Iran, il futuro si gioca sul corpo delle donne

di Zaynab H (*)

Due donne iraniane. Foto dell’utente Flickr Hamed Saber

All’inizio degli anni Novanta, l’Iran aveva uno dei migliori programmi di pianificazione familiare dei Paesi in via di sviluppo. Dal 1980 al 2010 è riuscito a portare il numero medio di figli partoriti da ogni donna da sei e mezzo a due. Queste conquiste si sono però da allora ribaltate e oggi le donne iraniane soffrono a causa di una legislazione retrograda approvata nel 2015. Alcune, tuttavia, certamente soffrono più di altre.

In qualità di avvocato per i diritti della salute sessuale e riproduttiva, ho lavorato con collettivi di donne emarginate nei quartieri meno abbienti di Teheran per cinque anni. Ho visto come normative quali la legge quadro sulla popolazione e l’esaltazione della famiglia, o legge 315 com’è conosciuta, (ndt The Comprehensive Population and Exaltation of Family Bill) colpiscano più direttamente e gravemente le donne più povere: lavoratrici del sesso, donne con problemi di abuso di droghe, donne che vivono in zone rurali, migranti, minoranze etniche – coloro che erano fortemente dipendenti dalle forniture statali di contraccettivi.

La prima proposta di un’inversione della politica iraniana “dei due figli” risale al 2006, quando il Presidente Ahmadinejad affermava che la popolazione sarebbe dovuta aumentare da 70 a 120 milioni, e le donne avrebbero dovuto lavorare di meno e dedicare più tempo alla loro “missione principale” di crescere i figli. Nel 2012, il Leader Supremo, l’Ayatollah Khamenei affermava che tale politica aveva senso 20 anni fa, “ma la sua continuazione negli anni successivi sarebbe stata uno sbaglio“, in quanto il Paese avrebbe dovuto affrontare l’invecchiamento e la diminuzione della popolazione “se la politica di controllo delle nascite fosse continuata.”

E così la legge 315 è stata approvata dall’Assemblea consultiva islamica iraniana nel novembre 2015, da 289 uomini e 9 donne. La legge ha dato inizio a un nuovo capitolo della pianificazione familiare, con il corpo delle donne usato come campo di battaglia nella lotta per il futuro dell’Iran. Questa legislazione mira a stimolare la crescita della popolazione incoraggiando i matrimoni in giovane età e frequenti gravidanze. Lo fa attraverso una serie di modalità che tolgono potere alle donne e dà loro meno voce in capitolo ai loro corpi e pertanto sulla loro vita.

La legge impone che tutti i soggetti pubblici e privati diano priorità di assunzione, in sequenza, agli uomini con figli, agli uomini sposati senza figli e alle donne sposate con figli. Gli articoli 10 e 16 impediscono agli uomini non sposati e alle donne di assumere incarichi di insegnamento o di ottenere le licenze per praticare il diritto di famiglia.

Gli articoli 17 e 18 richiamano alla “de-giudiziarizzazione” delle controversie familiari al fine di evitare il divorzio con “accordi  pacifici” attraverso un’unità di polizia specializzata con “ufficiali sposati, maturi e ben addestrati”. La legge non mostra alcuna considerazione del fatto che potrebbero mettere le donne a rischio di ri-vittimizzazione in relazioni abusive.

La normativa crea inoltre nuove barriere al divorzio, descritto dall’articolo 21 come “anti-valore con conseguenze socialmente dannose su coniugi e figli“. Gli articoli 19 e 20 incentivano gli avvocati e i giudici a favorire le riconciliazioni con bonus speciali. Tutto ciò si aggiunge a un codice civile già discriminatorio, dove le donne (ma non gli uomini) devono fornire delle motivazioni per poter divorziare, come ad esempio difficoltà che renderebbero intollerabile continuare il matrimonio.

In pratica, la legge 315 è la negazione onnicomprensiva della rappresentanza delle donne e dei loro diritti di decidere liberamente se e quando sposarsi, divorziare, o avere figli. Essa codifica la discriminazione delle donne sul posto di lavoro. I finanziamenti per la pianificazione familiare, che avevano aumentato significativamente l’accesso delle donne alla contraccezione moderna negli ultimi due decenni, sono stati tagliati non molto tempo dopo l’entrata in vigore della legge.

Da allora il Governo ha interrotto tutti i servizi di pianificazione familiare gratuiti. Le informazioni sulla pianificazione familiare sono state rimosse dai centri per la salute, che non sono più autorizzati a distribuire preservativi e pillole contraccettive, inserire IUD (dispositivo intrauterino) o eseguire interventi chirurgici contraccettivi permanenti.

Medici e infermieri sono obbligati a incoraggiare le donne a continuare le gravidanze indesiderate e ad avere grandi famiglie proprio come le nostre nonne erano costrette a fare. A scuola, le lezioni sull’esigenza del controllo della popolazione sono state sostituite da quelle che incoraggiano il matrimonio e un grande numero di gravidanze.

Dato che in Iran l’impegno fisico, mentale ed emotivo intorno alla contraccezione è ancora “onere delle donne”, la legge 315 ha un impatto significativo sulla loro vita. Tuttavia, è un onere che ovviamente non interesserà tutte le donne iraniane allo stesso modo.

Quelle più ricche possono ancora acquistare contraccettivi e procurarsi aborti sul fiorente mercato nero che si è sviluppato a seguito della legge. Per chi può pagare, un aborto chirurgico per una gravidanza iniziale è disponibile tra i 10.000.000 e 40.000.000 riyal (circa 200-400 dollari), a seconda di dove si va.

Con costanti attacchi conservatori alla salute e ai diritti riproduttivi delle donne, le risposte dei gruppi per i diritti delle donne devono prendere in considerazione le diverse esperienze di donne diverse; troppo spesso le femministe iraniane ignorano gli aspetti di classe e provenienza nella complessa matrice delle relazioni di potere che modellano la disuguaglianza.

Una ricercatrice sociale e femminista che lavora in tutto il Nord dell’Iran, e nelle zone rurali del Nord-Est e del centro, mi ha riferito che  i tagli alla contraccezione gratuita colpiscono soprattutto queste zone, dove “l’economia dei villaggi emarginati e poveri è crollata totalmente come risultato delle politiche economiche neoliberali.”

Le persone si trovano ad affrontare scarsità di acqua, carestia e fame in molte aree“, ha spiegato, chiedendo: “In questa situazione, come può una donna gestire la sua fertilità senza accesso a un servizio abbordabile e senza alcun potere di negoziazione con suo marito?

Il programma di pianificazione familiare dell’Iran era un programma di cui essere orgogliosi, ma il clima politico verso la salute sessuale e riproduttiva e i diritti delle donne è diventato sempre più aggressivo e opprimente. La popolazione potrà anche migliorare in termini di numeri, ma la vita delle donne responsabili di questo guadagno viene ulteriormente sminuita.

(*) ripreso da https://vociglobali.it [Traduzione a cura di Anna Corsanello dall’articolo originale di Zaynab H pubblicato su Opendemocracy]

 

Redazione
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2 commenti

  • Ogni giustificazione è buona per sminuire l’essere donna! La scusa del divorzio e oscena, in quanto l’Islam stesso approva il divorzio.

  • Daniele Barbieri

    IRAN, AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA AGGRESSIONI DI SQUADRE FILO-GOVERNATIVE CONTRO LE DONNE CHE PROTESTANO PER L’USO OBBLIGATORIO DEL VELO
    Secondo Amnesty International, i video provenienti dall’Iran e che stanno circolando sui social media testimoniano il clima quotidiano di intimidazione nei confronti delle donne, da parte di agenti della cosiddetta polizia morale e di squadre filo-governative che cercano di far rispettare le leggi sull’obbligo del velo.
    Nei video si vedono persone e agenti della polizia morale in abiti borghesi discutere animatamente con le donne o aggredirle in nome della difesa della “pubblica decenza” perché hanno sfidato le degradanti leggi sull’obbligo del velo. Quando le donne iniziano a filmare le scene per pubblicarle sui social media, gli uomini si fanno ancora più aggressivi.
    “I video che stanno circolando nelle ultime settimane sono la prova dell’agghiacciante livello di violenza quotidiana che le donne subiscono da parte della polizia morale o di squadre filo-governative solo per aver osato sfidare le offensive leggi sull’obbligo del velo. Queste leggi non sono solo degradanti e discriminatorie, ma vengono anche usate per giustificare aggressioni in strada contro le donne e le ragazze”, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
    Le donne iraniane vengono regolarmente fermate a caso in strada dagli agenti della polizia morale, che le insultano e le minacciano, ordinano loro di rimettersi il velo per coprire i capelli o danno loro dei fazzoletti per togliere il trucco. Spesso le schiaffeggiano, le picchiano coi manganelli le ammanettano e le costringono a salire sui furgoni della polizia.
    In uno dei video pubblicati di recente, una donna filma una litigata iniziata quando un uomo le ordina insistentemente di indossare il velo in modo conforme alla legge. L’uomo la insulta e, di fronte al suo rifiuto, le spruzza sul volto quello che appare essere spray al peperoncino.
    In un altro video un uomo lancia urla e insulti contro una donna ordinandole di mettersi il velo, poi la minaccia di colpirla con una pistola stordente e di fronte alle sue grida dice: “Non ti ho sparato, te l’ho solo fatta vedere”.
    Un terzo video mostra un uomo in borghese accanto a un furgone della polizia morale che punta con la pistola un uomo e una donna intervenuti per impedire il violento arresto di una donna che non indossava il velo.
    Nel commento, l’autrice del video spiega che lei e altre persone sono intervenute per strappare la donna dalle mani degli agenti, che le avevano sequestrato le chiavi dell’automobile e stavano cercando di caricarla sul loro furgone.
    Questi filmati sono stati realizzati da donne coraggiose nell’ambito della campagna “La mia videocamera, la mia arma” che vuole sensibilizzare sulle minacce e le aggressioni che le donne e le ragazze subiscono quotidianamente in Iran a causa delle leggi sull’obbligo del velo.
    I video sono stati pubblicati online dalla nota giornalista e attivista Masih Alinejad, residente negli Usa, che ha diretto, oltre a “La mia videocamera, la mia arma”, altre campagne online di successo contro l’obbligo del velo: “La mia libertà clandestina”, una pagina Facebook in cui le donne iraniane sono incoraggiate a pubblicare loro foto senza il velo, e “I mercoledì bianchi”, che chiede alle donne di protestare contro l’obbligo del velo indossando ogni martedì una sciarpa bianca.
    Alla crescente attenzione sulle aggressioni contro le donne che sfidano le leggi sull’obbligo del velo, le autorità iraniane hanno replicato con una crudele campagna diffamatoria, lanciata dalla stampa governativa contro le attiviste che ne chiedono l’abrogazione.
    Vi sono forti timori che le autorità iraniane stiano incentivando queste aggressioni per mettere a tacere le donne in un momento cruciale, proprio quando hanno trovato la forza di protestare in pubblico contro l’obbligo del velo e di amplificare le loro voci attraverso i social media.
    “Queste brutali aggressioni violano il diritto a essere trattate con dignità e di trascorrere la vita quotidiana senza temere violenze e intimidazioni”, ha commentato Luther.
    Le norme vigenti in Iran sull’obbligo del velo violano chiaramente i diritti alla libertà di espressione e di religione e il diritto alla riservatezza. Le donne e le ragazze non possono mettere un piede fuori dalla porta di casa se non si coprono i capelli con un velo e le braccia e gambe con un abito non aderente. In caso contrario, a partire dai nove anni d’età, coloro che non indossano il velo possono essere punite con una multa da pagare in contanti o con un periodo di carcere che va da 10 giorni a due mesi. Nella prassi, le autorità iraniane impongono l’obbligo d’indossare il velo dai sette anni in su.
    Nel corso dell’ultimo anno le autorità hanno inasprito la repressione sulle donne che protestano pacificamente contro l’obbligo del velo. Il caso più grave è quello dell’avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, detenuta in attesa di giudizio in parte per la sua opposizione all’obbligo del velo. È stata sottoposta a un processo fortemente iniquo ed è in attesa della determinazione della pena, che potrebbe anche essere di 34 anni di carcere e 148 frustate.
    Sotoudeh è accusata di “incitamento alla corruzione e alla prostituzione” e “commissione di un atto peccaminoso (…) essendo apparsa in pubblico senza il velo”. Queste alcune prove a sostegno delle accuse: essersi opposta all’obbligo del velo, aver effettuato visite in carcere senza il velo, aver assunto la difesa di donne che avevano protestato contro l’obbligo del velo, essersi fatta intervistare sui violenti arresti e sull’imprigionamento di donne che avevano protestato contro l’obbligo del velo e aver collocato fiori nel luogo dove una donna era stata violentemente arrestata.
    Roma, 12 marzo 2019

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