente, oppure un esimio rappresentante della esimissima nobilissima congrega detta camorra. Tirato a lucido, debitamente ghignante, illustrato degnamente mentre si accendeva un sigaro – accidenti a lui! – con un bigliettone da 50 euro. Antipatico, ma notevole. Un tipo carrozzabile? Bisognava provare.

Pigiai il pulsante per tre secondi e attesi.

Attesi.

Attesi.

Attesi.

Ohé, si tratterà mica di una delle tante prese per il culo galattiche del SSN?

Attesi ancora.

Niente, continuò a non succedere nulla.

Andai in cucina a prelevare dal frigo un brick di latte di mandorla, l’aprii, mi ci attaccai, tipo sanguisuga e me ne vuotai la metà. Sospiro godurioso finale. Ahaaa! Dopodiché me ne tornai tutto consolato nell’antro dove avevo lasciato il cubo.

Non dovresti fare così!” esortò con voce dolce un tizio che, anche se vagamente mi somigliava, vestiva in modo decente, esibiva due spalle da lottatore e ciuffi di biglietti da cinquecento che gli spuntavano dalle tasche: più alieno rispetto al sottoscritto non poteva essere. La somiglianza una faccenda del tutto superficiale. Guardava fuori dalla finestra il vasto panorama del parco della Caffarella, il verde che si estendeva a perdita d’occhio. Un gregge di pecore. Un paio di dannati che facevano footing. Un cane di taglia grande, tirando il guinzaglio a più non posso, che portava a spasso il padrone.

Voglio dire” proseguì voltandosi verso di me. “Bisognerebbe bere a piccoli sorsi, non buttare giù a garganella come fossi appena uscito dal deserto del Sahara… intasi lo stomaco, capisci? La roba poi appena uscita dal frigorifero non è per niente raccomandabile…”.

Come sei entrato?” chiesi. Come lo stupido che ero. Ma se l’avevo evocato io, con tutto lo smanazzare sul cubo di Rubik di pochi minuti prima!

Mi ignorò. Era di quelli che ignorano le domande stupide e non si scompongono mai. Tornò a voltarsi verso l’immensa inusitata distesa cittadina del parco.

Bello qui” commentò. Ammirato, ma anche con una certa nonchalance, quasi parlasse per mera cortesia. Possibile quel tizio, azzimato, sicuro di sé, danaroso, avesse qualcosa a che fare con il sottoscritto?

Lo esaminai perplesso. Si trattava di un giovane stronzo con la puzza sotto il naso, che dissimulava d’esserlo; o invece un tizio con la mente altrove e la cortesia il suo modo abituale di rapportarsi?

Come sei entrato” insistetti.

Non sono entrato. Sono sempre stato qui.”

Sono anni che vivo solo. Solo, ma solo veramente. Non mi viene mai a cercare nessuno. Pure gli editori mi schizzano…”.

Che gli editori, curatori e simili mi schizzassero non voleva dire nulla in merito al mio vivere eremitesco. Avevano ben altro a cui badare che al fiume ininterrotto di parole scritte con il quale – e solo con il quale – mi esprimevo. Cavolo, se ero ricorso ai servigi di un Equilibratore era proprio perché squilibrato. Agli uomini di penna manca sempre (minimo) quell’uno per cento di insanità mentale in grado di definirli integralmente come uomini. O meglio come tipi umano-sociale.

Io no, non ti schizzo. Anche se questo è quello che vuoi. Non ti schizzo. Perché sono ragionevole e anche razionale, frutto di un complesso lavoro di interazione tra digitale, analogico, psichico e modulare… un te umano, anche non tanto per la quale…”.

Così io sarei disumano, questo è quello che mi stai dicendo?”.

Guarda che sei stato tu a ricorrere al Servizio Stabilizzazione Neurostocastico.”

E sono sempre io quello che, se non stai buono, ti caccerà a calci di questa insigne dimora.”

Non commentò. Sorrisetto sardonico. Alti eravamo uguali. Ma per il resto in opposizione su tutto. Lui atletico muscoloso, con le tartarughe che si intravedevano attraverso la camicia slacciata; io bolso, con un pancione che la diceva lunga sulle mie coliti e il lungo lavorio all’insegna del dominio di macchine da scrivere Olivetti, tastiere da computer e panze all’aria per godere la lettura di Van Vogt, Dick, Sturgeon, Sheckley e – che il diavolo se li porti via tutti – Simak, Bradbury, Anderson, Heinlein e Hamilton e Wyndham e Brown e Asimov e Vance e il resto della dannata congrega di scrittori pazzi, creatori di scienziati folli, che caratterizzava la fantascienza. Borges incluso. Il tizio materializzatosi, apparizione nuova maniera, inoltre trasudava danari da tutti i gesti, da tutti gli abiti e da tutti gli sguardi; mentre il sottoscritto, che pure non viaggiava a livello di Bukowsky, il pranzo con la cena riusciva sempre a metterlo insieme, non poteva però affermare se la passasse splendidamente; e comunque non possedevo un portafogli a zampogna o un conto corrente con il saldo a sette cifre. Non l’avrei avuto neppure avessi scelto lui come modello. I modelli non portano soldi, li vogliono. Non avevo da darne.

Guarda, che non se mi vuoi intorno, non hai che da riprendere il cubo di Tesla che ti ha dato l’Apprendista e produrre un secondo alter ego più acconcio a te stesso. Non è necessario che assuma iniziative sconsiderate che mi costringerebbero a farti una faccia come un pallone…”.

3

Andai di là a prendere il manico di piccone nuovo commissionato dal nerboruto giardiniere, per riparare quello che aveva spezzato lui. Lo soppesai. Lo afferrai con ambedue le mani. Provai ad alzarlo e abbassarlo un paio di volte su una ipotetica testa aleatoria condensata, fingendo fosse vera. Immaginai la testa aprirsi, il sangue schizzare, i lamenti di dolore… fu come darmelo da solo sul capo. Posai il manico. Ripresi invece il cubo. Di Rubik o Tesla che fosse. Per prima cosa manovrai, sotto lo sguardo beffardo del camorrista/magnate, per cancellarlo dal novero delle possibilità cosmico quantistiche. Poi ripresi l’esplorazione di eventualità ulteriori.

Rinunciai a concludere immediatamente. Meglio familiarizzarsi un poco con l’aggeggio. Scoprii più difficoltà che possibilità. Le regole erano mobili (un cubo di Tesla, un cubo quantico, logico così fosse). Le opzioni mutavano in continuazione. Le offerte medesime variavano e svariavano. Il quadratino, ad esempio, che riportava l’immagine di Galileo dopo pochi secondi diventava quella di Giordano Bruno (di male in peggio); e quella di Pelé mutava altrettanto rapidamente in quella di Eusebio, Di Stefano, Maradona e Gento. Inoltre, applicando criteri per me indecifrabili, ammetteva alcuni accoppiamenti e proibiva altri. A volte suggeriva persino questi accoppiamenti, in quel caso le superfici dei quadratini lampeggiavano in coppia. Altre si limitava ad attendere le mie riverite decisioni. Altre ancora si svelavano di impossibile, improponibile e improbabile praticabilità. Tipo l’offerta maleducata e insistita della combinazione mostruosa Einstein/Himmler, che ricusai non per motivi ideologici, ma timoroso delle maledizioni di massa che mi sarei attirato, insieme a sarcasmi vari da parte della comunità scientifica. Oppure uno, sul quale insistette, che derivò dell’incrocio malizioso smaliziato tra Shaw e Pasolini. Gli dissi no, ma il cubo s’ostinò a volermi far vedere, iniziando a condensare la figura evanescente di una donna alquanto bruttina. Mamma mia! Come uomo me la cavavo a malapena. Come donna diventavo un orrore. Mi affrettai a cancellarla con un urlaccio, manovrando all’impazzata sullo strumento.

Niente, il cubo s’era incaponito. Mi voleva donna e mi voleva brutto.

Poggiai il cubo sul tavolo e lo colpii forte con il pugno. Un tempo si rimediava in quel modo alle disfunzioni degli strumenti analogici. Pareva stesse diventando opportuno utilizzare il medesimo sistema con quelli digitali.

Immediatamente si illuminarono altre due faccine. Quella di un piccoletto tutto pepe sul tipo Messi e quella di un bruto del calibro di Primo Carnera. Nuovo pugno sul cubo. Che scese a più miti consigli. Si posizionò su una seconda alternativa di qualità. Un grande regista. Sussurrando parole suadenti, in tono seduttivo: guarda, guarda questo… questo fa proprio al caso tuo. La scelta mi piacque. Pigiai il pulsante rosso che indicava adozione/accettazione: nella trasparenza del quadrato rosso avevo riconosciuto la sagoma di Fellini. Un tizio che mi si attagliava addosso, almeno così credevo, da essere in pratica un me stesso di successo.

M’andò bene. Anche il secondo personaggio della mescola fu all’altezza: il funambolico, scostumato, morammazzato Pietro Aretino. Tra l’uno e l’altro ottenni quel cosa di interessante. Ed esilarante. Il circo. Clownate e carnevalate a profusione. Apparve un tipo mingherlino sproloquiante dal naso abnorme con la punta rossa, scarpe otto misure più grandi di quelle che m’appartenevano, cavallo dei pantaloni all’altezza delle ginocchia, labbroni e sorrisi da orecchia a orecchia. Iniziò colpendomi con un enorme martello di gommapiuma, continuò fingendo di volermi eliminare con una pistola ad acqua e completò l’opera sghignazzando come un pazzo, offrendomi le terga affinché potessi colpirlo debitamente sul fondoschiena.

Cosa cazzo!” esclamai dimenticando completamente i dettami della buona educazione (incluso il ben scrivere).

Dai, non fare il pirla, so che ti piaccio…”.

Già, davvero… ma solo perché speravo che dalla maschera sorgessero osservazioni profonde sulla realtà umana e sul disumano che la caratterizzava. Nonché azioni conseguenti.

Nulla di tutto questo. Buffon da scorreggiate, l’avrebbe definito uno dei due archetipi, esattamente l’Aretino, al quale l’alter si ispirava. Non era capace di recitare altro che banalità indegne e battute insipide; oltre a fare lo stronzo emettendo peti che fingeva fossero finti e che tali non risultavano a un esame anche frugale dell’olfatto. Per il resto, come ben presto scoprii, via a ricalcare le orme dell’immagine che l’aveva appena preceduto. Nonostante la natura di clown, convinto anche lui di dover far mostra di suocerismo spinto.

Datti una calmata, datti” raccomandai dopo alquante capriole, cadute e rialzate e banali giochi di parole.

Si diede una calmata, ma solo perché ravvisò la necessità e l’urgenza di struccarsi. Un po’ di faccia vera occorreva la facesse emergere.

Guarda, guarda che bell’imago abbiamo tirato su. Non sono tale e quale a te?”.

Non mi somigli per niente.”

Tale e quale. Tale e quale.”

Piantala!”.

Sei un caso disperato, Alias” cambiando subito tasto. “Impossibile aiutarti. Non ti lasci andare, rigido, sempre pensieroso e triste e insopportabile brontolone rompicazzo. Una frana.”

Sei tu che non vali nulla come clown. Fai mica ridere…”.

Tu invece sì, sai come divertire il prossimo. Sei un attore nato, gli arieti ci hanno il pallino della recitazione. Ma non te lo concedi. Ti concedi nulla, brutto stronzo, serioso noioso iattoso sentenzioso…”.

Vedo che hai grande stima di me” tentai di fare lo spiritoso.

Macché! Macché! Lo so, so bene quanto vali. Tu però non mi concedi neanche questo: mostrare a te stesso ciò che sei.”

Ah! Io, eh? Io non te lo concedo.”

Pure stupido. Oltre che brutto e presuntuoso. Fai schifo, fai.”

Sei bello tu, sei bello. Sembri una lucertola.”

Mi rivolse il gesto dell’ombrello, al quale fece seguito una sghignazzata terribile, tale da far cadere in depressione persino un Re, che dico? un Imperatore della presunzione. Non caddi in depressione. M’infuriai.

Non mi piaci, guarda. Non mi piaci per niente. Altro che personalità gemella. Nemico sei. Nemico mio. Loffio, briccone e inghignatore. Mi sa ti cancello.”

Scrollò le spalle. Come a dire fatti tuoi. Tu sei nei guai, non io.

Mossi vorticosamente le dita sul cubo. Scomparve. Si dissolse. Una ultima sghignazzata a testimoniare sprezzo e noncuranza e mi lasciò solo a pascolare nelle nebbie rossastre dell’ira.

4

Non appena rientrò nei vicoli stocastici da dove era improvvidamente uscito, mi precipitai come una furia negli uffici del SSN. Mi avevano ben bene preso per i fondelli. Davanti all’uscio dell’Equilibratore la Banditrice Robot di Ottava Classe tentò di fare la spiritosa.

Mastrangelo, lei non ha un appuntamento…”.

Chissenefrega!”.

Mastrangelo non può fare così…”.

Neppure le Robot di Ottava Classe dovrebbero fare così!”.

Mastrangelo chiamo i Carabinieri…”.

Chiami anche la Marina, gli Incursori e i Paracadutisti, se le aggrada!”.

Mastrangelo si fermi!”.

Una parola fermarmi o anche solo essere fermato. Ero una furia, un terremoto, una inondazione. Passai davanti alla Banditrice d’Ottava Classe a valanga, agitando le braccia, sputazzando saliva, ululando come un Bukowsky in vena di fare il muezzin, in modo sconnesso e roteando gli occhi; e irruppi nell’Ufficio dell’Apprendista. Il quale non parve sorpreso di vedermi. Anzi, parecchio divertito. Sospettai mi aspettasse.

Mastrangelo” mi esortò. “Dica in fretta, stanno arrivando i Carabinieri.”

Mi calmai. Placai la parte di furia vera e quella parte di furore evocata per rendere dirompente la mia determinazione a protestare.

Mi aspettava” constatai. Sorpreso, ma non troppo. Cominciavo a intuire qualcosa.

Aspettavo non lei, ma l’inevitabile al quale aveva deciso di andare incontro e che l’ha necessariamente ricondotto qui.”

Ma cosa diavolo… sono o non sono un utente pagante? Neppure più fingete di voler risolvere!”.

Ma risolvere cosa? ritiene davvero che le personalità crescano come funghi? o che si possano riparare andando dal fabbro?”.

Ho solo chiesto un alter ego al quale fare ricorso ogni volta che se ne presenti la necessità…”.

Già, ma ponendo condizioni impossibili. Avesse chiesto una sorta di rappresentante, con una somiglianza solo superficiale, passi. Un rappresentante o un segretario, un maggiordomo, o roba del genere, anche partendo da circoscritte e rigide caratteristiche, siamo Maestri noi del Servizio Stabilizzazione Neurostocastico nelle personalizzazioni, avremmo provveduto con solerte immediatezza. Come sa non c’è Sostituto, Procuratore o Facente Funzioni che non passi attraverso i nostri Centri d’Elaborazione Dati: ma… ma lei ha voluto un sé stesso che non è sé stesso!”.

Cosa diavolo mi va accocchiando? Io non desidero per niente un Facente Funzioni, io desidero un ME deprivato dei limiti che mi limitano!”.

Ecco, appunto, proprio come dice, un sé stesso deprivato dei limiti che la limitano… cioè, l’impossibile. Lei esiste a condizione delle specificità che la identificano, limiti inclusi!”.

Un rigurgito di furia mi portò di nuovo sull’orlo dell’uscita di senno. Un po’ di bromuro mentale dato da convenzioni e convenienze, mi ricondusse al nervosamente placido, nervosamente tranquillo, nervosamente sereno me stesso di sempre. Forse l’attribuzione Apprendista aveva un significato e una estensione molto più ampia di quanto sospettassi. Magari significava anche burlone, trastullatore e illusionista.

Ma” interrogai, fingendomi perplesso “non sono in una sede del Servizio Stabilizzazione Neurostocastico? Lo stesso servizio che mi ha spremuto come un limone per mesi…”.

Mi ignorò. Ammirai la disinvoltura con cui lo fece. Ammiro sempre la disinvoltura di profittatori, burocrati ed Esperti.

Uno nelle sue condizioni, con le illusioni, diciamo pure gli ideali che nutriva sulle possibilità di ulteriormente nascondersi dietro una imago digitale, come poteva pensare (avrà pure pensato qualche volta in vita sua!) di ottenere una seconda esistenza brillante e piena di eventi da sperimentare?”.

Le idee buone non mi mancavano. Il cubo, avevate promesso, era pieno di possibilità con le quali attuarle. Non sembra mi sia stato dato quanto chiedevo e, date le promesse, mi spettava!”.

No, Signor mio. È lei che non si è mai fornito di tale possibilità. E sta dimostrando di non essere in grado di fornirsela.”

E il Servizio Stabilizzazione Neurostocastico? Succhia solo soldi?”.

Le ha offerto l’impagabile opportunità di scoprire i limiti che impone a sé stesso.”

Grandioso. Gaudioso. Glorioso. Una truffa, in pratica.”

Macché! Macché! Le stiamo solo aprendo uno spiraglio su sé stesso, per darle la possibilità di offrirne a sua volta uno al Mallamaci…”.

Mi chiamo Mastrangelo.”

Sia pure al Mastrangelo, povero cliente nostro, tanto angustiato.”

Lei si sta semplicemente buttando avanti per non cadere indietro.”

Sia pure. Cosa pensa di fare?”

Di spaccarle la testa. Far pagare a lei il conto di tutto. Vendicarmi di un Servizio che dopo avermi spillato quattrini su quattrini, mi ha rifilato un pacco che neppure un Napoli della peggior specie avrebbe osato inventare. Con quel sottospecie di cubo Rubik…”.

La informo che il cubo è stato progettato da un suo conterraneo.”

Io sono Calabrese, non Napoletano.”

È lo stesso. Brutta razza anche quella.”

Mi sta provocando, vero?”

Sì, perché i Carabinieri sono già fuori la porta e si accingono a irrompere. Si scansi, altrimenti sarà travolto dal battente.”

Mi scansai, ma fui travolto lo stesso. Dai Carabinieri se non dal battente.

Per concludere non ebbi la personalità supplementare da indossare, ma due mesi buoni di ospedale.

A scanso di guai, me ne contento lo stesso. Fingo, almeno.

L’IMMAGINE – scelta dalla “bottega” – è di Roland Topor

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

2 commenti

  • Uno spaccato (sur) realistico dell’umana intelligenza e dell’amara essenza (l’insoddisfazione prodotta dall’immagine soggettiva del sé idealizzato, più che ideale) che della suddetta è partecipe intrinseca.

  • Calogero, nome sublime, non so come ringraziarti. Sintesi migliore non sarei mai riuscito a trovare. Ma, appunto, io faccio Miglieruolo (Migliaruolo e anche – per davvero – Mastrangelo) di cognome. Posso pure scrivere un racconto, non capiere il senso riposto, ultimo, di quello che ho scritto.
    Non sapendo come altro ringraziarti ti ringrazio con il primo grazie che mi mviene alle labbra. GRAZIE!

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